«Temi concreti». «Responsabilità comune». «Concertazione». I leader di Cgil, Cisl e Uil, ricevuti nel secondo giorno degli Stati generali dell’economia, lanciano al governo un messaggio chiaro. Va bene Villa Pamphili, va bene il momento storico. I sindacati però non vogliono fermarsi, come successo in passato, alla fase di ascolto del mega evento organizzato da Giuseppe Conte: vogliono stilare un programma concreto di rilancio e partecipare alle decisioni. Niente passerelle per poi decidere da soli. Se il governo vorrà coinvolgerli, bene. Altrimenti si tornerà in piazza, dove il rapporto tra Giuseppe Conte e le parti sociali si era fermato poco prima del lockdown.
«Un patto che coinvolga tutti», chiedono Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, ascoltati subito dopo Vittorio Colao. «Vogliamo essere parte attiva di questo processo di cambiamento», ripete il leader della Cgil, elencando quello che serve per «una vera cesura rispetto al passato»: riforma fiscale, un ruolo dello Stato nell’economia, lotta alla precarietà, un nuovo Statuto dei lavoratori, la cancellazione di «leggi sbagliate fatte in questi anni», centralità dei contratti nazionali di lavoro, formazione. Il governo «avrà noi al suo fianco se seguirà queste strade, se dovesse ascoltare altre sirene avremo altri atteggiamenti», dice il leader della Cgil.
Le «altre sirene» sono soprattutto quelle della nuova Confindustria di Carlo Bonomi. Che a due giorni dalla convocazione a Villa Pamphili, prevista per mercoledì alle 14, non ha risparmiato critiche al governo. «Mi sarei aspettato», ha detto Bonomi davanti alla stampa estera, che «il governo presentasse un piano ben dettagliato, un cronoprogramma con gli effetti attesi, una tempistica, gli effetti sul Pil. Io tutto questo non l’ho visto, sarei curioso di leggerlo, vorrei ascoltare tutto ciò». Facendo il confronto con il modello tedesco «di rapporto tra istituzioni e parti sociali che hanno consentito in 21 ore (non dieci giorni, ndr) di discussione di mettere in campo 15 pagine e un bazooka di 120 miliardi per rilanciare l’economia».
E un cronoprogramma era quello che si aspettavano da Conte anche i sindacati. Il discorso del premier sul rilancio del lavoro, invece, alle parti sociali è sembrato più un “libro dei sogni”. Senza date, tappe, obiettivi. E se Conte ha richiamato finanche alla «dimensione antropologica» del lavoro, citando il “trentennio d’oro” dell’Occidente dello storico Eric Hobsbawm, dai sindacati è arrivato invece un appello comune alla «concretezza».
Il presidente del Consiglio ha messo subito le carte in tavola su quello che c’è da fare nell’immediato, ma poco sulle riforme future di rilancio per convincere Bruxelles. «L’obiettivo», ha spiegato, «è quello di garantire la cassa integrazione a tutti i lavoratori per tutto il tempo che sarà necessario nella fase di debolezza dell’attività economica». Annunciando poi l’approvazione del decreto – nel cdm in serata – che rende possibile alle aziende che hanno già esaurito le 14 settimane di cassa integrazione la possibilità di chiederne già altre quattro, senza dover aspettare il 1 settembre.
È la risposta alla lettera inviata da Cgil, Cisl e Uil in cui chiedevano di «modificare la norma prevista dal decreto rilancio che impedisce l’utilizzo continuativo dei periodi massimi previsti», ma anche «una piena copertura degli ammortizzatori sociali almeno fino alla fine dell’anno». Servirà dell’altro per convincere del tutto i sindacati. «Non è ancora sufficiente», dice Landini all’uscita. «Abbiamo chiesto il blocco dei licenziamenti fino alla fine dell’anno e i conseguenti ammortizzatori sociali da mettere in campo».
