EticaPreserviamo i ristoranti

Il Guardian blocca le recensioni negative ai locali, negli Stati Uniti il pensiero va a camerieri e proprietari, che rischiano il contagio per permetterci di mangiare fuori casa. L’etica del cliente passa da piccoli gesti di rispetto

Foto di LEEROY Agency da Pixabay

Per la ristorazione questi rimangono giorni e settimane difficili: e se in una parte dell’Italia, quella più turistica e del centro-Sud, le cose paiono andare meglio, per molti qui al Nord la situazione stenta a tornare alla normalità.

Un paio di mesi fa, al momento della riapertura, abbiamo sollecitato anche noi alla gentilezza nel giudizio, in questo momento così delicato, e qualche giorno fa lo stesso appello è stato fatto anche da Jay Rayner, critico gastronomico del Guardian. Scrive Rayner: «Ho deciso che, per il prossimo futuro, non ci saranno recensioni negative. Se mi imbatto in un posto che non amo, semplicemente lo segnerò nel mio taccuino per sperimentare e passare ad un posto migliore. È un riconoscimento per il settore della ristorazione, che è in ginocchio. Nel migliore dei casi, anche le aziende di maggior successo hanno bisogno di un flusso costante di denaro per poter continuare a pagare l’affitto, i fornitori e il personale. Il blocco ha distrutto tutte le riserve di liquidità e il distanziamento sociale ha assorbito gran parte del reddito, senza che ci sia stato un calo delle spese generali».

La posizione è netta anche contro i no-show, vera piaga dei ristoranti anche prima del coronavirus, ma oggi davvero insostenibile: Claudio Sadler, chef milanese presidente dell’Associazione Le Soste, è tra i più impegnati nel mettere in luce il problema, come Tommaso Arrigoni, chef di Innocenti Evasioni, che sottolinea sempre come un no-show di un tavolo da 4 persone per ogni sabato sera di apertura, significa una perdita per il ristoratore che equivale a uno stipendio di un anno di un dipendente. Sottolinea ancora Rayner: «I no-show hanno portato a richieste di addebiti per i clienti quando prenotano. Pochissimi chef e ristoratori vogliono davvero farlo: perché non vogliono risultare inospitali. Ma nelle circostanze attuali non vedono altro modo, e devo essere d’accordo con loro. Noi come commensali dobbiamo capire le sfide che l’industria della ristorazione sta affrontando. Dobbiamo essere pazienti e, sì, gentili. Non è una scelta: è una necessità, se vogliamo che i nostri ristoranti preferiti rimangano aperti».

Nel resto del mondo le cose non vanno meglio: in alcuni stati degli Stati Uniti è tutto terribilmente difficile, e non solo economicamente.

Perché c’è un altro motivo per cui essere gentili con chi ci accoglie al ristorante: loro rischiano, più di noi. Scrive su Eater: «Una persona seduta in un ristorante non percepisce tutti i modi in cui minaccia i dipendenti del ristorante, rendendo difficile per molti valutare l’etica nel supportare i ristoranti e far stare le persone al sicuro. Prima di decidere come visitare un ristorante (o se farlo), un commensale dovrebbe capire come potrebbe mettere in pericolo le persone intorno a sè, solo per godersi un pasto pubblico. Ma tutti i lavoratori del ristorante sono in pericolo quando i commensali mangiano distrattamente.»

La mascherina è l’unico modo per proteggere gli altri da un nostro potenziale contagio (e non il contrario!). Togliendoci la mascherina, liberiamo noi stessi da una costrizione, ma mettiamo a rischio chi sta lavorando per noi: ricordarlo e agire con attenzione e correttezza è basilare per un rispetto reciproco.

Attenzione: non stiamo dicendo che non dobbiamo andare al ristorante per rispetto, ma che andarci comporta anche delle responsabilità etiche nei confronti di chi sta lavorando per farci stare meglio. Ricordiamolo al momento del conto, e al momento dell’impulso alla critica.

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