L’esperto giocoliereIl funambolico Giuseppe Conte è davvero l’uomo della provvidenza?

In una sorta di laica immacolata concezione, il premier è passato dalle grinfie demoniache di Salvini a politico santificato e navigato statista. La storia ci insegna però che si possono fare grandi cose nonostante la mediocrità personale, ma non si può puntare solo sulla capacità di trasformazione

Tiziana FABI / AFP

Per molti mesi ancora Giuseppe Conte sarà intoccabile e difficilmente se ne potrà parlare con obiettività senza scontrarsi con folle adoranti che ne celebrano il successo, “senza se e senza ma” al Consiglio Europeo di Bruxelles. Le definizioni si sprecano ed uno sforzo immaginifico sembra mettere alla prova le meningi di molti commentatori con l‘occhio allo share, ammiccanti a future opportunità derivanti dall‘ascesa mediatica dell‘“avvocato del popolo”.

Salutato come salvatore della Patria, grande statista e mediatore dalle capacità straordinarie, corroborato dalle inevitabili parole di compiacimento del Capo dello Stato e da quelle scontate del Presidente della Camera, ci si attende ora che anche la Chiesa Cattolica, a cui non è stato finora sgradito, gli attribuisca il massimo riconoscimento che l‘oltre Tevere ebbe a riservare in passato ad un altro Presidente del Consiglio italiano.

No. Non fu ad Alcide De Gasperi che pure aveva sottratto il Paese all‘orbita incombente dell‘Unione Sovietica né ad Aldo Moro a cui Papa Montini riservò solo le parole accorate di un amico carissimo. La definizione fatale di “Uomo della Provvidenza” fu per Benito Mussolini, l‘uomo che poneva fine al non expedit seguito all‘onta della conquista manu militari di Roma nel 1870 e riapriva ai cattolici osservanti le vie della politica nazionale. Con il Concordato firmato l‘11 febbraio del 1929 dal Cardinale Gasparri e dal Duce del Fascismo nel Palazzo del Laterano, veniva riconosciuto il carattere cattolico dello Stato Italiano; assicurato il libero potere spirituale della Chiesa e la libertà di culto; stabiliti gli effetti civili del matrimonio canonico e l‘obbligatorietà dell‘insegnamento della dottrina cattolica nelle scuole.

Ad avversare visceralmente la decisione del regime fascista fu il filosofo e senatore liberale Benedetto Croce che vedeva nella Chiesa un‘istituzione oscurantista mossa soltanto da interessi temporali, tanto che in aula affermò che essa aveva «peccato contro lo Spirito, non rappresentando ormai nulla, se non un complesso di mire economiche e politiche»

Croce continuò a manifestare la propria avversione al Concordato – come ha ricordato lo scrittore Vittorio Messori in un articolo ripubblicato in Emporio Cattolico. Uno sguardo diverso su attualità e storia (Sugarco Edizioni) – e in un piccolo libro edito dopo la caduta del fascismo e intitolato Per la nuova vita d‘Italia: «Nessuno può dimenticare Pio XI, che inneggiò a “l‘uomo della Provvidenza”, con il quale strinse i tristemente noti accordi. Quasi a voler denotare una sorta di “patto mistico-politico tra la Chiesa e il fascismo”

Durante l‘udienza che Papa Ratti concesse, tre giorni dopo la firma dei Patti, il 13 febbraio del 1929, ai professori e agli studenti della giovane Università Cattolica di Milano, il Pontefice affermò: «Dobbiamo dire che siamo stati anche dall‘altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi».

Non ci sono ancora notizie circa una prossima visita ad limina del Premier italiano in Vaticano ma già nell‘articolo pubblicato su Avvenire, quotidiano della Conferenza Episcopale italiana, del 22 luglio si legge, a firma di Angelo Picariello, la seguente apertura «Da ex ‘burattino‘, ostaggio dei due vicepremier, a protagonista assoluto di un‘estenuante trattativa in un Consiglio Europeo tra i più difficili, che assegna alla fine all‘Italia più di 200 miliardi»

Più cauto era stato l‘Osservatore Romano in un‘intervista di Alessandro Gisotti a Giuseppe Conte dell‘8 aprile, alla vigilia di una Settimana Santa, celebrata in lockdown, riportando le parole del Premier.

