C'è del marcio nelle cucineLe colpe dei media gastronomici, i cuochi che si ribellano

Kate Telfeyan si scaglia contro i media gastronomici che sbagliano a idolatrare gli chef, e Monica Burton scrive dei cuochi che usano la propria visibilità social per denunciare discriminazioni e sfruttamento. E poi un bel ritratto di Henry Hitchings su due grandi ristoratori londinesi, coltivare l'orto secondo Samin Nosrat, e l'arte intorno al cibo quotidiano di Itsuo Kobayashi

How Food Media Created Monsters in the Kitchen – The New Republic, 15 luglio

Lo abbiamo scritto e ripetuto più volte nelle ultime settimane: negli Stati Uniti è in corso un dibattito infuocato intorno alla ristorazione e ai media gastronomici, sulla scia delle numerose denunce di comportamenti discriminatori di alcuni personaggi molto noti dei due ambiti, che si tratti di razzismo, di sessismo, o di sfruttamento lavorativo. Vale la pena condividere e commentare l’ennesimo articolo che affronta la questione per due motivi: perché è scritto da una cuoca, la newyorchese Kate Telfeyan, e perché sviluppa un’argomentazione molto efficace. Nello specifico l’autrice sottolinea le responsabilità dei media gastronomici nel mitizzare certi cuochi e ristoratori, senza considerare cosa succede dietro le quinte delle loro cucine e dei loro ristoranti. Attenzione: qui non c’entra affatto il dibattito sulla cancel culture e sull’indignazione a mezzo social. Non stiamo parlando di personaggi che vengono colpevolizzati per le loro idee o per i loro “vizi”. Non stiamo parlando dello scrittore apertamente nazista Knut Hamsun e dei suoi libri clamorosamente belli, né di Kevin Spacey e della sua espulsione da House of Cards a causa di accuse poi decadute. Stiamo parlando di cuochi e ristoratori che si sono resi colpevoli di comportamenti illegali, violenti o fortemente discriminatori proprio sul luogo di lavoro, quello stesso luogo in cui vengono serviti i piatti che i giornalisti gastronomici spesso incensano, così concorrendo alla mitizzazione dello chef di turno. Insomma, Telfeyan sostiene che i media gastronomici si portano addosso una colpa enorme: quella di non guardare sotto la superficie di ciò che raccontano. E auspica che in futuro ci siano più giornalisti e scrittori gastronomici d’inchiesta, e meno penne “patinate”.

Amid Social Justice Protests, Another Wave of Reckonings Hits the Restaurant Industry – Eater, 10 luglio

Tra i mantra che sentiamo recitare di questi tempi c’è “niente sarà mai più come prima”. E anche se mentre ci raccontavamo che da questo 2020 saremmo usciti migliori ma in fondo speravamo di uscirne esattamente come prima e di tornare al più presto alla nostra placida normalità, ci sono una serie di cose che, perlomeno nel mondo del cibo, hanno le carte in regola per cambiare per sempre o quasi. La più politica di queste, come dimostra anche l’articolo precedente, è l’atteggiamento del mondo della ristorazione verso gli episodi di razzismo, sessismo e sfruttamento lavorativo. Il caso statunitense ancora una volta è esemplare: qui Monica Burton racconta come l’accresciuta consapevolezza della tossicità di certi ambienti di lavoro nella ristorazione stia spingendo tanti cuochi, anche di discreta fama, a utilizzare la propria visibilità, e nello specifico i propri canali social, per dare voce alle denunce di lavapiatti, camerieri e altri cuochi che si sentono vessati e vogliono vuotare il sacco, come si suol dire. Certo, dietro l’angolo c’è sempre il rischio di un avvitamento dell’indignazione, di una caccia alle streghe appiattita sulle presunte vittime e poco o per nulla garantista. Ma siccome discriminazione e sfruttamento continueranno a trovare spazio nel mondo della ristorazione, forse possiamo rallegrarci del fatto che anche da parte di chi questo mondo lo vive e a modo suo lo guida probabilmente ci sarà una maggiore sensibilità e voglia di prendere posizione.

The pleasure principle: why restaurants matter – 1843, 14 luglio

In questo lungo articolo Henry Hitchings non racconta soltanto la storia di Chris Corbin e Jeremy King, i due imprenditori della ristorazione londinese che hanno aperto alcune delle insegne più prestigiose e sempreverdi della città. Attraverso il loro percorso e i loro occhi l’autore cerca infatti di svelare quali sono le dinamiche più o meno nascoste che spingono le persone ad andare a mangiare fuori, a preferire un locale in particolare, a sentirsi a proprio agio in una sala piena di estranei. Anche se il mondo che i due imprenditori hanno costruito è lontano anni luce da quello delle nostre osterie, popolari e informali, il segreto è più o meno lo stesso. E, guarda un po’, ha ben poco a che vedere con il cibo. Si esce a mangiare per stare bene, per l’atmosfera conviviale, per sentirsi coccolati, compresi, soddisfatti. Si esce per scegliere cosa mangiare liberamente, senza i limiti e le imposizioni dei menu degustazione obbligati. Si esce per staccare, per abbassare la guardia, per non doversi concentrare su ogni singolo piatto. Poi certo, è pur vero che c’è un altro modo di andare al ristorante, che mette giustamente al centro l’altissima qualità del cibo e l’esperienza gastronomica vera e propria. Ma la stragrande maggioranza di coloro che mangiano fuori antepongono la socialità al piatto, e comunque senza una buona socialità anche i gastronomi più incalliti avranno qualcosa da ridire, pure sul ristorante di alto livello.

Gardening Made Me Happier. It Will Work for You, Too – The New York Times Magazine, 15 luglio

Samin Nosrat è cuoca-scrittrice, autrice di libri di cucina e personaggio televisivo ben noto a chi bazzica il mondo gastronomico. In questo articolo racconta, con uno sguardo molto personale, il suo rapporto con la coltivazione degli ortaggi, non solamente in un’ottica alimentare, ma anche come attività in grado di alleviare sofferenze, stress, e preoccupazioni. E sottolinea come, soprattutto durante i mesi del lockdown, sia stato importante recuperare un rapporto più intimo con la terra e i frutti della natura.

Meet the Former Cook Who Draws His Every Meal – Gastro Obscura, 13 luglio

Itsuo Kobayashi è un ex cuoco giapponese che è diventato famoso negli ultimi tempi grazie ai suoi disegni, che ritraggono ciò che mangia quotidianamente. Costretto a letto a causa della malattia, “allergico” alla lettura o ad altre attività, ha deciso di investire tutto il suo tempo e le sue energie in questa forma di espressione artistica, producendo opere di grandissimo impatto, al punto che sono state notate da appassionati d’arte, galleristi e collezionisti di tutto il mondo.

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