Il 20 agosto del 1940 a Città del Messico Ramón Mercader diede una picconata in testa a Lev Trotzky, che morì 26 ore dopo. Esattamente 80 anni dopo, il 20 agosto del 1920 Alexei Navalny è in coma, «in condizioni gravi ma stabili». Secondo la sua portavoce Kira Yarmysh, probabilmente «avvelenato da qualcosa mescolato nel suo tè». «Era l’unica cosa che beveva al mattino». «Non aveva alcun sintomo prima del decollo del volo, aveva bevuto solo del tè nero all’aeroporto di Tomsk prima di partire. Poi si è sentito male», ha raccontato al sito Mediazona. Mentre alla radio Eco di Mosca ha ulteriormente puntualizzato: «Navalny ha detto che non stava bene e mi ha chiesto un tovagliolo, era sudato». «Abbiamo chiesto dell’acqua ma ci hanno detto che non lo avrebbe aiutato, poi è andato in bagno e ha perso conoscenza». «I medici dicono che con i liquidi caldi le sostanze tossiche vengono assorbite più velocemente». Il pilota ha chiesto l’atterraggio d’emergenza a Omsk. E poi è venuto il ricovero in ospedale.
Lev Trotzky dopo essere stato un leader della Rivoluzione Russa e l’organizzatore e comandante dell’Armata Rossa era stato sconfitto da Stalin nella contesa per la successione a Lenin, e poi mandato in esilio, dove contro la Terza Internazionale staliniana aveva organizzato una sua Quarta Internazionale. Tre mesi prima dell’omicidio, la sua villa fortificata era stata assalita da un commando di trenta uomini armati guidati dal celebre pittore di murales David Alfaro Siqueiros: rivale dell’altro muralista Diego Rivera, il marito di Frida Kahlo, che invece di Trotzky aveva trattato l’asilo in Messico.
In origine blogger anti-corruzione, Navalny è diventato il leader di riferimento dell’opposizione a Putin. Secondo quanto scrivono i media locali, era andato in Siberia alcuni giorni a raccogliere materiale per un’inchiesta su alcuni deputati del partito di governo Russia Unita.
Sottoposto a continue pressioni, tra cui decine di condanne a pene detentive, già un anno fa aveva denunciato di essere stato avvelenato, mentre era in prigione.
Sicuramente aveva sofferto una grave reazione allergica e un medico aveva confermato che poteva derivare da avvelenamento. Ancora prima, nel 2017, Navalny era stato ustionato agli occhi quando fuori dal suo ufficio alcuni aggressori gli avevano lanciato sul viso una tintura verde disinfettante.
Casuale la ricorrenza? Di Trotzky, è storicamente accertato che fu assassinato da un agente della Gugb: definizione che tra 1934 e 1946 ebbe quella Polizia Segreta che tra 1917 e 1922 si era chiamata Ceka, tra 1922 e 1923 Gou e tra 1923 e 1934 Ogpu, e che sarebbe poi diventata nel 1945 la Mgb, nel 1953 la Mvd e nel 1954 il Kgb. Per poi trasformarsi nel 1991 in Fsk e nel 1995 in Fsb.
Combattente repubblicano in Spagna e zio della madre di Christian De Sica, Ramón Mercader si era fatto passare per militante trotzkysta, e continuerà sempre a dire di essere un «trotzkysta deluso».
Ma si è poi saputo che per tutti i 20 anni della sua detenzione in Messico il governo sovietico aveva continuato a versargli 1000 dollari al mese, e quando il 20 agosto 1960 alla liberazione andò a Mosca vi ricevette la medaglia d’oro di Eroe dell’Unione Sovietica, la tessera del Pcus, una pensione da generale dell’Armata Rossa, un posto a Radio Mosca per la moglie e una dacia. E a Mosca è sepolto, sempre con l’indicazione di Eroe dell’Unione Sovietica.
Sui Navalny invece al momento non è ancora accertato nulla. Gli avvocati del Fondo anti-corruzione che Navalny ha creato per denunciare il malaffare della nomenklatura putiniana hanno però annunciato che chiederanno l’apertura di un’inchiesta al Comitato investigativo secondo l’articolo 277 del codice penale: «Attentato alla vita di uno statista o di un personaggio pubblico, commesso per porre fine alla sua attività pubblica o politica».
Secondo la portavoce, «la reazione evasiva dei medici conferma solo che si tratta di avvelenamento. Solo due ore fa erano pronti a condividere qualsiasi informazione, e ora stanno chiaramente giocando per il tempo e non dicono quello che sanno».
Putin, d’altronde, dal Kgb viene. E molti suoi biografi hanno ricordato che in base al giuramento una volta entrati nel Kgb si rimaneva agenti per tutta la vita.