«Il messaggio del Papa mi ha trasmesso forza. Avverto quotidianamente la sofferenza e il dolore di tante, troppe famiglie che hanno perso i propri cari, che hanno perso il lavoro, che rischiano di perdere fiducia e speranza nel futuro. E avverto, insieme, tutta la responsabilità di decisioni difficili ma necessarie. Penso, ad esempio, a quelle che hanno portato a limitazioni di alcune libertà fondamentali dei cittadini. Come ha osservato il Santo Padre, chi ha l‘autorità per compiere queste difficili scelte si può sentire solo. Ma nel mio animo alberga anche l‘orgoglio di guidare un Paese che si sta mostrando una comunità unita, coesa, solidale. Gli italiani stanno dando grande prova di coraggio, compostezza, resilienza. Il mondo ci guarda e ci ammira.»

E, riguardo al divieto di celebrare messe con il popolo, Conte affermava di comprendere «il rammarico che l‘intera comunità di fedeli prova nel vivere una Pasqua diversa, lontani dal calore e dall‘affetto dei propri cari, impossibilitati a partecipare alle celebrazioni del Triduo, culmine e centro dell‘anno liturgico, a cui il nostro popolo è così legato».

Insomma, il rapporto con Presidente della CEI, Cardinale Gualtiero Bassetti, confluito nell‘Accordo circa la riaperture delle chiese a partire del 18 maggio e in questi giorni l‘approvazione alla Camera dei Deputati del Family Act, volto a contenere la denatalità attraverso politiche di sostegno economico e sociale alle famiglie, predisposto dalla ministra scout Elena Bonetti (eletta nel Partito democratico ed emigrata tra i primi a Italia Viva) che già lo aveva annunciato prima dell‘emergenza sanitaria, fanno di Giuseppe Conte un “miracolo vivente” in quanto uomo folgorato sulla via di Damasco e passato, in una sorta di laica immacolata concezione, dalle grinfie demoniache di Salvini ad angelo custode della cattolicità.

Ma, si chiede chi scrive, in preda ad una crisi mnemonica in cui si alternano ricordi del passato e timori per il futuro, come si diventa uomo della provvidenza, con o senza l‘iniziale maiuscola? E, tale destino attiene ai meriti, alle qualità personali o alle circostanze in cui egli si manifesta? La Storia ci viene in soccorso, ancora una volta, riandando ad alcuni immensi personaggi che, nonostante la mediocrità personale, hanno determinato il destino dell‘Umanità.

Destinato ad una modesta carriera militare, anche in sospetto delle idee autonomiste sulla Corsica, la fortuna arrise a Napoleone Bonaparte quando il 13 vendemmiaio (5 ottobre 1795) Barras lo nominò, all‘improvviso, comandante della piazza di Parigi, con l‘incarico di salvare la Convenzione nazionale dalla minaccia dei monarchici.

Con l‘aiuto di Gioacchino Murat al comando della cavalleria, Napoleone colpì spietatamente i rivoltosi scongiurando un nuovo colpo di Stato. In seguito al brillante successo, Barras lo nominò generale del Corpo d‘armata dell‘Interno Con l‘elezione dei tre Consoli, Roger Ducos, Sieyès e il giovane generale Napoleone che aveva difeso Parigi dal tentato golpe,  l‘evoluzione della rivoluzione si stava ormai riportando verso forme di governo più aristocratico, dimostrandosi non praticabili molte delle teorie radicali emerse nella rivoluzione. Nel pensiero politico di Sieyès, il Consolato avrebbe dovuto essere un governo dei notabili, che assicurasse la democrazia attraverso un complesso equilibrio di poteri. Questo progetto fu mandato all‘aria da Napoleone il quale, pur in teoria detentore del solo potere esecutivo, aveva in realtà facile gioco nello scavalcare quello legislativo frammentato in ben quattro Camere. Il Primo Console era in già in marcia verso l‘impero.

«Ho visto l‘imperatore – quest‘anima del mondo – uscire dalla città per andare in ricognizione. È veramente una sensazione meravigliosa vedere un simile individuo che, concentrato qui su un punto, seduto a cavallo, si estende sul mondo e lo domina » Così Hegel su Napoleone Bonaparte  in Fenomenologia dello Spirito, p. 12. Eppure la carriera del giovane ufficiale corso era iniziata all‘insegna del separatismo dalla Francia e dell‘avversione nei confronti dell‘istituzione regia.

