Se anche voi vi siete chiesti con angoscia a cosa possa affidarsi un leader politico che abbia avuto la sfortuna di ritrovarsi al governo nel bel mezzo di una pandemia mondiale mai vissuta prima dall’umanità – considerata l’assoluta mancanza di precedenti, precetti, punti di riferimento – ve lo dico io: ai sondaggi. Vale per Giuseppe Conte, vale per i suoi non meno vanitosi ministri (con rare e giustamente silenti eccezioni), vale forse ancor più per il Partito democratico.
Sono i sondaggi, infatti, ad aver confermato in Giuseppe Conte (o forse in Rocco Casalino, o ancor più verosimilmente in entrambi), giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, l’idea che l’unica strategia vincente fosse andare continuamente davanti a microfoni e telecamere a fare la faccia da statista, a corrugare la fronte, a ripetere preoccupati ammonimenti da buon padre di famiglia e vaghe promesse per il futuro.
E così ha continuato a fare, sondaggio dopo sondaggio, comizio dopo comizio, dalla più ingessata diretta Facebook allo scambio disinvolto con i cronisti all’ingresso di Palazzo Chigi, fino agli Stati generali – semplicemente l’ultimo anello di questa catena: una gigantesca conferenza stampa preceduta da dieci giorni di preliminari a porte chiuse, con le massime autorità europee in veste di gruppo spalla chiamato a scaldare il pubblico – passando per tutte le possibili formule intermedie, nell’intento di coprire l’intera giornata, l’intero pianeta e ogni possibile piattaforma.
Si comincia al mattino dalle immancabili interviste ai giornali (solo sabato scorso una qualche forma di intervista o colloquio con Conte era presente su ben sei quotidiani in contemporanea), poi l’immancabile passaggio alla tv del pomeriggio (senza dimenticare stampa e televisioni straniere, naturalmente), e si conclude la serata dove la si è cominciata, cioè sui social network. Venerdì scorso, ad esempio, con lo scambio d’amorosi cinguettii tra Giuseppe Conte e Miley Cyrus su Twitter, con il primo ministro a rilanciare l’appello della popstar americana «in solidarity with Black Lives Matter» con lo stesso orgoglio con cui ieri ritwittava i complimenti di Donald Trump.
È evidente che, fino a quando i sondaggi continueranno a certificarne l’utilità, Conte andrà avanti così a oltranza, all’infinito, fino allo sfinimento di tutti i possibili partecipanti. Quando avrà finito gli Stati generali – potete scommetterci – convocherà le Cortes, e poi la Dieta di Worms, e poi la Bulè dei 500, e poi qualunque altra assemblea politica, sociale o condominiale Rocco Casalino riuscirà a rintracciare sul sussidiario.
E quando improvvisamente e inaspettatamente i sondaggi diranno che gli italiani cominciano a non poterne più (come in verità sembrerebbero già suggerire, vista anche la scarsa corrispondenza tra le parole e i fatti), Conte e Casalino torneranno ovviamente a prendersela con il Deep State, i poteri forti e persino – lo hanno già fatto, e mica per scherzo, perché non conoscono senso della misura – con la congiura dei media ostili.
«E il Partito democratico?», si chiederanno a questo punto i miei piccoli lettori. Uguale. Anzi, peggio. Convinti della giustezza della propria linea da sondaggi che per un anno filato hanno assegnato al Pd, quasi ogni settimana, all’incirca uno zero-virgola-zero-uno per cento in più – essendo evidentemente persuasi che le elezioni davvero decisive siano quelle del 2046 – i democratici hanno finora ingoiato l’intero programma grillino, inclusi tutti gli orrendi provvedimenti del governo gialloverde (per una volta vi risparmio l’elenco), nella bizzarra convinzione di riuscire in tal modo a esercitare non si sa bene quale egemonia (forse puntavano a suscitare nei loro partner di governo il complesso della crocerossina, chi lo sa?).
Ebbene, immaginatevi il loro stupore, la loro costernazione, il loro smarrimento, quando – in un sondaggio apparso su Skytg24 il 5 giugno e sostanzialmente confermato nei giorni seguenti da tutti gli altri istituti – hanno scoperto che a forza di eseguire senza fiatare tutto quel che volevano Conte e i grillini, ma tu guarda a volte come va il mondo, non sono stati i democratici ad assorbire i cinquestelle, ma viceversa.
Da ultimo, sul Corriere della sera, è stato ieri Nando Pagnoncelli a mettere nero su bianco la catastrofe: se si votasse domani, con Conte alla guida del Movimento 5 stelle, il Pd sprofonderebbe al 17,3 (cioè meno del famoso minimo storico raccolto da Matteo Renzi nel 2018); se Conte invece si presentasse con una sua lista – accreditata di un bel 14,1 – il Partito democratico andrebbe dritto dritto al 15,8.
Lista Conte che in verità, bisogna dire anche questo, è sin dall’inizio un pezzo decisivo della sopraffina strategia dei democratici, che poi è sostanzialmente la loro unica strategia, ennesima replica della manovra già messa in atto, con esiti molto da diversi, con Lamberto Dini prima e poi, mutatis mutandis, con Gianfranco Fini, Mario Monti, Angelino Alfano (per stare ai casi più evidenti, e senza entrare nella microfisica della politica locale, dove pure si applica rigorosamente lo stesso schema – vedi alla voce: Roberta Lombardi).
Lista Conte che non per niente ancora mercoledì scorso, a Otto e Mezzo, Andrea Orlando definiva un’idea da non scartare, e venerdì su Repubblica il diretto interessato giudicava una follia da non prendere nemmeno in considerazione (peraltro nella stessa intervista in cui Conte, in vista delle prossime elaborazioni collettive che saranno necessarie per accedere ai fondi europei, annunciava l’intenzione di «assoldare singole personalità e le migliori energie del paese», e chissà se quell’assoldare era un lapsus freudiano, o semplice difetto di italiano).
Sta di fatto che, oltre ai sondaggi, intorno alla sua lista da qualche tempo girava anche un nome, «Con Te», la cui intrinseca tristezza accresce purtroppo la verosimiglianza dell’ipotesi.
Sia come sia, l’emergere dei primi sondaggi e delle voci su nome e simbolo hanno risvegliato improvvisamente il gruppo dirigente del Partito democratico dal lungo sogno egemonico, mostrando loro risultati elettorali in cui i Cinque stelle, con Conte leader o affiancati da una sua lista, riuscirebbero miracolosamente a recuperare un bel po’ di voti, a spese del Partito democratico.
E così, un minuto dopo la comparsa del primo di tali sondaggi, l’idillio si è rotto, e in un battibaleno il punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti è diventato poco più che il principale esponente del partito a noi alleato. Vatti a fidare degli amici.
Se dunque anche voi vi foste chiesti come mai, di punto in bianco e dopo quasi un anno di silenziosa acquiescenza, da una decina di giorni in qua il Pd abbia cominciato improvvisamente a battere i pugni sul tavolo, invocare una svolta, bacchettare Conte e persino – quando ho letto la notizia non riuscivo a crederci – chiedere in Consiglio dei ministri che fine avesse fatto quella vecchia idea di modificare i decreti sicurezza di Matteo Salvini, ebbene, la risposta è sempre la stessa: i sondaggi.
Tanto varrebbe fare presidente del Consiglio Pagnoncelli.