Politica fictionDialogo Mes-tream fra Conte ”Drogo” e Sánchez “Godot”

Se si cercano su Google i nomi del primo ministro spagnolo e di quello italiano i primi risultati sono l’allenatore e l’attaccante cileno dell’Inter. L’incontro bilaterale di domani al Palacio della Moncloa, quindi, non va preso troppo sul serio. Dobbiamo immaginarlo come un dialogo surreale in sei atti

Afp

Nota indispensabile per i lettori: ero davanti al mio computer, nel mio angolo di lavoro lockdown, una sera della settimana scorsa. Pensando all’arrivo di Giuseppe Conte a Madrid, ho fatto il primo passo, quello che farebbe ogni giornalista coraggioso. Il rito iniziatico di ogni inchiesta Pulitzer, il battesimo fugace della saggezza contemporanea. Ho aperto google news e ho scritto “Conte Sanchez”. 

Quel che è apparso ai miei occhi come primo risultato è stato un lampo di sincerità surreale. Leggo: «Antonio Conte: I expect Alexis Sánchez to be better». 

Dopo aver letto questo, non potevo scrivere un pezzo “normale”. Arrendiamoci all’evidenza, i Conte e Sánchez rilevanti non sono quelli che ci governano. Quindi non bisogna prendere tanto sul serio quello che succederà domani al Palacio della Moncloa. Immaginiamo allora, in sei atti, il dialogo surreale tra i secondi Conte-Sánchez delle nostre vite. Quelli meno importanti.

Atto I. Terzo cassetto a sinistra.

Otto di luglio alla Fortezza della Moncloa. Di giorno, Madrid è una pentola bollente. Di sera… beh, di sera esattamente lo stesso. Mica siamo al mare. I nostri due personaggi, che decideranno il futuro dell’Europa fra qualche giorno, stanno imparando a conoscersi meglio e la conversazione fila liscia. Conte chiama Sánchez «Pedro». Sánchez chiama Conte «Giu». Nessuno ha capito perché. Il dialogo avanza. Così come la complicità. 

Conte: Dai, parliamo del consiglio di Bruxelles.

Sánchez: Certo. È per quello che ti ho invitato, Giu. Dobbiamo essere uniti. Noi del sud non possiamo farci pestare i piedi da tre brontoloni del Nord. Ci giochiamo tanto con quei soldi lì. La ricostruzione dei nostri paesi. (Si alza, sguardo all’orizzonte). Due sistemi di salute forti. Le fondamenta del futuro…

C: (Lo interrompe, secco) Io quei soldi non li voglio.

S: Maccome. Io dovrei prendere più di 250 miliardi. E tu quasi 500. Forse non ti ho sentito. Non hai idea il casino che fanno gli uccelli di questo giardino (ride perché fa rima. Chiude la porta del balcone, visto che era già in piedi). 

C: Hai sentito bene. Non voglio i soldi del Mes.

S: Vediamo. I 220 della Bec per acquistare titoli te li prendi.

C: Certo.

S: I venti del Sure pure (ride ancora, si sente spiritoso), così come i 173 del Recovery Fund e anche i 40 della Bei.

C: Mica sono scemo.

S: Ma i 36 miliardi del MES no.

C: (Esasperato, alza la mano come un vigile urbano). Quelli sono un insulto. Non li voglio. Mi hanno convinto quelli del mio partito. 

S: Il Movimento 5 stelle non vuole quei 36 miliardi?

C: Vabbè. È lunga. Beppe Grillo li vuole. Di Battista non li vuole. E Di Maio dice di sì per bruciarmi ma in fondo non li vuole neanche lui.

S: (Annuisce e fa finta di sapere chi siano Di Maio e Di Battista). E tu cosa fai?

C: Io? Non faccio niente.

S: Sei saggio, Giu, sei saggio. Mi ricordi Rajoy.

Conte ghigna. Si sente bravo pure lui. Casalino aveva ragione. Si può fare.

S: Ma, senti, tu non eri indipendente dal Movimento 5 Stelle? 

C: Indipendente? Dipende.

S: Allora che ti frega. 36 miliardi. A costo quasi zero.

C: E la sovranità? Dove rimane la nostra sovranità, Pedro?

S: Boh, terzo cassetto a sinistra, con gli altri 450 miliardi che ti metti in tasca. Ohohohoh (Il ridere di Sánchez è come un tuono fuori luogo, eccessivamente grave, un po’ come Babbo Natale dopo due grappe). 

C: (A Conte non fa ridere la battuta) Dai, sul serio, rispondi.

S: Ve la prendete con la scarpa quando la colpa è del piede.

C: Guarda che non ci possiamo far dettare da Bruxelles le nostre politiche. I tempi sono cambiati.

S: Ma figuriamoci. Ci dicono anche quanti litri di latte possiamo produrre.

C: Ecco il problema.

