Nei Paesi Bassi l’avvicinamento al Consiglio europeo è stato scandito da quattro parole: «Geen cent naar Italië!». Ci sono un testo e un sotto-testo nell’ormai famoso cartello mostrato da Geert Wilders fuori dal Palazzo Binnenhof, all’Aja, mentre Giuseppe Conte incontrava il primo ministro olandese Mark Rutte. Il testo era più breve di un tweet (e infatti un tweet è diventato): «Non un centesimo in Italia!».
Quello che c’è sotto però è più importante, ci dà una mano a leggerlo Andrej Zaslove, docente di Scienze politiche all’Università di Radboud, uno dei maggiori esperti europei di populismo. «Il coronavirus è stato complicato da elaborare per i sovranisti, è un elemento inedito intorno al quale riposizionarsi, serve un nuovo spazio di manovra e ovviamente ci vuole un nuovo capro espiatorio. Una strada possibile sono le teorie della cospirazione, i laboratori cinesi e così via, ma Wilders è un politico istruito, informato, non è il suo genere. E così la sua lettura e il suo nuovo posizionamento sono: il coronavirus ci costerà un sacco di soldi, non possiamo aiutare nessuno».
Prima gli olandesi, insomma. Concetto allargato e ribadito da Wilders in Parlamento: «Con i miliardi che diamo all’Europa meridionale, sarebbe meglio ridurre l’Iva qui nei Paesi Bassi, abolire immediatamente la franchigia nel settore sanitario e ridurre le tasse per il nostro personale. Dobbiamo aiutare la nostra gente».
Wilders è in una posizione strana: a 56 anni è già un vecchio populista, è uno dei membri di più lungo servizio del parlamento olandese, è il principale leader dell’opposizione ma è incalzato dalla nuova generazione di sovranisti millennial, da Thierry Baudet (classe 1983) e dal suo Forum per la Democrazia, che alle europee lo ha stracciato.
Wilders è un politico resiliente e rilevante, ma il suo messaggio era terribilmente invecchiato. Henk e Ingrid, gli olandesi-archetipo che il fondatore del PVV (Partito della Libertà) ha sempre usato nei discorsi, hanno problemi nuovi. La loro priorità non è più la difesa dell’Europa giudaico-cristiana dall’islam, che da vent’anni è il centro della visione mono-tema di Wilders. «Gli eventi e la vita lo hanno portato a essere ossessionato dai musulmani, ma la gente ne ha abbastanza, così la crociata contro gli europei del sud è un modo per modernizzare i suoi contenuti politici».
La battaglia sull’Iva per Wilders è meno appassionante di quella sulle sure del Corano, ma i tempi cambiano e lui sa aggiornarsi: «Questi miliardi andranno agli operatori sanitari in Francia, alla riduzione dell’Iva in Italia e nel reddito di base in Spagna, mentre a noi olandesi niente».
Gli eventi e la vita citati dal professor Zaslove meritano una spiegazione, perché la psicologia e il percorso esistenziale sono fondamentali per comprenderne le evoluzioni politiche di Wilders. Il recinto nel quale con gli anni si era chiuso con la sua ossessione per i musulmani non è solo politico o culturale, è stato anche fisico. «Wilders e Salvini sono alleati in Europa, hanno contenuti simili, sono d’accordo su diversi punti, ma umanamente non potrebbero essere più diversi». Mentre il leader della Lega è in una specie di neverending tour edonista tra piazze, sagre, spiagge, «Wilders è di fatto un detenuto, è prigioniero della sua stessa vita».
La sua carriera è stata plasmata da due omicidi. Nel 2002 quello di Pym Fortuyn, il primo politico olandese ad avere posizioni radicali in fatto di islam e immigrazione, ucciso da un animalista. «Wilders ne è di fatto la reincarnazione politica». Due anni dopo, il regista Theo van Gogh viene assassinato da un estremista islamico per ritorsione nei confronti del film Submission. La polizia scoprì che Mohammed Bouyeri progettava di fare fuori anche Wilders, che fu subito messo sotto protezione 24 ore su 24.
Era il 2004, Wilders non aveva ancora quarant’anni, vive così da allora. «Sono cose che ti plasmano, Wilders è genuinamente convinto di essere un guerriero a difesa dell’integrità dell’Europa cristiana». Non poter fare liberamente comizi lo ha spinto a creare un partito quasi virtuale e a essere un precursore della politica digitale, che maneggia con la maestria di chi certe cose le ha inventate. Wilders non ha bisogno della Bestia, è lui la Bestia.
Negli ultimi anni la destra europea si è allineata su posizioni che lui coltivava da un decennio, ma ci ha anche messo poco a superare le sue ossessioni. La sua islamofobia militante, con proposte insostenibili come mettere fuori legge il Corano, è stata il suo principale limite politico.
Le elezioni del 2017 sono state raccontate come una battaglia di civiltà e sembravano un testa a testa tra lui e Rutte, che invece ha preso quasi il doppio dei voti e in un sistema così frammentato ha potuto evitare – come aveva promesso in campagna elettorale – l’alleanza. Alle provinciali e alle europee del 2019 il Partito della Libertà è andato malissimo, «politicamente è condannato a essere un outsider per via del suo odio per l’islam, ma ha avuto e continua ad avere un’enorme influenza culturale».
Nel 2017 ha perso, ma ha stabilito i termini della conversazione politica, la piattaforma di Rutte è stata presentata come il populista buono contro l’impresentabile Wilders. Al di là dell’islamofobia, le altre sue idee in fatto di Europa, nativismo, immigrazione sono penetrate nella politica olandese. Ed è per questo che il cartello Geen cent naar Italië! ha un peso che va al di là della macchietta del «Trump olandese» o di Mister Perossido (così è stato ribattezzato per il colore innaturale dei suoi capelli).
«I conservatori al governo devono costantemente misurarsi con quello che fa o dice Wilders. Rutte ha sempre coltivato un doppio standard: aspro nelle dichiarazioni pubbliche nei Paesi Bassi, ma abile negoziatore a Bruxelles. Oggi sembra avere una durezza diversa rispetto al passato ed è anche perché deve coprirsi le spalle a destra, dove Wilders ha ancora una grande capacità di incalzarlo».
L’anti-italianismo è la nuova leva, che va a sostituire quella – a lui più cara da un punto di vista personale ma decisamente usurata e limitante – dell’anti islamismo. Rutte sa che qualunque concessione si troverà a fare a Bruxelles, dovrà difendersi dall’accusa di aver «abbandonato gli olandesi», la povera Ingrid e il povero Henk, costretti a sostenere sulle loro spalle i vizi spagnoli, l’Iva italiana e i medici francesi.