Il vertice di Bruxelles, uno dei più lunghi e difficili della storia dell’Unione europea, sarà ricordato per avere avallato, per la prima volta, l’idea di raccogliere prestiti in comune per dare ai Paesi che ne hanno più bisogno in funzione dell’emergenza coronavirus. Facendo venir meno, in un solo colpo, almeno due dogmi dell’ortodossia – ordoliberale, da un lato, e comunitaria dall’altro – secondo i quali la messa in comune delle risorse era strettamente limitata e la loro redistribuzione obbediva alle immutabili regole relative al pil pro capite nazionale in funzione dei vari livelli di sviluppo.
Certo, i paesi “tirchi” hanno alzato la cresta e spuntato, anche a fini di politica interna, prebende di ogni tipo nonché la possibilità di azionare un “campanello d’allarme” in caso di scostamento nell’implementazione nazionale del programma di riforme e di ripresa concordato a livello continentale.
Ma, anche Paesi Bassi e Austria, da giovani turchi che sono, hanno dovuto ingoiare la ricetta del duo franco-tedesco, fatta propria dalla Commissione europea e ora da tutti i 27 paesi membri. «Siamo un blocco», ha detto la cancelliera e quindi occorre “salvare il soldato Ryan”, che nel caso specifico si chiama Italia (e Spagna). A ogni costo, nell’interesse di tutti.
È indubbio che nella trattativa a farne le spese sono state le politiche comuni gestite dalla Commissione europea su sanità, ricerca, educazione, relazioni esterne, lotta ai cambiamenti climatici, sacrificate per pagare il “pizzo” ai frugali, che ora il Parlamento europeo rivuole indietro, forte dei suoi poteri di autorità di bilancio, sulla carta al pari del Consiglio. Battaglia meritoria che comunque non sminuisce il risultato storico ottenuto martedì 21 luglio alle 5,31 del mattino.
All’alba vincerò, sembrava voler dire il trionfante Charles Michel nell’annunciare il risultato.
Se in molti possono dire di aver vinto – compreso Giuseppe Conte che con i guardaspalle che si è ritrovato ha giocato bravamente la sua partita, e può ora legittimamente rivendicare un ruolo attivo anche nella messa in opera del Recovery fund – qualcuno ha sicuramente perso, steso K.O. dalla montagna di soldi stanziati: il campo sovranista, lacerato nelle sue contraddizioni e perso in un mantra antieuropeo sempre più inaudibile.
Gli “alleati” di Salvini negli altri Paesi strillano per i troppi soldi dati all’Italia, Salvini urla perché ne voleva di più (…): ragazzi, datevi una regolata, forse dovreste fare una vostra Bad Godesberg per rimettere in fila le idee (tanto che non a caso l’astuta Giorgia Meloni ha iniziato una prima retromarcia).
La grandezza della Merkel si misura su questo metro di giudizio: nella sua decisione di abbandonare la tradizionale politica tedesca, non molto dissimile dalla linea dei frugali fino a pochi mesi fa, c’è la consapevolezza che il non agire in modo massiccio di fronte alla crisi più grave mai conosciuta dall’Unione europea, non solo avrebbe compromesso, forse per sempre, l’esistenza stessa del mercato interno, ma avrebbe anche – politicamente, soprattutto – messo le ali ai movimenti sovranisti, pronti a fare scempio dell’integrazione europea, inconsapevoli servi sciocchi di chi da anni punta proprio a questo per eliminare un pericoloso concorrente sulla scena internazionale.
Bello sarebbe infatti trattare di nuovo, e finalmente, con 27 piccole o medie potenze, se ci si chiama Russia, Stati Uniti, Cina. Bene blandire “social” o piattaforme compiacenti, ovvero fare disinformatia in piena regola, trovando compiacenti alleati che cavalcano le frustrazioni anche legittime di tanta parte dell’opinione pubblica per offrire ricette salvifiche, che invece affosserebbero le nostre prospettive di crescita e di sviluppo.
È anche su questo fronte che si misura il Next Generation Eu, concepito da Ursula ma ispirato da Angela con l’aiuto di Christine: un potente bazooka anti sovranista in nome di una ritrovata sovranità europea, l’unica in grado di tener testa alle sfide internazionali dei prossimi anni.
Tornano buoni allora anche i paletti messi in merito all’esecuzione della spesa dei fondi europei, e la necessità di poter dare risposte concrete alle attese dei cittadini. Nel caso dell’Italia, abbiamo avuto diritto a un vero e proprio piano di salvataggio, corredato anche dalla ricetta per rimettere in carreggiata la nostra economia. Facciamolo funzionare e anche la retorica salviniana sarà costretta a fare i conti con la realtà.