Dopo una lunga serie di successi militari il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, Napoleone, già imperatore dei francesi dal 1804, fu incoronato Re d‘Italia. In quella occasione Napoleone, postosi sul capo la corona imperiale, pronunciò le famose parole: «Dio me l‘ha data, guai a chi la tocca!».

Fu in sostanza un nuovo re dei francesi, tanto che da lui hanno origine molte delle attuali monarchie moderne europee; e fu a tutti gli effetti una monarchia, poiché Napoleone era padrone assoluto, anche se tale istituzione non si rifaceva alla nobiltà feudale dell‘Ancien Régime, consentendo che si attuassero alcuni princìpi illuministici della borghesia.

Nel Gesuita moderno Vincenzo Gioberti afferma che Napoleone è stato mandato dalla Provvidenza perché salvasse il cattolicesimo e insieme la civiltà «Or che fece la Provvidenza, mallevadrice di eternità alla civiltà come alla chiesa? Suscitò un uomo, perché anche qui, come ai tempi d‘Ildebrando, la salute non poteva procedere che da una mente unica. E benché lo scegliesse di animo, di genio, d‘ingegno squisitamente italico, poiché si trattava di sovvenire non solo all‘Italia, ma all‘Europa meridionale, non volle che fosse di una lingua sola, ma di molte, e come dir poliglotto; e lo elesse italogallo, facendolo nascere in una isola nostrale e da famiglia italiana antichissima, ma nel punto che quella accoglieva‘l‘insegna francese: lo educò in Francia, cagione della sua fortuna, ma lo fregiò dei primi allori in Italia, centro precoce della sua gloria… ».

A differenza di Ugo Foscolo e di Vincenzo Monti che lo glorificarono, Alessandro Manzoni con la stesura dell‘ode  Il cinque maggio, non intense santificare la figura di Napoleone, né muovere a pietà il lettore per il suo trapasso, bensì illustrare il ruolo salvifico della Grazia divina, offrendo al contempo uno spaccato esistenziale della vita di Napoleone e nella domanda “Fu vera gloria? Ai posteri l‘ardua sentenza” sintetizzò la sospensione del giudizio storico. 

Tuttavia tale meditabonda riflessione è accompagnata da un elenco dei sentimenti che hanno tempestato l‘animo di Napoleone durante la sua ascesa al potere: la gioia ansiosa e trepidante che si dispiega nell‘animo alla realizzazione di un grande progetto, l‘insofferenza di un animo ribelle che, non domato, si sottopone agli altri, ma che pensa al potere, e l‘esultanza che sostenne il suo trionfo imperiale, che era quasi folle ritenere possibile.

Durante l‘esilio nell‘isola sperduta di Sant‘Elena, di se stesso scrisse: «“L‘arte d‘essere ora audace ora prudentissimo è l‘arte di riuscire». Sessant‘anni dopo, un giovane ed intraprendente conservatore inglese del ramo cadetto della casata di Marlborourg e come tale nato nella residenza avita di Blenheim, sorse nella storia dell‘Inghilterra vittoriana. Winston Churchill non brillava negli studi, né nella vita militare a cui era stato avviato dal padre, ormai disincantato circa il futuro del deludente primogenito.

Molte però furono le circostanze che lo portarono ad essere ciò per cui viene ricordato. Inviato in India in Sudan e in Sud Africa, non stimato dai propri superiori tra cui Lord Kitchener che sosteneva che il giovane Churchill fosse solo in cerca di fama e di medaglie,  si distinse non tanto per il valore sul campo quanto per i reportage di grande efficacia che ne diffusero in patria la fama. Catturato dai Boeri e rinchiuso in un campo di prigionia a Pretoria, insieme ad altri due prigionieri riuscì evadere attraverso i bagni . Si nascose dapprima in un treno abbandonato e poi in una miniera appartenente a un simpatizzante dei britannici. Ricercato dai boeri, Churchill riuscì infine a nascondersi su un convoglio che lo portò al sicuro nell‘Africa Orientale Portoghese. La cronaca delle sue avventure rocambolesche fu diffusa dal telegrafo in ogni parte del mondo e gli assicurò un seggio in Parlamento tra le file dei tories. 

