In tedesco, i contemplatori di spalle sono noti anche come Rückenfiguren. Oggi questo termine indica genericamente le figure di schiena, ma quando fu coniato all’epoca del Romanticismo indicava piuttosto personaggi solitari immersi in un paesaggio naturale e assoluto, in dialogo con il mondo circostante.
La Rückenfigur più emblematica della storia della pittura è senza dubbio il “Viandante sul mare di nebbia” che Caspar David Friedrich dipinse nel 1818.
Un’opera-emblema, modello di ispirazione per intere generazioni di artisti e idealisti, che ne se approprieranno e la interpreteranno a modo loro.
In quanto archetipo, il viandante tiene insieme molte cose: ci parla di libertà, senso di assoluto, comunione con la natura, erranza e introspezione.
La memorabile immagine della designer Charlotte Perriand in topless e filo di perle in cima alle Alpi non è che una delle innumerevoli variazioni sul tema che da questa figura sono derivate nel corso dei secoli.
Durante un viaggio sui monti dei Giganti, il pittore Georg Friedrich Kersting ritrasse l’amico Caspar in un acquerello. Friedrich è raffigurato come i suoi personaggi: di schiena, mentre impugna la bisaccia da disegno come un vessillo, in una posa malinconica e assorta.
Oltre a una piccola zolla di terra ai suoi piedi, non c’è alcuna traccia di paesaggio intorno a lui, e questo tende ad accrescere ancor più il senso di sospensione e raccoglimento che aleggia intorno a questa sorta di Corto Maltese fuori dallo spazio e dal tempo.
Di Rückenfiguren Friedrich fu maestro incontrastato. Circa dieci anni prima del viandante, tra il 1808 e il 1810, aveva firmato Monaco in riva al mare, quadro fortemente simbolico, aereo e quasi ascetico, che è stato definito da alcuni critici «il primo dipinto astratto in un senso veramente moderno».
Anche in questo dipinto, Friedrich rappresenta un uomo di spalle, intento a contemplare un paesaggio naturale (nella fattispecie una spiaggia deserta del Nord Europa).
In questo caso, però, la natura preme sull’umano fin quasi a schiacciarlo. Il monaco è un puntino indifeso in balia dell’onnipotenza degli elementi, e l’economia narrativa del dipinto si fonda proprio su questa sproporzione.
Nel caso del viandante, invece, l’inquadratura scelta da Friedrich è più centrata e ravvicinata: ecco che, anche grazie a questo accorgimento formale, l’equilibrio tra uomo e natura, tra interno ed esterno si afferma, dando vita alla Rückenfigur intesa come quintessenza della figura romantica.
Il viandante è il soggetto del quadro di Friedrich? Certo, e al tempo stesso non esattamente. Come nel caso del bimbo in riva al mare di Hopper, il soggetto è il rapporto tra il viandante e il paesaggio, e di conseguenza la sensazione, o meglio il sentimento che quel rapporto produce nello spettatore.
Il viandante e il mare di nebbia sono un’unica cosa, e nel dialogo che tra essi si instaura sono racchiusi l’intimità e il senso di infinito che sono il cuore stesso dell’immagine.
Friedrich fu il primo a porre al centro della rappresentazione questo tipo di scambio. Con l’arrivo del suo wanderer, «la figura vista da tergo diventa il centro non soltanto da un punto di vista della composizione, ma anche del contenuto», perché «il paesaggio sembra fuoriuscire dall’anima del viandante, e quest’anima è dunque l’origine di tutto quello che vediamo», ha osservato lo specialista di game studies Benjamin Beil, che si è dedicato allo studio dei legami simbolici e grafici che legano i videogiochi con un avatar di schiena alle Rückenfiguren della storia dell’arte.
Le figure di spalle non sono certo un’invenzione romantica. Esistevano già nella pittura antica, perlopiù come elementi di scene corali; servivano a produrre un’idea di spazio, a indicare il centro dell’immagine, e per diversi secoli si accontentarono di questo ruolo di contorno.
Le cose cambiarono nel Seicento, epoca in cui la pittura olandese inizia a popolarsi di personaggi osservati da dietro. Rappresentate prevalentemente in interni, queste figure non sono ancora protagoniste assolute della scena, ma elementi comunque decisivi della composizione.
Bisogna inoltre tenere conto delle cosiddette figure di staffage (dal tedesco staffieren, “decorare”), ovvero i minuscoli personaggi che tra il XVI e il XVIII secolo i pittori disseminavano all’interno dei loro dipinti per rendere armonioso un paesaggio, rafforzarne il soggetto o dare un’idea della sua scala compositiva.
Le figure usate nello staffage erano perlopiù anonime, asservite al contesto in cui venivano calate. Indispensabili all’economia generale della composizione, restavano però un ornamento, ed erano subordinate alla veduta o al paesaggio di cui erano parte.
da “Viceversa. Il mondo visto di spalle”, di Eleonora Marangoni, Johan & Levi Editore, 2020, euro 25