La riapertura delle scuole dovrebbe essere una priorità per i governi: è quanto sostiene uno studio della Royal Society di Londra sviluppato attraverso la DELVE Initiative, un gruppo multidisciplinare per la valutazione dei dati sulle epidemie virali.
Il rapporto, sviluppato su tutte le classi di età della scuola dell’obbligo nel Regno Unito, analizza in particolare il bilanciamento dei rischi di reinserimento scolastico degli alunni, evidenziando le conseguenze a lungo termine che gli studenti rimasti a casa durante il lockdown subiranno nel corso della propria vita.
«A partire dalla metà degli anni 2030 e per i 50 anni successivi, circa un quarto della forza lavoro complessiva avrà competenze inferiori rispetto ad oggi», scrive la Royal Society. «Questo intaccherà gli stipendi riducendoli di una media del 3% all’anno, influenzando il tasso di crescita economica complessivo. Ma oltre alle conseguenze economiche di lungo periodo della chiusura delle scuole, il lockdown avrà un impatto negativo anche sulla salute fisica e mentale dei bambini».
Lo studio analizza le difficoltà nel bilanciare i costi da sostenere per la chiusura delle scuole e la necessità di ridurre al minimo il rischio di contrarre l’infezione da parte di studenti, genitori e della comunità nel complesso. La conclusione è che i rischi della riapertura delle scuole non siano più elevati rispetto alle riaperture di molte altre attività, come provano le esperienze della maggior parte dei paesi che hanno già provveduto a riaprire gli istituti scolastici.
«Nel momento in cui il contagio cresce, alcune scuole potrebbero dover chiudere, ma queste decisioni dovrebbero essere determinate da criteri oggettivi e differenziate a seconda della zona o della scuola», scrive la Royal Society. Inoltre, in caso di focolai in determinate comunità, il governo dovrebbe provvedere a chiudere i luoghi dove il rischio di contagio è alto, come le palestre, i bar ed altre attività non essenziali, prima di considerare la chiusura delle scuole.
Secondo il professor Simon Burgess, docente di Economia all’Università di Bristol, «sappiamo quanto dannoso sia per i nostri bambini non andare a scuola. Malgrado siano ancora i primi tempi, non si è avuto riscontro di una rapida salita nel tasso di infezione tra i paesi che hanno riaperto le proprie scuole, compresi quelli che hanno riaperto le attività al completo. Nonostante si debba fare tutto il possibile per ridurre il rischio di trasmissione del contagio, abbiamo assolutamente bisogno di riportare i nostri bambini a scuola».
La Royal Society chiama dunque il governo ad una serie di azioni. Se di importanza primaria è sopprimere il virus nella comunità, per ridurre il rischio di ulteriori impatti sull’apprendimento, allo stesso tempo vanno elaborati criteri oggettivi e trasparenti sulle chiusure e riaperture delle scuole, con una leadership chiara.
Bisognerebbe inoltre fornire un’assistenza puntuale alle scuole e prevedere l’allocazione di risorse significative, ai fini della riduzione del rischio di contagio: dal distanziamento all’igiene, dall’assunzione di docenti aggiuntivi ad una strategia di test estesa. In questo senso, l’istituzione scientifica britannica raccomanda che un vaccino, quando disponibile, dovrebbe coinvolgere primariamente i docenti. Infine, occorrerebbe implementare un preciso meccanismo di tracciamento dei contatti all’interno della popolazione scolastica, e adottare canali di comunicazione efficaci e unificati tra dirigenti scolastici, insegnanti e famiglie.
Per il professor Richard Wilkinson, docente di Statistica all’università di Sheffield, è fondamentale che il governo stanzi i fondi per fare sufficienti test sulla popolazione scolastica a settembre, «per consentire che le future decisioni su eventuali chiusure scolastiche siano basate sull’evidenza, nell’eventualità di una seconda ondata di infezioni durante l’inverno».
Infine, la Royal Society sottolinea come la scarsità di dati attuale richieda l’istituzione di un sistema di monitoraggio più strutturato per consentire la comprensione dei rischi e fornire ai decisori a livello locale i dati necessari a rispondere adeguatamente ad eventuali situazioni di contagio. Allo stesso modo, occorrerebbe istituire un programma di misurazione anonima dei risultati scolastici e di monitoraggio della salute mentale degli alunni a tutti i livelli, per quantificare la perdita di apprendimento e l’impatto sul benessere psicofisico degli studenti.