In un’oretta spesa su Alt TikTok ho visto dodici rane che ballavano, ventisei scatole di fagioli, una faccia che pareva uscita da un film di David Lynch e Sid de L’era glaciale che annegava in una vasca da bagno. E ho capito che anche TikTok sta diventando adulto.
Ci passano tutti i social, o almeno tutti quelli che vogliono durare minimo un decennio, attraverso la fase “alternativa”. Era accaduto con il Weird Twitter, poi con il Weird Facebook, infine con Instagram, dove i maledetti avocado, le pareti rosa e le tazze fumanti di The Matcha sono state affiancate da immagini di luci al neon, autoscatti in pose scomposte, colori spenti, caption più lunghe e contenuti intellettualmente più provocanti.
La fase di ribellione dei social, come ogni ribellione giovanile, passa per un ripudio di se stessi, ancora prima che degli altri. E quando va bene si completa con la proposta di una nuova estetica, di nuove parole, di un’identità più ricca e variegata, in cui ognuno può trovare qualcosa affine a sé. E finalmente crescere. Gli esperti di web marketing la chiamano verticalizzazione: la creazione delle nicchie.
TikTok, complice anche la quarantena, la sta attraversando ora, dopo due anni di vita. Il social come lo conosciamo nasce nel 2018, dalla fusione tra la cinese TikTok e la vecchia Musical.ly, app di sincronizzazione video-audio creata da due cinesi. A oggi è stato scaricato da quasi 2 miliardi di persone (che però non corrispondono ad altrettanti utenti attivi), ed è stata incoronato come il più amato dalla Generazione Z. Per almeno due buoni motivi: uno, l’assenza di barriere linguistiche (nei video si parla poco). Due, il sistema di editing video più potente e intuitivo al mondo, che in poche mosse permette di creare clip da 15 a 60 secondi abbinate a musica, effetti sonori e filtri.
Unico problema, tipico della vita iniziale di ogni social: si somiglia tutto. L’estetica è fatta di colori accesi, filtri patinatissimi, ragazzi e ragazze spesso poco vestiti. I format sono balletti, mini-sketch comici, balletti, lip-sync, balletti. Tutto molto perfetto, quindi presto noioso; impeccabile, perciò prevedibile; gradevolissimo, pertanto esclusivo. Caratteristiche perfette per fare una meteora.
I supermanager cinesi di Pechino, che pure contano di arrivare a un fatturato di 25 miliardi di dollari nel 2020, lo sanno: per evitare l’effetto Vine (social di video ormai scomparso dopo un successo clamoroso) e mantenere la popolarità, devono trovare nuovi modi per coinvolgere gli utenti e rendere la piattaforma più appetibile per i brand.
E così, nel pieno della sua perfezione il social ha iniziato a “verticalizzare”. Negli ultimi mesi al suo interno sono nate nuove community, strette attorno a singoli interessi. C’è chi insegna storia, chi propone ricette, chi parla di fisco, chi porta avanti le sue battaglie politiche, chi si organizza per trollare Trump (come i fan del K-Pop, che qui si sono ritrovati).
Quella parte del social più ribelle, cool, punk, emo si chiama orgogliosamente Alt TikTok (o Elite TikTok), i cui omonimi hashtag contano circa un miliardo di visualizzazioni. È la versione alternativa, appunto, dello «straight TikTok», la parte più ufficiale del social, fatta di balletti e influencer che pubblicizzano partnership con i brand.
Alt Tiktok è quell’amico che ci passava i cd dei Nirvana e ci suggeriva di boicottare McDonald. È la parte underground del social prodotto dalla Cina ultracapitalista, che rifiuta ogni trend mainstream e preferisce loro un umorismo surreale, contenuti a volte grotteschi, filtri volutamente marcati, suoni disturbanti, proclami politici. Tutto, purché imperfetto, umano e creativo.
Al suo interno ci sono sottosezioni altrettanto bizzarre, C’è il ”beans TikTok” (che ha come protagonisti i fagioli), il “frogs TikTok” (rane), il “distorted basement TikTok” (video con distorsioni grafiche e audio disturbanti), il ”department store TikTok” (fake account di brand ufficiali come Starbucks, Swiffer o Walmart).
«Vogliamo creare un’alternativa ai creators mainstream che postano solo di balletti», racconta Ava, 12 anni, una creator.
Funziona, specie per l’utente. Uno dei punti di forza del social è il raffinatissimo algoritmo, che nella pagina di ricerca For You propone contenuti tagliati su misura del singolo. Ognuno, su TikTok, sta iniziando a trovare il suo pezzo di mondo. L’unicità del social, ha scritto Shira Ovide sul New York Times, «è che non è solo comunicazione: è espressione».
Non è un mezzo per vedere cosa sta succedendo nel mondo. Ma per capire come le persone si stanno sentendo. Come se un video di TikTok ci facesse vedere l’essenza di una persona e, migliaia di video, ci mostrino l’essenza della collettività contemporanea. «Il social potrebbe reinventare l’intrattenimento, dando alla prossima generazione di attivisti nuovi modi per raccontare storie». E a chi vuole, di ascoltare la sua storia preferita: che sia lo sfilettamento di un salmone o le proteste di Minneapolis.