Ieri ho pensato d’iscrivermi a Tik Tok. Lo scrivo qui come monito a me stessa, come confessione degli abissi in cui si può finire una domenica pomeriggio, come pubblica ammenda.
Adesso spiegherò perché, pur sapendo che non verrò creduta, un po’ come quella volta che m’iscrissi a Tinder («sì, certo, per fare un articolo, bella scusa»).
No, non volevo fare un articolo sul nuovo social network dei giovani (sono vecchia, ma non così vecchia); non volevo neppure fare video di balletti (ogni tanto miei coetanei s’iscrivono a Tik Tok per controllare i figli – che nostalgia di quando bastava scassinare il lucchetto del diario con una forcina – e poi si coprono di ridicolo azzardando balletti; ride tutto il loro giro di amici, anche quelli che poi ci cascano a loro volta).
Volevo farmi un’idea della relatività del tempo; quand’ero abbastanza giovane da avercela in programma ero troppo giovane per capire quanto mi sarebbe poi servito capirla, e il risultato è che a scuola avevo 3 in fisica e adesso non capisco come funzionino i miei ricordi.
Guardavo quel programma di TV8 sull’ultimo ventennio, e a ogni evento storico che rievocavano mi stupivo come se il liceo fosse oggi e avessi il solito 3, ma in storia.
L’avvicendamento tra pontefici è di sette anni fa? Ma sembrano almeno venti. Lo tsunami è del 2004? Ma non è possibile, nel 2004 andai in Thailandia, non ricordo d’aver passato settimane a dire «Vi rendete conto, potevo esserci io» – ah, già: è perché non c’erano i social a farci venire la smania di protagonismo.
Dice il conduttore che fino al 2010 non ci facevamo neanche le foto col telefono. Ma siamo sicuri, io ricordo che la prima a scrivere “selfie” in un tweet fu Hillary in campagna elettorale, quindi doveva essere il 2008. Certo, potrei sbagliarmi, il mio rifiuto di questa barbara usanza induce rimozione.
La Costa Concordia è del 2012? Ma sembra ieri. Il ponte di Genova è di due anni fa? Ma sembra un secolo.
Non c’è una regola, gli avvenimenti sembrano del tutto a caso più distanti o più vicini.
Chissà se è lo stesso principio per cui si fa così fatica con le generazioni: su Twitter c’è gente che dà a Chiara Ferragni (33 anni) della boomer, che mi par di capire sia diventato sinonimo di «vecchia», epperò indicherebbe i nati nel dopoguerra (il dopoguerra della seconda guerra mondiale, non quello delle Falkland).
In compenso sui giornali c’è gente che chiama «millennial» i quindicenni, e i millennial sarebbero quelli nati nell’ultimo ventennio del Novecento, e invece a un certo punto dev’esser diventato sinonimo di «giovani», e vai a far capire a un giornalista che altro che esercito del twist, i millennial ormai hanno quarant’anni.
Essendo del 1972 sono troppo giovane per essere boomer (sarei della generazione X, ma –giacché l’italiano è elastico come il marmo e preferisce importare le parole direttamente dall’inglese – sono senza nome: se provi a far pronunciare a un italiano «genXer», la sua lingua s’annoda come neanche con «jobs act»).
Sono senza nome ma i millennial sono da sempre i miei scemi: è tradizione considerare tali quelli subito più piccoli, e io alle tradizioni ci tengo. Sono in abbondante compagnia: non conosco neanche un mio coetaneo che non consideri «millennial» il sinonimo di «perfetto cretino» (conosco perfino alcuni millennial che si reputano la più scema generazione di tutti i tempi).
Solo che quello di cui non si sono accorti i giornali italiani è evidente ai frequentatori di Tik Tok, cioè gli adolescenti (la dicitura degli attuali adolescenti è generazione Z, casomai voleste esser precisi e disegnarvi uno schemino).
«Hanno 34 anni e parlano di farsi le canne»: si percepisce il «34 anni» detto come noi diremmo «105». Su Tik Tok, ho scoperto ieri subito dopo aver capito che non serviva iscriversi, potevo spiare i quindicenni da un account altrui, i millennial vengono irrisi come dei vecchi tromboni. Non è bellissimo che i nostri mocciosi siano i matusa di qualcun altro?
«Fanno i test su Buzzfeed» (alla loro età, ma non si vergognano). «S’impermaliscono se gli tocchi Harry Potter» (questo è il commento su cui ho iniziato a percepirmi come De Niro in Taxi Driver: è solo per caso che non mi sono mai presa a cuore Harry Potter, ma ho molte coetanee che guai se glielo tocchi, e giuro che sono normodotate – anche se adesso, mentre scrivo che conosco ultraquarantenni che feticizzano una storia di maghi, inizio a dubitare che siamo tanto meno scemi dei millennial).
«E perché, quelli che chiamano i figli come i personaggi dei videogiochi?» (oddio, questo non lo sapevo; che umiliazione, una vita a rimarcare la scemenza dei millennial e poi il primo quindicenne che passa è un osservatore più acuto di me).
«O quando dicono “cheppalle fare l’adulta, datemi una pizza al taglio e un bicchiere di vino”: Rebecca, hai 32 anni e sei un’alcolizzata, su» (ma anche noi quasi cinquantenni che ci ostiniamo a non apparecchiare facciamo quest’effetto agli adolescenti? Ragazzi, aspettate, posso spiegarvi, datemi il tempo d’aprire un’altra bottiglia).
«Non fanno altro che bere vino, postare meme imbarazzanti sull’essere cresciuti negli anni 90, parlare di start-up, e mentire» (non fosse per le start-up, penserei stessero parlando di me).
È solo quando arrivo al commento che dice «Penso che tutte le generazioni concordino: i millennial sono un errore» che intravedo la salvezza. L’alleanza contro i millennial. Quindicenni venite parvulos, diventiamo soci, fatevi vampirizzare, serve sangue fresco per disprezzare meglio il fratello di mezzo, quello che non è né maggiore né minore epperciò gli toccano tutte le vessazioni. Vieni a me, generazione Z, mi verso un bicchiere di vino, tanto per cominciare insegnami a usare Tik Tok: si può fare anche senza balletti?