Alessandro Raudino lavora in una Residenza sanitaria assistenziale di Siracusa, aiuta altri ragazzi, anche quelli che come lui soffrono di sclerosi multipla. Aiuta il prossimo e tutti lo adorano, dagli infermieri ai medici, fino al direttore sanitario. Insieme alla sua compagna Florinda Vitale, che lavora nel campo del turismo, gestiscono il Cannabis Cura Sicilia Social Club, realtà siracusana attraverso la quale provano da tempo a raggiungere un obiettivo ambizioso: far cambiare la legge attuale sulla cannabis medica per arrivare a ottenere l’autorizzazione alla coltivazione, magari tramite associazioni di pazienti distribuite in tutta Italia, i cosiddetti Social club.
Le motivazioni sono concrete e affondano le proprie radici nella loro esperienza personale: grazie alla cannabis Alessandro è riuscito a ritrovare la sua dignità, eliminando il grado di spasticità legato alla sua malattia. È tornato a lavorare e quando oggi gli chiedono se si sente malato, lui risponde in maniera convinta con un secco “no”. Cosa che non avveniva prima di utilizzare i cannabinoidi e un corretto stile di vita.
Ma il fatto che in Italia la cannabis medica presenti ancora troppe storture non lo aiuta. Nel nostro Paese ci sono circa 30mila i pazienti che hanno optato per una terapia a base di cannabinoidi; pazienti che hanno deciso di mettere da parte la farmacologia tradizionale sintetica e tutti gli effetti collaterali che ne derivano. Scelta del tutto legittima visto che l’uso della cannabis medica – è sempre bene ricordarlo – è legale dal 2007. Il punto, però, è che per molti pazienti non è assolutamente semplice reperire cannabis terapeutica. In alcune regioni il farmaco è a carico del sistema sanitario regionale, come ad esempio in Puglia.
In altre, come il caso della loro Sicilia, ci sono evidenti restrizioni per alcune patologie. Lì è stato addirittura inserito un punteggio legato al livello di dolore causato dalla spasticità, che deve essere superiore a 5. Danneggiando di fatto i pazienti come Alessandro che si trovano sotto quella soglia. C’è poi da sottolineare, più in generale, come molti medici non siano nemmeno a conoscenza della possibilità di prescrivere cannabis medica per legge. E in tutto questo marasma, troppo spesso le farmacie non sono in grado di soddisfare la domanda dei pazienti, lasciandoli così in emergenza farmaco.
Per questo motivo Alessandro ha deciso, insieme alla sua compagna Florinda, di mettere in atto una disobbedienza civile attraverso l’auto-produzione di cannabis, trasgredendo pubblicamente l’articolo del D.P.R.309/90 che ne vieta, appunto, la coltivazione. Li abbiamo incontrati entrambi via webcam per ascoltare le loro motivazioni. Loro non vogliono certo che si fermi l’erogazione del servizio sanitario, visto che a loro giudizio le Regioni devono poter continuare a svolgere il loro ruolo nell’approvvigionamento del farmaco.
Ma chiedono di andare oltre: «Dovrebbe esserci anche la possibilità di poter coltivare piante autonomamente (o prenderle magari da un Social club per chi non può coltivarle), semplicemente per poter soddisfare la domanda dei pazienti e avere allo stesso tempo anche un’offerta di genetiche più ampia, aspetto che alleggerirebbe i problemi legati a tutti i tipi di patologie. Vogliamo semplicemente questo. Il fatto che ci siano pazienti che vogliono ricevere la terapia solamente tramite la cannabis prodotta dallo Stato, solo attraverso il servizio sanitario, non è certo un problema. Ma allo stesso tempo ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di poter coltivare le proprie piante».
Sarebbe in effetti un semplice gesto di civiltà. Ma forse ancora troppo prematuro considerando il conservatorismo che ancora è presente nel Paese. Come superare allora i tanti scogli culturali? «Il muro del proibizionismo si può abbattere riconoscendo tutti i benefici che questa nobile pianta genera nei confronti dei pazienti. Solo sensibilizzando questo aspetto si potranno distruggere i pregiudizi della gente comune. Ed è per questo che ci autodenunciamo: sono convinta che alla fine saranno i malati a fare i fatti e a far capire davvero come stanno le cose».
