Cercasi Di MaioIl disastro con la Libia è la conferma che non abbiamo un ministro degli Esteri

Il grillino e il premier Conte non fanno nulla per affrontare la questione immigrazione con il Paese nordafricano. Non si occupano delle condizione dei centri di detenzione libici e si barcamenano a stento tra al Serraj e Haftar, mentre il Partito democratico balbetta e si abbassa al loro livello confermando i finanziamenti alla Guardia Costiera di Tripoli

«La strategia di questo governo sugli immigrati dalla Libia? È semplicissima: non c’è. L’unico punto fermo è l’appoggio alla guardia costiera di Tripoli, che ha appena sparato alla schiena a tre migranti in fuga. Per il resto nulla. Naturalmente se avessimo un ministro degli Esteri, sarebbe meglio. Ma sulla Libia l’Italia non ce l’ha». C’è piena sintonia tra i dirigenti del Viminale che lavorarono al dossier libico durante il governo Gentiloni e i dirigenti del Pd che li affiancarono.

Oggi, Giuseppe Conte e Luigi di Maio si occupano solo e unicamente di barcamenarsi tra al Serraj e Haftar. Quanto ai migranti, non se ne occupano, tranne, appunto, ribadire i finanziamenti alla guardia costiera libica. Null’altro. Conte per di più continua a tenere per sé la delega alla direzione dei Servizi, ma non ha materialmente il tempo per occuparsene con gravissime conseguenze.

Il forte radicamento dell’Aise in Libia non produce così frutti, strategia, si disperde in sterili comunicazioni scritte. Da parte sua, Luciana Lamorgese, che aveva seguito il progetto libico di Minniti sino al 2017 come capo gabinetto, soffre dello spacchettamento del dossier libico tra Palazzo Chigi, Farnesina e non ha ovviamente influenza sull’Aise. Si deve limitare quindi a gestire l’emergenza degli sbarchi in Italia, non ha materialmente possibilità di intervenire nel fondamentale contesto libico sulle partenze.

Di Maio e Conte, peraltro, nulla hanno fatto e fanno per affrontare il tema scottante della condizione degli incivili centri di raccolta libici nell’unico modo possibile: coinvolgendo e supportando al massimo l’Onu e spingendo l’Europa a un poderoso intervento, anche economico, su Tripoli, elargendo finanziamenti (l’Europa ha pagato 5 miliardi per questo a Tayyp Erdogan) in cambio di una politica di civili rimpatri nei paesi di origine e della gestione rispettosa dei diritti umani dei centri di accoglienza.

 «Minniti – dice la nostra fonte al Viminale – è arrivato all’Interno forte di una perfetta conoscenza del contesto libico e di profondissimi rapporti con una miriade di leader libici acquisiti durante gli anni della sua gestione della Autorità Delegata sui Servizi. Di fatto ha agito insieme come Ministro degli Esteri, dell’Interno e come dirigente politico dell’Aise. Un cumulo di esperienze e poteri – oggi frantumati – che ci ha permesso di superare la logica dell’emergenza ed elaborare un progetto complessivo».

Era ben chiaro a Minniti che la Guardia Costiera libica soffriva e soffre del fatto di essere composta in parte da trafficanti di emigrati, riciclati (il che ha comunque indebolito il cartello dei traffici) ma questo era equilibrato dai successi ottenuti proprio da Minniti con i rimpatri ordinati di 25.000 immigrati nei paesi d’origine, con l’ingresso dell’Onu (sino ad allora assente dalla Libia) nei centri di accoglienza, con l’arrivo in Italia di migliaia di effettivi richiedenti asilo tramite i canali umanitari e infine col raccordo con le tribù e i sindaci del Fezzan per contrastare l’afflusso degli immigrati nelle carovaniere.

Cinque vettori di un progetto organico e complessivo che si sono frantumati col primo e secondo governo Conte. Affrontare di petto l’afflusso quadruplicato di immigrati come chiede oggi genericamente Nicola Zingaretti comporta la riproposizione di quel progetto complessivo. Obbliga a agire in Europa per ottenere un poderoso piano di investimenti senza limitarsi, come fa Di Maio, a supplicare inutilmente per una ripartizione continentale degli arrivi. Insomma, è indispensabile una direzione unitaria e non più frantumata di un poderoso progetto su più piani.

Invece il Partito democratico balbetta e si contraddice sui finanziamenti alla Guardia Costiera libica, si divide nelle polemiche tra buonisti e realisti e non riesce neanche a costringere Conte a lasciare la delega sui Servizi per costituire un forte centro di comando, in raccordo col Viminale e la Farnesina. Di fatto, Minniti, gestì il dossier libico come Commissario straordinario. Di questa figura e funzione c’è necessità assoluta oggi. Ma le dinamiche del governo sono dominate dall’immobilismo e dal rinvio dei problemi. E gli sbarchi continuano indisturbati.

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