La discussione politica in Italia raramente si appoggia su dei numeri che abbiano una qualche sostanza. Essa si appoggia, infatti, soprattutto sulle immagini. In Italia sono diffuse le polemiche che richiamano gli andamenti internazionali come quelle sull’Europa divenuta ormai “matrigna”, e come quelle sulle maggiori diseguaglianze come frutto amaro del “neoliberismo”. Sono, invece, meno diffuse le polemiche che evocano le vicende di origine nazionale.
Per esempio, una parte cospicua delle pensioni erogate dall’Inps, come quelle sociali o di invalidità, non è stata finanziata da versamenti pregressi – ossia, è di natura assistenziale.
Di questo si parla poco, mentre la polemica ruota intorno alla riforma Fornero, che era centrata sull’età pensionabile, o sulle “pensioni d’oro”.
Per esempio, quanta parte dei contribuenti paga le imposte sul reddito, e quanto paga?
Di questo si parla poco, mentre si sostiene che si pagano troppe tasse e quindi che sarebbe benvenuta una riforma dell’imposta sul reddito, che per alcuni dovrebbe assumere la forma della “tassa piatta”, per la quale – per darle nobiltà – si usa l’inglese: la “flat tax”.
Peccato che la flat tax evocata come anglosassone sia stata adottata solo dai Paesi usciti dal “socialismo reale”, che non hanno più uno “Stato sociale” cospicuo da finanziare, e non da altri.
Si potrebbe sospettare – secondo alcuni il sospetto è l’anticamera della verità, secondo altri della calunnia – che le polemiche che richiamano vicende internazionali, a differenza di quelle che richiamo vicende nazionali, siano preferite proprio perché non toccano la carne viva del patto sociale fra italiani.
Le polemiche internazionali sono popolari e presentano il vantaggio di non essere pericolose. In fondo affermare che la Merkel non ha compassione degli europei meno fortunati e sotto sotto vuole portar via – grazie ai debiti che accenderemo – i nostri gioielli nazionali (quali non viene mai detto con un minimo di precisione) è molto meno contundente che ricordare che la metà delle pensioni erogate dall’INPS – come numero, otto milioni su sedici – sono di natura assistenziale.
Non solo, la spesa assistenziale dell’INPS è pari a due terzi della spesa pensionistica complessiva dell’INPS.
Non solo, ma la spesa pensionistica italiana al netto della spesa assistenziale e al netto delle imposte sulle pensioni – che in Italia si pagano e in alcuni altri Paesi non si pagano – è leggermente inferiore a quella della media degli altri Paesi.
Ed ecco che l’Italia per un curioso “masochismo contabile” diventa il Paese che paga insieme alla Grecia più pensioni di tutti e quindi dovrebbe riformare il sistema.
Come? Tagliando la spesa, specie quella delle pensioni più elevate, che però hanno un peso molto modesto sul complesso, oppure integrando il sistema con le pensioni private.
Il “masochismo contabile” italiano è il frutto del consolidamento della spesa assistenziale e pensionistica sotto lo stesso tetto, quello dell’INPS. Si dovrebbe, invece, mostrare nella comunicazione che la succitata spesa sociale non è di natura pensionistica e quindi che non va sommata con quest’ultima. E che il sistema delle pensioni finanziato dai versamenti “regge”.
Le cose non vanno diversamente nel caso delle imposte sul reddito. La metà dei contribuenti, quelli con un reddito fino a 15 mila euro, versa meno del tre per cento del complesso delle imposte dirette (IRPEF) raccolte dallo stato. In sostanza, è come se la metà dei contribuenti non pagasse nulla.
A titolo di raffronto, la spesa sanitaria è nell’ordine dei 2mila euro l’anno per abitante.
L’appiattimento della curva delle aliquote (ossia le aliquote sono le stesse per tutti e non più progressive come sono oggi, in altre parole, la flat tax) non avrebbe alcun effetto per la metà della popolazione.
In conclusione, la metà della spesa per pensioni è di natura assistenziale, una spesa erogata non a fronte di versamenti, e la metà dei contribuenti non paga le imposte dirette. Insomma, non sono certo pochi quelli ricevono senza pagarli i servizi dello stato sociale.
Eppure, e siamo finalmente giunti alla parte politica, la narrazione in Italia è quella di una larga parte della cittadinanza vittima, a seconda, del neoliberismo e/o della Merkel sul piano internazionale e dell’avida casta e/o delle troppe imposte sul piano nazionale.
Sembra esserci così un autentico “salto quantico” tra i numeri che smentiscono questa narrazione e la narrazione dominante. Perché?
Ultima nota. Da quanto detto sembra che l’Italia sia un Paese molto povero dove gli invalidi e le persone senza reddito siano la grande maggioranza. E dove, come segno di una antica civiltà, lo Stato provvede a non lasciarli soli. Ciò è vero, ma molto in parte.
Il punto della modesta diffusione del benessere è la predominanza delle “nano-imprese” che generano un modesto valore aggiunto che si trasforma in poche imposte e pochi versamenti contributivi. Qui si apre un altro capitolo sui numeri “veri” dell’Italia e sulla sua rappresentazione.
(*) I numeri citati sono tutti tratti da Alberto Brambilla, “Le scomode verità”, Solferino Editore.