Nelle parole di Florinda c’è forte determinazione, consapevolezza e a tratti si intravede anche un filo di dolore per tutto quello che ha vissuto assieme al suo compagno: «So bene che la cannabis ha la capacità di curare, l’ho visto con i miei occhi, convivendo con Alessandro. Solo io e le persone più vicine a lui conoscono lo stato in cui versa quando non utilizza questa pianta: si irrigidisce, le mani si chiudono, c’è spasticità e i piedi si incurvano, purtroppo è impressionante. Ma la cannabis lo aiuta, lo cura. Esiste una vasta letteratura scientifica a riguardo e, sinceramente, se uno Stato non riesce a dare la libertà ai propri cittadini nel poterla utilizzare come meglio crede, curandosi, allora vuol dire che quello Stato ha fallito».
Florinda è un fiume in piena, ma sa bene di essere dalla parte giusta. Con la sua Associazione riesce anche a dare supporto nella formazione a distanza sulla cannabis medica, perché consapevole di quanto sia fondamentale la formazione in questo campo. Grazie alla sua collaborazione come formatrice a distanza con Cannabiscienza (società di informazione scientifica sulla Cannabis Medica) sa bene di cosa parla: «Nel corpo di Alessandro – ci spiega – sta avvenendo una neurogenesi, la sua spasticità è crollata da 2.0 a 0. Oggi sta bene con se stesso nonostante tutto quello che ha vissuto, anche psicologicamente, soprattutto in passato. Non è facile scoprire una malattia del genere all’età di 22 anni».
Ora Alessandro ha 38 anni e in effetti sta bene. Da sette anni si cura con la cannabis, lavora e ha ritrovato la sua dignità. «Ha ripreso in mano la sua vita cambiando stile di vita e alimentazione – continua a raccontarci la sua compagna di battaglie e di vita Florinda – ma grazie anche alla cannabis, che lo aiuta ad affrontare la quotidianità con più dignità».
Arrivati a questo punto della storia verrebbe da chiedersi quanto sia davvero complicato, oggi, rivendicare un diritto senza dover rischiare il carcere. La risposta dovrebbe essere banale e scontata, soprattutto se la domanda viene posta all’interno di uno Stato di diritto, basato su principi costituzionali pensati per tutelare ogni singolo cittadino. Eppure, nel nostro Paese, la risposta non è così semplice. Se provi a curarti auto-coltivando cannabis rischi malauguratamente il carcere.
Alessandro e Florinda sono consapevoli delle conseguenze legali. Ma non hanno affatto paura perché sono dalla parte del buon senso. Hanno una tutela legale al loro interno e un gruppo scientifico guidato da Cannabiscienza, attraverso il quale vogliono portare avanti una ricerca per ogni paziente che ha aderito alla loro disobbedienza: «Vogliamo raccogliere dati – sottolinea Florinda – per fare ricerca sui pazienti che assumono la cannabis che stiamo autoproducendo tramite la disobbedienza. Abbiamo una tutela legale e ora ci stiamo muovendo per stringere collaborazioni con laboratori universitari. Quando sarà pronta la doneremo. Non vogliamo venderla, ma donarla ai pazienti che ne hanno bisogno».
Come associazione i due siracusani hanno anche altre iniziative in cantiere. Florinda si occupa di turismo, convegni e congressi. Fa la cuoca in alcuni locali e resort e ora che non riesce a praticare causa Covid sta provando a mettere in piedi alcuni eventi autunnali, una sorta di commistione tra vacanza e formazione. In pratica weekend con corsi di formazione sulla cannabis medica e degustazioni food a base di canapa.
Quando chiediamo loro come sia la situazione nella loro Sicilia, Alessandro e Florinda sono piuttosto netti: «Siamo ancora molto indietro rispetto all’erogazione gratuita di Cannabis medica. Non tutte le Asp hanno recepito la delibera di gennaio di quest’anno. Alcune hanno detto che partiranno da gennaio 2021, altre ancora non sanno nulla. L’Asp di Siracusa, grazie anche alla nostra spinta, sta aprendo un tavolo di lavoro con i vari medici professionisti per fare passi in avanti. E dopo una serie di incontri, mail e telefonate, forse qualcosa si sta anche muovendo. Ma la strada è ancora lunga e tortuosa. E noi siamo pronti ad affrontare qualsiasi ostacolo, continuando a fare le dovute pressioni».
Il loro obiettivo rimane sempre lo stesso: l’autodenuncia di più pazienti possibile, per arrivare prima o poi, attraverso dati oggettivi e riscontri scientifici, a cambiare una legge che ritengono così ingiusta. Sono consapevoli dei rischi legati all’auto coltivazione, ma sono altrettanto consapevoli di essere dalla parte giusta. Di portare avanti una battaglia anche di civiltà, tramite la quale vogliono semplicemente far applicare il sacrosanto diritto che riguarda la libertà di cura. Quel diritto che, per intenderci, è scritto nero su bianco nell’articolo 32 della Costituzione italiana.