Il cucchiaio a ungheresi e polacchiL’Europa riconosce che l’Italia di Conte è nei guai, meglio non esultare

Il premier ha ottenuto più di quanto avrebbe ricevuto il suo predecessore (ne ricordate il nome?) e meno di quanto avrebbe strappato qualsiasi governo senza scheletri sovranisti e populisti in bella vista. I soldi arrivano perché la nostra crisi economica, anche pre Covid, è peggiore di quella degli altri. Quindi meno meme trionfali e più progetti per ricostruire il paese

FRANCK FIFE / AFP

Giuseppe Conte ha ottenuto per l’Italia più di quanto avrebbe ottenuto l’anno scorso quel suo predecessore che si chiamava, non so se ve lo ricordate, Giuseppe Conte, e meno di quanto avrebbe ottenuto un qualsiasi altro premier privo di quelle condizionalità associate al suo curriculum da ex vice di Salvini e Di Maio e da attuale vice di Rocco Casalino e Marco Travaglio.

Insomma, Conte non ha fatto il cucchiaio a Rutte, non è il Pupone del popolo, è un mestierante tornato a casa con un buon risultato conseguito grazie alla credibilità europea del Pd e che avrebbe conquistato senza l’agitazione di questi giorni se non si fosse presentato a Bruxelles come il premier di quota 100, del reddito di cittadinanza e dell’indisponibilità a usufruire dei soldi del Mes per ragioni incomprensibili.

C’è da aggiungere un altro aspetto, che nella propaganda abilmente orchestrata da Casalino è stato cancellato: i 209 miliardi non sono stati assegnati all’Italia perché siamo belli e bravi né perché siamo il paese più colpito dalla pandemia, per quello c’era il Mes, ma perché la nostra economia è in condizioni peggiori delle altre, perché il prodotto interno lordo italiano languiva anche prima del Covid, perché nei due anni di cura Conte sono state sprecate risorse miliardarie in misure di assistenzialismo improduttivo, perché i consulenti economici del premier sono un fuori di testa amico di Grillo e Casaleggio che vaneggia di economia blu e una stimata professoressa che vorrebbe far produrre allo Stato anche le angurie.

Esultare come se avessimo vinto il mondiale, darsi pacche sulle spalle da consumati giocatori di poker e creare meme imbecilli sui social perché è stato riconosciuto che abbiamo la recessione più grave d’Europa, portandone peraltro il peso della responsabilità, è perlomeno grottesco e certamente non dovrebbe costituire titolo di merito. Tanto più che non c’è uno straccio di piano su che cosa fare con i 209 miliardi che arriveranno nella seconda metà del 2021, sempre che il paese regga fino a quella data.

Una cosa però va riconosciuta a Conte e Casalino: arrivati a Palazzo Chigi l’uno come segnaposto e l’altro come badante per conto di Casaleggio, oggi non sono più dilettanti allo sbaraglio, ormai sono veterani della politica, di Roma e dei vertici europei, temprati da crisi di governo, alleanze acrobatiche ed emergenze senza precedenti.

Sono al potere grazie a due manovre di Palazzo che entreranno nei manuali di storia del trasformismo italiano, ma a questo punto resistono per merito loro e non possono più essere presi in giro come se fossero ancora Chance il giardiniere e Rocco del Grande Fratello. A loro modo sono anche bravi e in piena sintonia con lo spirito di un tempo che al mondo ha già regalato Donald Trump, la Brexit, Jair Bolsonaro, Beppe Grillo, Matteo Salvini, Viktor Orbán e numerose altre miserie.

Conte dunque adesso andrà giudicato per quello che farà con i 209 miliardi gentilmente messi a disposizione per curare il malato d’Europa, ma intanto anche per una cosa che ha già fatto al vertice europeo appena concluso dove, ripetiamo, ha ottenuto più di quanto avrebbe riscosso il governo precedente e meno di quanto avrebbe strappato qualsiasi altro governo senza scheletri sovranisti e populisti in bella vista.

Lo scontro con i paesi del nord Europa, che ci saremmo evitati se Conte fosse arrivato a Bruxelles con un piano di riforme serie e credibili, alla fine è stato risolto togliendo come condizione per l’elargizione dei fondi europei il rispetto dello stato di diritto nei singoli paesi membri.

Insomma, Conte non è riuscito a togliere le condizionalità ai prestiti al nostro paese, ma ha contribuito a togliere quelle minime, democratiche, all’Ungheria di Viktor Orbán e agli altri alfieri della democrazia illiberale come la Polonia.

Più che a Rutte, Conte ha fatto un irriverente cucchiaio ai poveri cittadini ungheresi e polacchi, abbandonati al loro destino di sudditi dai democratici europei, con un’ennesima prova, dopo i decreti sicurezza e gli accordi con gli aguzzini libici, di cui vantarsi sui social al grido di «prima gli italiani».