I cuochi italiani espatriati hanno, da quasi 20 anni, un aiuto sostanziale: Mario Caramella, cuoco, e Rosario Scarpato, giornalista e imprenditore, ebbero infatti l’intuizione di proporre la nascita di un Gruppo che riflettesse l’ampia e variegata presenza di professionisti della ristorazione italiana in tutto il mondo.
Nacque, così, il GVCI, il Gruppo Virtuale Cuochi Italiani, virtuale, perché, fin dall’inizio e ancora oggi, l’incontro è principalmente su di una piattaforma online.
L’idea di base era di fare rete per fornire informazioni di base su ciascun Paese ove risieda un cuoco italiano, importatori giusti, prodotti rigorosamente italiani, scuole per i figli, burocrazia.
Da questa semplice idea, accolta all’inizio da un nucleo di 50 professionisti, il gruppo oggi conta quasi 3000 membri.
Da quel lontano 2001, mossi i primi passi e scoperto che mantenere e approfondire questo legame ancestrale faceva bene a tutti, si capì che il GVCI poteva anche avere un’importante missione per il Paese, promuovere il Made in Italy rigorosamente, non solo per difendere l’italianità dei nostri prodotti, spesso attaccati da prodotti che di italiano hanno solo il nome (fenomeno denominato Italian Sounding), ma per proporre uno stile unico, inconfondibile di cucina e di servizio in sala.
Sì, perché, come ha spesso ricordato Scarpato, «noi italiani abbiamo insegnato al mondo a mangiare sedendosi a tavola».
Negli anni il Gruppo si è distinto per iniziative importanti, quali la Giornata Internazionale della Cucina Italiana nel Mondo, così come una serie di Summit in diverse metropoli (Hong Kong, Shanghai, Pechino, Dubai).
L’obiettivo dichiarato del gruppo è imporre la vera cucina italiana, in tutte le sue declinazioni regionali, sia nelle ricette tradizionali, che in quelle originali di una cucina in evoluzione che, però, non tradisca mai l’uso di materie prime corrette, imprescindibili e riconoscibili come tricolori.
Questa preoccupazione non è nuova, perché, oggettivamente, negli anni, chiunque si sia recato all’estero e abbia voluto provare un ristorante italiano, per curiosità o nostalgia, spesso si è trovato davanti a folkloristiche rappresentazioni deludenti e lontane anni luce dalla nostra cucina, perché interpretate da italiani che, nella maggioranza dei casi avevano nonni o genitori del Bel Paese, o, a volte, da stranieri che non hanno gli strumenti cognitivi per applicare una corretta cucina nazionale.
Non parliamo, poi, dei prodotti, vero tallone d’Achille della nostra bilancia commerciale in campo alimentare.
Con questi presupposti abbiamo sempre guardato la trasmissione Little Big Italy con qualche pregiudizio, e molti degli spezzoni visti ci confermavano quanto ancora ci fosse da fare per superare i soliti stereotipi che purtroppo ci rappresentano in campo culinario all’estero. Questo finché, incuriositi dalla partecipazione di uno dei soci storici del GVCI, Francesco Farris dello “Zio Cecio” di Dallas, ci siamo convinti guardandone un episodio per intero.
Il programma, condotto da Francesco Panella, segue uno schema simile a 4 Ristoranti di Alessandro Borghese, in questo caso, però, gli avventori e giudici, insieme al presentatore, non sono gli stessi ristoratori protagonisti della sfida, ma degli italiani residenti nella città e l’obiettivo dichiarato è scovare il miglior ristorante italiano del posto.
I protagonisti, suggeritori, hanno il compito di indicare quello che per loro è il migliore ristorante italiano e votano ciascuno i piatti del ristorante scelto dagli altri concorrenti, il conduttore, nella fase finale di voto, ha la responsabilità di far pesare la sua scelta giudicando l’italianità della proposta nel suo insieme.
Nella puntata dedicata a Dallas, che con spirito critico abbiamo analizzato, il solo sapere che ci fosse un cuoco GVCI ci ha fatto pensare come sarebbe finita fin dalle prime battute, non solo per quanto esposto poc’anzi sulla missione che ciascun cuoco del Gruppo, disciplinatamente, si impone nel proprio percorso professionale, ma, perché abbiamo conosciuto dal vivo la cucina di Farris durante un epocale evento che tenne a battesimo la prima edizione di Tuttofood nel 2007. Nel corso della manifestazione, chiamata “Il Mondo in un piatto”, 5 cuochi italiani, provenienti da altrettanto continenti, dettero prova di abilità e originalità che lasciarono a bocca aperta tutti gli addetti ai lavori, giornalisti e cuochi di casa nostra.
Tornando alla puntata, per farla breve, non c’è stata storia e, purtroppo, lo stereotipo imperava: infatti i due sfidanti dello Zio Cecio, Ferrari’s e Dal Testardo, confermavano, sia nello stile del locale sia nella proposta culinaria, tanti errori tipici di una cucina che, solo lontanamente, ricorda la tradizione italiana.
Farris, dal canto suo, felice interprete di una cucina sarda di cuore e di testa, cerca di mantenere grande rigore nella scelta dei piatti, conduce un locale elegante, scelto dai gourmand del posto, anche Vip come l’ex presidente Bush.
Così, alla fine di un programma tutto sommato piacevole, Farris si è aggiudicato il premio Little Big Italy per la città di Dallas, un riconoscimento coerente e che fa ben sperare nella missione che gli autori si sono dati nel far distinguere chi sa promuovere una cucina italiana di qualità e chi, invece, nonostante l’impegno, non ci riesce proprio.