S: Non ti piace il latte.

C: Senza lattosio. Ma non è quello il mio punto.

S: Questo comincia a non aver più senso.

C: Ne ha ancora troppo.

Atto II. I soldi “Mes-tream”

Conte e Sánchez, Sánchez e Conte continuano a cercare una possibile strategia comune a Bruxelles. Non si sono messi d’accordo ma chi va piano va lontano…

C: Non hai capito, Pedro. Arriviamo lì e diciamo che noi, i soldi del Mes, non li vogliamo. E così diventiamo Mes-tream, che è la parola di moda. (Conte ridacchia).

S: (Non fa una piega. Muso lungo) Ma noi siamo europeisti in Spagna. Cosa avremmo fatto senza i vostri soldi? Abbiamo una rete di trasporto della madonna. Abbiamo sviluppato il sud…

C: Anche noi, Pedro, anche noi. Beh, il sud esattamente non l’abbiamo sviluppato molto. Ma adesso lo sistemiamo col reddito di cittadinanza.

S: Ohohoh (la risa tuono scatta ancora). Questa è buona, Giù, sei uno spasso.

C: Lo dicevo sul serio.

S: Scusa. Prego. Continua. (Chiude il pugno davanti alla bocca, nascondendo le risate).

C: Io, almeno fino a settembre, non prendo niente. Ho rinviato la questione dei soldi.

S: Perché?

C: Perché ci saranno le elezioni.

S: Oh, ma sei complicato stasera. Ci sono le elezioni. E tu rifiuti 36 miliardi. Cosa mi sono perso della politica italiana?

C: M’ammazzano. E adesso che sto salendo nei sondaggi devo tenere duro.

S: Ti capisco, ma fidati che capita a tutti. Ci si illude di essere veramente bravi, invece è solo una questione di novità: oggi la novità sei tu, domani chissà. I buoni sondaggi passano.

C: Non ho capito perché, ma sta storia del Mes è diventata un simbolo. I soldi non guastano mai. Ma la maggioranza a Montecitorio è contro. (Si alzaGuarda il cielo della notte di Madrid). Pedro, un uomo non può andare contro il suo popolo. Anzi, contro la volontà del suo popolo. 

S: (Riflette, come se facesse dei calcoli mentali) Se io li prendo e tu li rifiuti, allora quelli del Nord penseranno che siamo ancora più spreconi di voi. E non scelgono Nadia Calviño (ministra dell’Economia del governo spagnolo, ndr) all’Eurogruppo. Peccato, perché ne ho bisogno. Noi eravamo fatti per seguire la stessa strada.

C: Non è sicuro.

S: No, non c’è niente di sicuro.

C: Possiamo sempre lasciarci prima del Consiglio, se credi, e ognuno per conto suo.

Atto III. I Mes-si della politica.

Sánchez pensa e ripensa e non la vede chiara. Non si vuole far fregare ma Conte è veemente, lucido, ha una risposta per tutto. Sembrerebbe un avvocato. Infatti… 

S: Ma Giu, fammi capire una cosa. 

C: Dimmi Pedro.

S: Mettiamo che ho bisogno dei 36 miliardi. Gli interessi sarebbero 30 milioni. Ma se vado sui mercati ne pago 500 milioni. Eh…

C: Non stare alle piccole cose, per favore, non stare alle piccole cose. Devi essere lungimirante. La Rivoluzione Francese non è stata un bene tangibile. Non farti piccolo. E poi, quei 36 miliardi, mica li paghi tu.

S: Che c’entra la Rivoluzione Francese.

C: In quale discussione politica non c’entra la Rivoluzione Francese?

S: Già, è vero. Quindi, se non prendo i soldi Mes-tream dici che la mia immagine sarà quella di un politico che non si arrende.

C: Uno che tiene duro. Uno che non si fa dettare dalla Germania la sua politica economica. 

S: Comincio a capire! Tutti quelli del Nord ci guarderanno allora come ai Mes-si della politica. Ohohoh (risata tuono inarrestabile).

C: Hai mai letto la Bibbia?

S: La Bibbia? Devo averci dato un’occhiata.

C: Un uomo deve essere fedele alle sue convinzioni fino alla fine. Non è che ci si può sempre piegare agli interessi materiali.

S: E quali sono le nostre convinzioni?

C: È quella la domanda importante. Hai capito tutto, Pedro.

Sánchez aspetta una risposta, ma Conte non dice niente. È contento di aver fatto una bella figura con la sua frase.

Atto IV. Quelli di sinistra

Sánchez cammina nella sala, nervoso, facendo dei girotondi. Conte invece è tranquillissimo. Una gamba incrociata sull’altra. 

S: Mah… ascolta. 

C: Dimmi Pedro. Fa un caldo boia in questa città. Mi fa pensare alla mia gioventù in Puglia. 

S: Pensa te. Ti piaceva? 

