La cura è peggio della malattiaIl pasticcio Autostrade è l’ennesima dimostrazione di un governo che vive alla giornata

Conte voleva una revoca che non c’è stata, ma mette una pezza qui e una là confermando di non avere un progetto generale di riforme per l’Italia. Intanto all’interno della maggioranza nessuno si fida di nessuno e questa storia rischia di avere delle ripercussioni sul futuro dell’esecutivo

ANDREAS SOLARO / AFP

Voleva la revoca, Giuseppe Conte, più che mai nei panni dell’avvocato del popolo, e con lui tutto il codazzo grillino: ma la revoca non c’è. Ricordate l’intervista al Fatto? Conte sembrava Saint-Just: «Sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i Benetton».

E invece in una calda notte d’estate alla fine è spuntata una soluzione più complessa, vedremo se di facile applicabilità, vedremo quanto onerosa per i cittadini (Carlo Cottarelli dice: «Peccato che non si sappia il prezzo a cui Cdp acquisterebbe la maggioranza di Aspi. Ma che accordo è se non si sa il prezzo?»), vedremo quanto positiva per i Benetton.

Anzi, a proposito del gran balzo in Borsa, dice Enrico Zanetti, economista e ex deputato montiano: «Chi ha comprato azioni Atlantia dopo le assai bellicose dichiarazioni diurne del Premier sulla revoca, ma prima del meno bellicoso CdM notturno che dispone l’acquisto (a pagamento) del controllo, ha fatto un affarone». C’è qualcosa che non quadra, cara Consob?

Nella maggioranza tutti tirano un sospiro di sollievo per la scampata crisi e per aver escogitato una soluzione che poteva essere adottata due anni fa, ma sotto il tappeto propagandistico di Casalino si annida una semmai accresciuta quantità di polvere. È stata una notte di battaglia, di quelle che lasciano cicatrici e lividi. Nessuno si fida di nessuno.

Una parte del Partito democratico, quella più “riformista”, ce l’ha con un premier che passa disinvoltamente da Andreotti a Di Battista per finire Forlani; l’altra metà, quello più “di sinistra”, ormai filogrillina, s’inebria di una novella statalizzazione dell’economia come se fossimo nel 1917; Renzi considera ciò che è avvenuto una colossale perdita di tempo e appare scettico su tutto; i grillini fanno finta di avere sconfitto “i potenti” con la stessa ebbrezza della notte sul balcone di Palazzo Chigi quando urlarono di aver abolito la povertà.

Conte mette una pezza qui e una là ma conferma di essere privo di un progetto generale di riforme per l’Italia ed è sempre l’uomo di villa Pamphilj che sorride a tutti e non decide niente (che fine ha fatto la discussione sull’Iva? Che ne è del piano Colao? Che si fa sul fisco, sulla scuola, sulla sanità, sulle infrastrutture?).

Il risultato è come quando suona la campanella della ricreazione, oggi niente interrogazione. Fuori, il clima resta appiccicoso, molle.

Ed è proprio questa “mollezza” intrinseca di una maggioranza nella quale ognuno cerca di fregare voti all’altro, questa eterogeneità che nessun abracadabra può celare, che fa storcere il naso ai partner europei che ancora aspettano di capire quali siano le riforme strutturali che questo governo ha in mente.

Qui casca l’asino: una coalizione senza bussola come questa difficilmente risulta convincente quando si tratta di bussare a soldi. Lo vedremo la settimana prossima al Consiglio europeo, un appuntamento cruciale al quale ci presentiamo come la solita Italietta che non sta predisponendo nulla di serio per un autunno difficile come quello che si prospetta ma intanto chiede denari.

Ecco perché il problema politico di un governo che vive alla giornata resta lì, in balia degli strepiti dei populisti e dei sondaggi del lunedì. Ma quando la politica passa dalle mani del Parlamento a quelle del sondaggista Pagnoncelli vuol dire che il futuro di questa strana alleanza di governo è incerto molto più di quanto suggeriscano le sceneggiate di giubilo dei populisti.