Conte non dà risposte certe. Non cita Ilva, Whirlpool, Alitalia. Nel suo programma “Progettiamo il rilancio”, il presidente del Consiglio parla di tre «mission»: sostegno alle transizioni occupazionali, tutela del reddito dei lavoratori, promozione della qualità del lavoro. Ma senza mai entrare nei dettagli.
Sul primo punto, «abbiamo già in cantiere progetti specifici»: la riforma e la semplificazione della cassa integrazione, la rimodulazione in chiave di politica attiva degli strumenti di sostegno, il rinnovo della disciplina della Naspi. Sul secondo, il presidente del Consiglio parla di istituzione di un salario minimo, «lotta senza quartiere alla contrattazione pirata», detassazione dei rinnovi contrattuali, nuovo Durc (documento unico di regolarità) su appalti e subappalti, contrasto al caporalato e al lavoro nero, incentivazione del welfare contrattuale, contrattazione di secondo livello.
E sulla promozione della qualità del lavoro, l’elenco prevede «misure volte a favorire la rimodulazione dell’orario di lavoro, anche in vista di un ricorso sempre più insistito allo smart working», il ricorso «ai contratti di espansione e alla staffetta generazionale» favorendo «in ogni modo l’inserimento lavorativo dei giovani», il contrasto al part-time involontario «che frustra le aspirazioni e gli standard di vita, modulando anche i contratti di lavoro al fine di eliminare le fattispecie più precarie».
E poi ancora: incentivazione della partecipazione e co-gestione dei lavoratori in azienda, rafforzamento del ruolo dell’Inail e promozione della responsabilità sociale d’impresa. E qui, dice Conte ai sindacati, «vorremmo il vostro grande contributo». Senza però imporre nulla agli imprenditori, specifica il presidente del Consiglio, ma indicando le best practice sperimentate dalle imprese.
«Il documento che ci hanno fatto vedere è ancora molto vago», commentano in uscita i sindacati. Un elenco di buoni propositi, che cerca anche la sponda di Confindustria con quel richiamo alla contrattazione aziendale, al quale Cgil, Cisl e Uil controbattono con i propri piani. Dagli investimenti in infrastrutture e ambiente alla legge sulla rappresentanza, dalla riforma degli ammortizzatori sociali al potenziamento dell’Inps.
«Bisogna darsi obiettivi chiari e precisi», dice Furlan, ricordando l’appello alla concretezza di Mattarella. «Noi crediamo che ci siano oggi le condizioni per fare un buon lavoro, esercitando fino in fondo il nostro ruolo di parti sociali. È necessario un grande patto sociale, indicando e condividendo insieme le priorità e capire quale contributo ciascuna parte può e deve dare per raggiungere gli obiettivi». Sarebbe «un segnale straordinario», dice la sindacalista, «ritrovare lo stesso spirito costruttivo del presidente Ciampi del 1993 e dei grandi accordi di concertazione che allora ci animò tutti con grande senso di responsabilità, uno spirito che oggi dobbiamo ritrovare».
Domani sarà il turno di Confindustria. Ma con le anticipazioni della vigilia sembra difficile trovare quello spirito dei grandi accordi evocato da Furlan. «Andremo a Villa Pamphili», ha spiegato Bonomi, «dicendo quello che pensiamo e soprattutto presentando un nostro piano ben preciso. Sarà pubblicato e ne abbiamo fatto un libro». Titolo e copertina ci sono già: “Italia 2030”. Con una premessa: basta alla «propensione del pubblico a entrare nella dimensione di gestore dell’economia, per esempio nel caso di Alitalia, o dell’Ilva. Vediamo i danni che ha prodotto». Tanto per rimarcare la distanza siderale dalle proposte di Landini.
«Ben venga anche il piano di Confidustria», ha detto Conte in conferenza stampa. Ma il governo, a questo punto, si troverà a scegliere per la fase di rilancio: se con Bonomi o con i sindacati.