Oltre all‘immensa storiografia, due grandi film ne hanno immortalano le gesta: Gli anni dell‘avventura (Young Winston) del 1972, interpretato da Simone Ward e diretto da Richard Attenborough, in cui la narrazione si arresta al matrimonio con Miss Clementine Hozie che lo accompagnerà per l‘intera vita e il gigantesco L‘ora più buia (Darkest Hour) del 2017,  diretto da Joe Wright e interpretato da Gary Oldman nel ruolo del Primo Ministro britannico, che descrive la Battaglia dei Cieli d‘Inghilterra combattuta dalla Royal Air Force durante la seconda guerra mondiale contro la Luftwaffe, tra l‘ estate e l‘autunno del 1940.

Winston Churchill era stato notevole giornalista ed ottimo venditore della propria immagine ma pessimo oratore, politico di seconda fila per decenni e inadeguato stratega come quando nella Prima Guerra Mondiale ebbe l‘incarico di Primo Lord dell‘Ammiragliato e divenne tra i principali responsabili della disfatta di Gallipoli nel 1915, in cui perirono duecentocinquantamila soldati della Triplice Alleanza. Fu la prima Dunkerque della sua vita.

Destinato ad una vita politica marginale e già quasi settantenne, ebbe la sua grande occasione dopo il fallimento degli accordi di Monaco, di cui aveva vaticinato l‘inutilità, quando, a seguito delle dimissioni di Neville Chamberlain, il 10 maggio del 1940 fu chiamato da Giorgio VI a presiedere il governo conservatore, mentre già infuriava la guerra lampo di Hitler, scoppiata nel settembre dell‘anno precedente.

La storia successiva è nota. Con il carattere e la determinazione di cui nessuno più lo accreditava, il dandy frivolo e narcisista della gioventù si trasformò in quel bulldog con le cui sembianze è stato spesso raffigurato. Seppur con l‘aiuto determinante dei convogli navali americani e del successivo ingresso degli USA nel conflitto, vinse la guerra rinsaldò il mondo libero e contribuì a proteggere il mondo dalle mire di Stalin. Le circostanze ne avevano fatto un campione mondiale della libertà e della democrazia. Tra la generale sorpresa, fu sconfitto alle elezioni del 1945 da un paese populista ante litteram che aspirava ad un welfare diffuso e generalizzato che egli non avrebbe mai potuto né voluto offrire e che sarebbe toccato a Margaret Thatcher negli anni ‘80 ridimensionare a prezzo di enormi sacrifici. Di Winston Churchill oggi, sull‘onda una nuova ondata di populismo in salsa Brexit, si discute se abbattere la statua in Parliament Square.

Una frase mi colpisce tra le tante memorabili: «Arriva un momento speciale nella vita di tutti, un momento per il quale quella persona è nata. Quella speciale opportunità, quando egli la coglie, soddisferà la sua missione – una missione per la quale egli è singolarmente qualificato. In quel momento, egli trova la grandezza. È la sua ora più bella.» Per quanto agnostico ed appassionato di esoterismo, fu uomo della provvidenza per il mondo intero.

Questa immersione della storia era cominciata da una domanda fatale: come si diventa uomo della provvidenza, con o senza l‘iniziale maiuscola ? E, tale destino attiene ai meriti, alle qualità personali o alle circostanze in cui egli si manifesta ?

Domande non facili della cui risposta, pur avendo in merito una precisa opinione, preferisco incaricare un grande maestro di giornalismo, Arrigo Petacco autore de L‘uomo della Provvidenza. Mussolini ascesa e caduta di un mito (Le Scie, Mondadori, 2004)

«Rivoluzionario, socialista, pacifista, interventista, repubblicano, monarchico, e infine Duce e condottiero, egli si distingue da Lenin, da Hitler e dagli altri dittatori del suo tempo proprio per questa sua funambolica capacità di trasformarsi. Quelli conquistarono il potere fidando su incrollabili certezza e obbedendo a schemi precedentemente stabiliti, lui lo conquistò mutando i suoi programmi in corso d‘opera con la disinvoltura di un esperto giocoliere».

Chi oggi immagina di presentarsi con tale aureola affascinante e pericolosa ricordi che gli italiani hanno sempre amato due Loreto: la prima, sede del più fervente culto mariano, la seconda – più o meno simbolica – quella del piazzale, dove confluì la rabbia animalesca di un popolo troppo a lungo plaudente, quando vide infrante le promesse irrealizzabili e deluse le speranze troppo facilmente declamate da colui che essi stessi avevano idolatrato come “l‘Uomo della Provvidenza”.

X