Il complesso rapporto di Putin con il passato sovietico è stato spesso sintetizzato con la frase a lui attribuita secondo cui «chi non ha nostalgia dell’Unione Sovietica è senza cuore, ma chi la rimpiange è senza cervello».
Dunque, niente rimpianti per l’ideologia marxista-leninista, ma ampia continuità con alcune direttrici geopolitiche che d’altronde risalivano all’epoca zarista.
Massima valorizzazione di alleanze che comunque dalla simpatia per il modello comunista venivano. E anche forte continuità per un certa storia di soppressione fisica di avversari e oppositori. Una vicenda in cui il veleno rappresenta un know-how importante fin da quando nel 1921 Lenin ordinò la creazione di un Laboratorio Numero 12 che si trovava nei sobborghi di Mosca e che era specializzato nelle ricerche su veleni, droghe e sostanze psicotropiche in genere.
Una malignità potrebbe collegare questo know how «chimico-farmaceutico» anche al recente annuncio di Putin della scoperta di un vaccino anti-Covid. Vero è che non solo i Servizi russi hanno fatto ricorso a questo tipo di sistemi: basti pensare a quando nel 1997 agenti israeliani tentarono di uccidere il leader di Hamas Khaled Mashal con una dose letale di Fentanyl, o all’azione con cui nel 2017 Kim Jong-un fece assassinare il suo fratellastro Kim Jong-nam con l’agente nervino VX.
Se il Cremlino non ha l’esclusiva, però, un primato glielo si può certamente attribuire. In modo molto simile a Navalny, ad esempio, il primo settembre 2004 era stata presumibilmente avvelenata su un aereo la giornalista della Novaya Gazeta Anna Politkovskaya. Implacabile denunciatrice della repressione in Cecenia e delle violazioni dei diritti umani, era stata chiamata a mediare sulla crisi degli ostaggi a Beslan, ma dopo aver bevuto un tè datole a bordo venne improvvisamente colpita da un malore e perse conoscenza.
L’aereo fu costretto a tornare indietro per permettere un suo immediato ricovero. La dinamica non è mai stata chiarita del tutto, ma comunque meno di due anni dopo, il 7 ottobre del 2006, Anna Politkovskaya sarebbe stata ritrovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca, proprio nel giorno del compleanno di Putin.
Accanto al cadavere furono ritrovati una pistola Makarov Pm e quattro bossoli, uno dei quali del proiettile che aveva colpito la giornalista alla testa.
Fonti di intelligence riferirono che la Politkovskaya sarebbe stata su una lista di persone scomode che il Cremlino avrebbe deciso di fare eliminare, assieme a Alexander Litvinenko e Boris Berezovskij.
Agente dei servizi russi fuggito nel Regno Unito nel 2000, poi autore nel 2002 di un libro in cui accusava Putin di aver fatto organizzare attentati falsamente attribuiti ai ceceni apposta per spianarsi la via per il potere, Litvinenko sarebbe in effetti morto poco dopo, il 23 novembre 2006, in seguito a avvelenamento da polonio-210.
Prima di morire fece in tempo ad accusare Putin di essere il responsabile, e anche il mandante dell’omicidio di Anna Politkovskaja. «L’idea nella nostra agenzia è che il veleno è un’arma utilizzabile esattamente come una pistola», aveva detto due anni prima in una intervista al New York Times. Il polonio provoca una morte particolarmente dolorosa, e quindi il suo utilizzo è stato interpretato come un chiaro avvertimento: forse come il fatto che certe azioni vengano fatte in particolari ricorrenze.
Ingegnere diventato miliardario nel periodo post sovietico, e a sua volta fuggito nel Regno Unito nel 2000 dopo l’arrivo al potere di Putin, condannato in contumacia per frode e appropriazione indebita e sottoposto in Russia a sequestro del suo patrimonio, anche Boris Berezovskij sarebbe poi stato trovato morto in modo misterioso nei pressi di Londra il 23 marzo 2013.
Il medico legale disse che sul corpo non erano presenti segni causati da una lotta e che quindi era presumibile un suicidio. Il coroner, però, emise un open verdict. Qualche sostanza in grado di uccidere senza lasciare tracce?
Riuscì invece a sopravvivere Viktor Juščenko. Già primo ministro ucraino dal 22 dicembre 1999 al 29 maggio 2001, leader dei filo-occidentali, nel corso della campagna elettorale del 2004, cominciò a soffrire di una misteriosa patologia, con una pesante eruzione cutanea che gli lasciò cicatrici permanenti. Scontate dunque le battute su «la bella, il brutto e il cattivo» a proposito del suo «triello» con l’altra leader filo-occidentale Julija Tymošenko e con il leader filo-russo di Viktor Janukovyč.
