Partito democratico, LeU e Italia Viva hanno messo sul tavolo una posizione unitaria: «I decreti sicurezza vanno riscritti». I Cinque Stelle hanno confermato invece quello che ci si aspettava: «Solo modifiche limitate alle osservazioni del Presidente della Repubblica. Questo era l’accordo del governo Conte 2».
Il primo vertice di maggioranza sui decreti sicurezza si è concluso con una fumata nera. Le distanze rimangono. Ma nell’incontro che ha aperto al Viminale i lavori sul dossier migranti, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha indicato tempi strettissimi per arrivare a una sintesi. Ha consegnato il pacchetto di proposte agli esponenti dei partiti di maggioranza (Crimi per i Cinque Stelle, Mauri per il Pd, Faraone per italia Viva, Fornaro per LeU). E la prossima riunione è stata fissata già per lunedì: 72 ore per preparare osservazioni e integrazioni. Non di più.
L’obiettivo è chiudere entro fine mese. Ma l’esito di questa trattativa è ancora tutto da definire. Il terreno è scivoloso, anche perché quei decreti con Salvini li hanno firmati anche i Cinque Stelle nel governo Conte 1. E ora, oltre a puntare a non alimentare la propaganda leghista, l’ala destra del Movimento ne fa anche una questione di opportunità politica: «Con la crisi economica che c’è nel Paese e i tanti provvedimenti da approvare, meglio rimandare», ha proposto Vito Crimi.
Soprattutto perché nelle pagine redatte dall’ufficio legislativo del Viminale, già pronte a febbraio e poi congelate per la crisi Covid, si va ben oltre le osservazioni di Mattarella. Partendo da un punto che rovescia il Salvini pensiero: il dovere di salvataggio delle imbarcazioni in difficoltà.
E poi ancora: multe più leggere alle Ong, che nei decreti sicurezza potevano arrivare fino a un milione di euro, e senza far scattare automaticamente la confisca delle navi usate per il soccorso dei migranti; ampliamento dei casi di protezione speciale per reinserire nei percorsi di accoglienza coloro che hanno subito trattamenti disumani, come le vittime di tratta; iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo; dimezzamento dei tempi di detenzione (da 180 a 90 giorni) nei centri per il rimpatrio e anche dell’iter di concessione della cittadinanza (da 4 a 2 anni).
Senza dimenticare che nei due anni di applicazione dei decreti, i tribunali di tutta Italia hanno emanato sentenze contro i provvedimenti voluti dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Non ultime, le sezioni unite della Cassazione che a novembre hanno sancito l’irretroattività della abrogazione della protezione umanitaria.
Ma i Cinque Stelle restano sulla posizione di un restyling “minimal” dei decreti. Per non dare nell’occhio. E anzi, preferirebbero rimandare la discussione a settembre. Con la crisi in corso, «non è una priorità», dicono. Mentre Partito democratico, LeU e Italia Viva accelerano sui tempi puntano più in alto: i decreti vanno riscritti anche perché, è questo il ragionamento, hanno avuto solo un effetto boomerang. A cominciare dai 100mila nuovi irregolari presenti in Italia, un terzo dei quali – secondo l’Ispi – sarebbe la diretta conseguenza dell’abolizione della protezione umanitaria. Fantasmi la cui condizione, con la crisi Covid, potrebbe essere una bomba a orologeria.
Il cavillo politico, secondo Partito democratico, LeU e Italia Viva, starebbe anche in quell’articolo 18 del programma del governo Conte 2 che dice che i decreti vanno modificati «alla luce» delle osservazioni del Capo dello Stato. Quindi, spiega Federico Fornaro di LeU, «vuol dire che si parte da quelle e si va avanti». Sulle multe alle ong, la richiesta dei tre partiti è quella di cancellarle del tutto, puntando anche a una revisione dell’abrogazione della protezione umanitaria e alla ricostruzione del sistema Sprar per la protezione di richiedenti asilo e rifugiati.
Il Viminale mira a trovare una sintesi al più presto, magari con la mediazione di Conte e Di Maio. E il precedente dell’intesa raggiunta a fatica sulla regolarizzazione dei lavoratori migranti voluta dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova fa ben sperare. Anche perché, dicono da LeU, «l’accordo di agosto del governo prevedeva la ricerca di una posizione comune pur arrivando da posizione differenti su diversi temi». Insomma: la riduzione del numero dei parlamentari è passata, ma gli sforzi vanno fatti da entrambe le parti.
C’è chi, come gli appartenenti alla corrente del Partito democratico che fa capo a Matteo Orfini, aspirerebbero a un nuovo codice unico sulle migrazioni e strigliano la segreteria di Zingaretti, che solo cinque giorni fa ha nominato il suo responsabile immigrazione, Marco Pacciotti. «Servono scelte nette», dice il Dem Luca Rizzo Nervo. Che ricorda al segretario l’impegno assunto all’Assemblea nazionale di Bologna di una «abrogazione complessiva dei decreti».
Il tema ha aperto un vaso di Pandora, rimettendo in fibrillazione la maggioranza. Anche perché dall’inizio dell’anno gli arrivi sono 5.655, quasi il triplo dello scorso anno. E le navi umanitarie sono tornate in mare. Sea Watch ha salvato 165 migranti.
Mediterranea ha fatto sapere di essere stata testimone di un respingimento da parte di «miliziani libici, su motovedette donate dal nostro Paese, di decine di profughi». E l’alleanza delle ong ha reso noto un rapporto esclusivo che documenta almeno tre casi di operazioni di recupero dei migranti in cui le autorità libiche sarebbero state coordinate dalle autorità europee.
E la prossima settimana, o al massimo quella successiva, alla Camera arriva il decreto missioni. «Se qualcuno pensa che lo votiamo così com’era l’accordo con la Libia, anche se dovessero mettere la fiducia, ha capito male», avverte l’ala più a sinistra del Pd. «E al Senato starei attento ai numeri».