In uno dei più classici esempi della tradizione napoletana c’è lo zampino della Francia. Ebbene sì, la cuccumella, la caffettiera diventata celebre perché Eduardo de Filippo la usò per esaltare le caratteristiche del caffè fatto all’ombra del Vesuvio, è nata Oltralpe. Più precisamente in una delle viuzze dietro il museo del Louvre, a Parigi, a pochi passi dal Pont Neuf. La cuccumella, dunque, è stata creata sulla Senna, per volontà di un tal monsieur Morize, stagnino, che al civico 10 di Rue Boucher ha creato la ‘caffettiera a doppio filtro senza evaporazione’.
A svelare l’identità tutta francese della cuccumella è un antico libro del 1820, Mémorial universel de l’industrie française des sciences et des arts, che racconta come Morize ottenne il brevetto per cinque anni. “Nella caffettiera, per la quale questo produttore ha ottenuto un brevetto quinquennale, i filtri sono rimovibili, facili da pulire e non possono mai ostruirsi – si legge – Il caffè conserva la sua fragranza e la qualità che lo rende così necessario per gli uomini di lettere o di gabinetto e tutti coloro che lo usano regolarmente”.
Agli inizi dell’Ottocento a Parigi ci fu un pullulare di brevetti simili a quello di Morize: quello al numero 182 vede la firma dei ‘signori Denohe, Henrion e Rouch’ che crearono la loro ‘caffettiera farmaco-chimica’ in rue de Richelieu, il 25 marzo 1802. Il 350 è invece il brevetto depositato il 20 giugno 1806 dal signor Hadrot, stagnino come Morize, che creò una ‘caffettiera filtrante senza ebollizione e a bagno d’aria’, in rue Saint-Saveur 43. Poi fu la volta del ‘signor Sené’, sempre di Parigi, che a passage du Saumon 31-32 ne brevettò un’altra registrata al numero 898 il 17 novembre 1815. Ma la fantasia francese per il caffè non si limitò qui: agli atti risulta anche il brevetto 1275 le cui cronache ricordano come venisse valutato sei franchi ma che, poco dopo, passò prima a 10, 12 e poi 15 franchi.
Insomma, questi gli avi della cuccumella napoletana, lanciata da Eduardo in ‘Questi fantasmi’, quando Pasquale si affaccia dal balcone e si rivolge al professor Santanna.
“Professo’, a tutto rinunzierei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente, fuori al balcone, dopo quella mezz’oretta di sonno che uno si è fatto dopo pranzo”, dice Pasquale. “ E me la devo preparare io stesso, con le mie mani. Sono gelosissimo”, aggiunge. “Chi mai potrebbe prepararmi una tazzina di caffè come me la preparo io, con lo stesso zelo – prosegue rivolgendosi a Santanna – con lo stesso amore. Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente”.
Poi parla del beccuccio di carta: “Sul becco io ci metto questo coppitello di carta. Sembra niente, ma questo coppitello ha la sua funzione… E già perché il fumo denso del primo caffè, che è poi quello più carico, non si disperde, anzi rimane dentro, profuma tutto l’ambiente e lo prepara per la sostanza, il caffè”.
“Prima di versare l’acqua – sottolinea Pasquale in ‘Questi Fantasmi’ – nella parte interna della capsula bucherellata, sul fondo, bisogna cospargervi in precedenza un mezzo cucchiaino di polvere appena macinata. E’ un piccolo segreto: l’acqua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo nel momento della colata. Nel monologo Pasquale dice di tostarsi il caffè da solo. Un’operazione non facile, ma lui ha un trucco: tostarlo fino a quando i chicchi diventano color “manto di monaco”.
Ma il caffè a Napoli era già noto. Lo portò la giovane austriaca Charlotte, così come veniva chiamata Maria Carolina, l’arciduchessa d’Austria, regina consorte di Ferdinando IV re di Napoli, poi diventato Ferdinando I delle Due Sicilie: fece nascere 18 figli, di cui 11 non sopravvissero all’infanzia. Aveva 19 anni, era al quarto di matrimonio, quando nel 1771, durante un ballo nella Reggia di Caserta volle far assaggiare agli ospiti una bevanda dal colore scuro. Da quel momento, secondo la tradizione, nacque la passione dei napoletani per il caffè.