C: La gioventù?

S: Il caldo.

C: Mi volevi dire.

S: Il caldo.

C: Non, prima. Hai detto «ascolta».

S: Appunto. Quelli dello Psoe italiano, Partito democratico credo si chiamino, ma loro, sono convinti quanto te?

C: Forse.

S: Non ci credo.

C: Neanch’io. Ma è un po’ sempre così. Ti dico qualcosa in confidenza: loro sono dei teneroni. Brava gente. Mi piace la gente di sinistra ma non troppo.

S: Anche a me. Tu sei piuttosto di destra ma non troppo.

C: Avvocato. Sono bravo a mediare e salgo nei sondaggi.

S: Mi volevi dire.

C: Sono al 17% da solo.

S: Non. Prima. Il Partito democratico. 

C: Ma sono nel mio governo. Non possono fare niente. Non è che siano convinti, a dire la verità. Ma non è che non lo siano. Sembra difficile, e invece è semplicissimo. 

Atto V. La notte dei grandi abissi

La serata va avanti. Sánchez, prima sopraffatto dal senso di colpa, intravede l’orizzonte che si apre davanti a lui. Si sente vigoroso, lucido, ringiovanito.

S: Forse hai ragione. Dieci anni fa, avremmo preso sti soldi del Mes e ce ne saremmo andati. La gente sarebbe stata contenta. E tu avresti preso ancora più punti nei sondaggi. Ai tempi di Felipe Gonzalez, quando la politica era semplice.

C: Non diciamo male della nostra epoca, non è più disgraziata delle altre. (Silenzio).

S: Non ne diciamone neanche bene. (Silenzio)

C: Non ne parliamo. (Silenzio)

S: Sono arrivato qui pensando ai miei miliardi e oramai (piano piano diventa euforico) mi sentirei quasi sporco di prenderli. L’idea di aggrapparmi ai miei principi piuttosto che alla ragione mi fa sentire libero. Un po’ Don Quijote. Senza pesi. Come dopo una serata di yoga.

C: Fai lo yoga?

S: Quando non piove. Per l’artrite.

C: Dicono faccia bene.

S: È l’unico modo di passare dalla sinistra liberale a quella popolare e fare ancora un passo indietro senza avere dolore alla cervicale. L’ho imparato dal mio maestro, D’Alema Patanjali.

C: Una cosa è certa, però: il tempo è lungo, in queste condizioni, e ci spinge a popolarlo di movimenti, che, come dire, che possono a prima vista sembrare ragionevoli, ma ai quali noi siamo abituati. Tu mi dirai che è per impedire alla nostra ragione di colare a picco. D’accordo. Ma non sta forse già volando nella notte assoluta dei grandi abissi? È questo che mi chiedo talvolta. Mi segui?

S: Faccio un po’ fatica, a dir la verità. Ma ti capisco. 

C: Bravo. Tu non sei Di Maio. Gli dico le stesse cose ma non mi segue.

S: Io ti seguo, Giu. Ti seguo.

C: Chi può permettersi di dire cos’è ragionevole?

S: Appunto. Chi lo sa?

C: Chi lo sa. L’importante è che la pensiamo allo stesso modo: quei 36 miliardi sarebbero indecenti.

S: Assolutamente.

Atto 6. «Dai, apri il computer»

Oramai, entrambi sono convinti di rifiutare il prestito dell’Unione Europea per la ricostruzione dei sistemi di salute dopo la pandemia, il celebre Mes. Sono seduti sui divani. Rilassati. La cravatta di Conte è sul tavolo basso. Prendono un whisky.

C: Ti rendi conto che magari stasera verrà ricordata. Sarà l’inizio di qualcosa di grande.

S: Secondo me già c’è molta gente attenta a ciò che ci stiamo dicendo. Dai, facciamo una sciocchezza. Guardiamo su Google.

C: Anche tu lo fai spesso? 

S: E chi riesce a non farlo

C: Apri il computer. Metti: «Riunione Sánchez Conte».

S: No, secondo me meglio solo i cognomi, senza riunione. Così magari viene fuori qualcosa del Financial Times. 

C: Bravo. Conte allora. C-O… ma con la enne, non la emme. Mica sono un formaggio.

S: Oh oh oh. Scusa, Giu. Era una battuta. Fatto. E ora S-Á-N-C-H-E-Z. Premo “Enter”. 

“Antonio Conte: I expect Alexis Sánchez to be better”

Qualche tosse in sala. Giu si tira su la cravatta. Sánchez chiude il computer. Non s’incrociano gli sguardi. Il tono è cambiato. È scomparsa la complicità.

C: Ci vediamo allora a Bruxelles.

S: Ci vediamo a Bruxelles. Buonasera.

*Omaggio a “Aspettando Godot”, “Il deserto dei tartari” e tanti altri dialoghi assurdi ma essenziali della nostra vita.