Vari tossicologi diagnosticarono una presenza di diossina nel sangue in quantità 6.000 volte superiori alla normalità, e lo stesso Juščenko disse di sospettare una cena con i servizi di sicurezza ucraini: per una ultima portata servita, a differenza delle altre, in monoporzioni.
Dopo l’identificazione del particolare tipo di diossina impiegato, lo staff di Juščenko inviò una richiesta di informazioni ai quattro laboratori al mondo in grado di produrlo. L’unico a non rispondere fu quello di Mosca.
E si seppe pure che pochi giorni dopo il supposto avvelenamento qualcuno dei componenti dei servizi di sicurezza presenti quella sera avrebbe lasciato l’Ucraina, per recarsi e vivere stabilmente in Russia.
Comunque Juščenko sarebbe riuscito a diventare presidente, dal 23 gennaio 2005 al 25 febbraio 2010. Sarebbe poi tornato al potere Janukovyč, rimosso nel 2014 dalla rivolta di Maidan.
Recente è stata poi la storia di Sergej Viktorovič Skripal’: colonnello dei Servizi russi, condannato nel 2006 per alto tradimento a favore dei Servizi britannici.
Grazie a uno scambio di spie con gli Usa nel 2010 fu liberato e ricevette non solo la residenza nel Regno Unito, ma anche la cittadinanza. Il 4 marzo del 2018, a Salisbury, lui e sua figlia Julija furono vittime di avvelenamento doloso da gas nervino, con una sostanza detta Novičok. Per il governo britannico «c’è un’alta probabilità» che la Russia sia coinvolta nell’avvelenamento, che ha riguardato ben 21 persone.
Mosca ha sempre respinto le accuse. Il nodo riguarda due turisti russi che i loro passaporti identificavano come Alexander Yevgenievich Petrov e Ruslan Timurovich Boshirov, che si trovavano nella zona con comportamenti sospetti, e che sia il sito inglese Bellingcat che quello russo The Insider hanno chiaramente identificato come due agenti operativi dell’intelligence militare russa: il colonnello Anatoliy Chepiga, Eroe della Federazione Russa, e il medico militare Alexander Mishkin.
E c’è pure Vladimir Kara-Murza, vice-presidente della Ong Open Russia di Mikhail Khodorkovsky: altro ex-oligarca costretto all’esilio nel Regno Unito. Il 26 maggio del 2015 si sentì male improvvisamente nello spazio di 20 minuti durante un meeting. «Passai da uno stato di normalità a un improvvisa condizione di rapida pulsazione cardiaca, pressione altissima, sudore e vomito fino allo svenimento», avrebbe raccontato. I medici gli diagnosticarono un avvelenamento. Ma gli stessi sintomi si presentarono di nuovo il 2 febbraio 2017. E questa volta i medici lo avvertirono che non sarebbe sopravvissuto a un terzo avvelenamento.
All’epoca sovietica risale poi il famoso avvelenamento di Georgi Markov: un dissidente bulgaro ucciso l’11 settembre 1978 in una strada di Londra con una capsula di ricina sparata nelle gambe da un ombrello speciale. Forse l’esecutore fu un bulgaro a sua volta, ma quasi sicuramente il marchingegno era stato ideato dal Kgb.
Il capo guerrigliero ceceno Ibn al-Khattab morì invece nella notte tra il 19 ed il 20 marzo 2002, dopo che gli era stata recapitata una falsa lettera di sua madre avvelenata con gas nervino. Latore un agente del Fsb di nome Ibragim Alauri che era stato addestrato per sei mesi, e che sarebbe stato ucciso un mese dopo da un commando ceceno. L’Fsb rivendicò l’uccisione di al-Khattab come successo di una “operazione speciale”.
Il 10 novembre 2012 morì a Londra Alexander Perepilichny: un uomo d’affari russo che si era recato nel Regno Unito nel 2010 e aveva dato agli inquirenti svizzeri importanti elementi sul ruolo delle autorità russe nello scandalo del fondo Hemitage. Nel suo stomaco sono state trovate tracce del gelsomino della Carolina: un fiore tossico.
È ancora viva invece Karinna Moskalenko: avvocatessa e attivista per i diritti umani che ha difeso tra gli altri Mikhail Khodorkovsky, Garry Kasparov e lo stesso Litvinenko, e che è stata la prima a vincere una causa contro la Federazione Russa alla Corte di Strasburgo. Il 14 ottobre 2008 il marito scoprì che le avevano riempito l’auto di mercurio velenoso.