Il dilemma non è di facile soluzione: da una parte garantire occupazione in un territorio tra i più depressi d’Italia; dall’altra bloccare la produzione di sistemi militari che, com’è stato più volte accertato, sono stati utilizzati in un conflitto – quello in Yemen – che si protrae da anni nonostante le condanne delle principali organizzazioni internazionali, Onu in testa. Al centro dell’enigma Rwm Italia, l’azienda di Domusnovas in Sardegna tristemente nota per fornire le micidiali bombe aeree all’Arabia Saudita e partecipata interamente dalla multinazionale tedesca Rheinmetall AG.
Dopo che a luglio scorso proprio per questo motivo il governo italiano ha sospeso le «esportazioni di bombe d’aereo e missili, che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile in Yemen, verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti», l’azienda ha annunciato importanti tagli al personale: prima non sono stati rinnovati 80 contratti interinali e poi sono stati messi da inizio di questo mese 90 dipendenti in cassa integrazione. La ragione? Lo stop alla vendita di bombe e missili. «L’87% degli ordini – ha fatto sapere l’azienda – non è producibile, in quanto sospeso».
Ed è per questa ragione che due deputati della Lega, Eugenio Zoffili e Paolo Roberto Ferrari, hanno annunciato – in linea con l’impegno anche del governo regionale a guida Solinas – una risoluzione «che impegna il governo a salvaguardare la produzione e dei livelli occupazionali della Rwm Italia». Come? Nel documento si chiede al governo «di esplorare la possibilità di acquistare dalla Rwm Italia le munizioni e gli altri materiali d’armamento oggetto di contratti congelati o non più in essere, per destinarli alle Forze Armate italiane in quanto compatibili».
In altre parole, dunque, la Lega vorrebbe che le bombe per ora bloccate vengano cedute all’Italia. Una circostanza che, secondo Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente Armi Leggere (Opal) di Brescia e della Rete per il Disarmo, «non ha alcun senso». La ragione è nei numeri: solo nel 2016 la Farnesina ha autorizzato la vendita di 19.675 bombe all’Arabia per un valore complessivo di oltre 411 milioni di euro. «Ma in questi anni – spiega l’analista – sono state consegnate bombe al massimo per 200 milioni». Ciò vorrebbe dire che la nostra Difesa dovrebbe acquistare almeno 200 milioni di euro di bombe. «Di fatto la Lega chiede all’Italia di acquistare qualcosa che non corrisponde al fabbisogno nazionale», ragiona ancora Beretta. Insomma, un aiuto di Stato bello e buono.
I dubbi della Rete per il Disarmo sono condivisi anche da diverse associazioni locali, a cominciare dal Comitato per la riconversione della fabbrica. Se da una parte si minacciano e si annunciano licenziamenti, la Rwm non ha mai smesso di lavorare all’ampliamento dello stabilimento sardo (cosa che consentirebbe di triplicare la produzione, secondo le associazioni locali).
L’investimento, lanciato già diversi anni fa, sarebbe di circa 40 milioni. E lo stesso amministratore delegato dell’azienda, Fabio Sgarzi, anche recentemente ha confermato l’impegno per completare i nuovi impianti. Il dubbio, in altre parole, è che si stia utilizzando il tema occupazionale come mera arma ricattatoria.
Ne è convinto Arnaldo Scarpa, uno dei portavoce del Comitato per la Riconversione: «Siamo al paradosso: per anni lo Stato, muovendosi a nostro avviso fuori dal solco costituzionale, ha garantito lauti profitti alla Rwm tanto che ha più che raddoppiato il suo fatturato; e ora qualcuno vuole intervenire in difesa di un’azienda che non solo non è in crisi, ma lavora per ingrandire la fabbrica».
Sul punto il Comitato (da sempre convinto sulla possibilità di riconvertire lo stabilimento nella produzione a uso civile) ha addirittura fatto ricorso, insieme ad altre associazioni, al Tribunale amministrativo regionale temendo che l’ampliamento significhi una sempre più massiccia produzione di armi e bombe. Proprio pochi giorni fa, però, il Tar della Sardegna ha respinto il ricorso, ritenendo il progetto della Rwm del tutto legittimo. «Ragioneremo se rivolgerci al Consiglio di Stato – spiega Scarpa – Nel frattempo, però, siamo in attesa anche di una risposta sul ricorso straordinario che abbiamo presentato direttamente al Presidente della Repubblica».
Il dubbio delle associazioni, peraltro, è che la perizia su cui si fonda la decisione del Tar non sia del tutto imparziale: «A lavorarci è stato un professore di un dipartimento dell’Università di Cagliari che ha regolari rapporti con la Rwm, a cominciare dai tirocini dei laureandi. Forse sarebbe stato meglio rivolgersi a un ingegnere che non lavora in Sardegna». Un dubbio e nulla più, che tuttavia rende la vicenda ancora più intricata. Dal canto suo l’azienda legittimamente canta vittoria: «C’è gran soddisfazione – si legge in un comunicato di alcuni giorni fa – Il risultato processuale vale, per Rwm Italia, anche come risposta all’accanita attenzione inquisitoria manifestata, via media, da associazioni e loro portavoce, cui l’azienda – volutamente e per equilibrio – ha evitato di opporsi, sin qui».
Tuttavia quella che per la Rwm è attenzione inquisitoria non si è mai placata. E poggia anche su un altro tema sollevato dalle associazioni e dai loro analisti: mentre a Domusnovas si viaggia tra licenziamenti e ricorsi, la multinazionale ha dato avvio a una poderosa delocalizzazione in Arabia Saudita e in Qatar per la produzione delle stesse bombe fino a ieri prodotte in Sardegna. E da qui la domanda: «a che serve il progetto di ingrandimento se il mercato rischia di essersi esaurito vista l’opera di delocalizzazione?». Il dubbio degli esperti, che tuttavia a oggi non trova conferma alcuna, è che si stia già pensando a nuove bombe, più “evolute” e micidiali.