Dilettanti al governoLa superficialità con cui Conte parla del ponte sullo Stretto conferma che è ancora un apprendista politico

Nel bel mezzo di un’intervista in piazza a Ceglie Messapica, il premier si è lasciato andare a proclami sul collegamento continente-Sicilia. L’ipotesi è quella di un tunnel “subalveo” sotto le acque. Ma chi veramente vuole portare a termine l’opera dovrebbe prima misurare le parole, discutere con tecnici veri a Palazzo Chigi e magari avvisare il proprio ministro delle infrastrutture

Quando Giuseppe Conte va nella “sua” Puglia bisognerebbe non prenderlo sul serio. Fa danni come un ragazzino alle prese con il piccolo chimico, in questo caso il piccolo politico. Il gioco che gli piace visibilmente di più quando ha tempo libero, è infatti quello di fare il rappresentante del territorio. Come se lo fosse davvero e dovesse raccogliere voti di preferenza, lui che non ha mai provato l’ebrezza del rapporto diretto con l’elettore, una droga per i nuovi arrivati della politica (stravolse persino uno come Mario Monti, che si inventò un effimero partito).

Condotto per mano tra trulli e ulivi da un altro pugliese che il destino e la Casaleggio srl gli hanno messo a fianco, Rocco Casalino, si lascia andare all’euforia e parla in libertà, esaltato dall’applauso dei cegliesi, ammesso che così si chiamino i concittadini di Ceglie Messapica.

Nell’ultima uscita, ha toccato un tema che andrebbe trattato con la massima cura, il collegamento continente-Sicilia. Niente di più delicato, dopo tanti anni di sparate elettorali, di proclami ideologici, di improvvisazioni politiche. Chi veramente vuole aiutare un’opera che può chiudere il cerchio di un itinerario transeuropeo che nel Nord del continente è stata più volte realizzata senza suscitare il can can italico, dovrebbe però misurare le parole. È l’unico modo per reintrodurre razionalità e realismo dopo le sbornie. E avviare qualcosa di concreto.

Conte no, nel bel mezzo di un’intervista in piazza, s’è inventato una soluzione, ha detto, che gli piace tanto: un bel tunnel “subalveo” sotto le acque dello stretto, una soluzione dettata da tale Giovanni Saccà, dirigente ferroviario di Verona.

Chi crede nella necessità di risolvere la questione, ha avuto un soprassalto. Perché sprecare una cartuccia così preziosa? Un’uscita inopportuna, quanto meno, da discutere con tecnici veri a Palazzo Chigi, non al festival delle vanità di Ceglie. Meglio star zitti o chiedere semplicemente di riaprire studi già fatti mille volte con costi miliardari, anziché spiazzare la malcapitata ministro delle infrastrutture che non ne sapeva niente.

Ecco, appunto. Il tunnel sotto il pelo dell’acqua o sprofondato sotto terra tra Scilla e Cariddi, era già stato studiato e impostato in particolare dal consorzio che faceva capo all’Eni, ma scartato a favore del ponte a campata unica di tre km, il triplo del ponte San Giorgio ex Morandi di Genova. Il progetto è già pronto, e ristudiandolo si potrebbero quanto meno recuperare i costi immani di decenni buttati via a progettare: decine di migliaia di tabelle, calcoli, prospetti. Che erano appunto arrivati ad una conclusione.

Gestibile? Sostenibile? Alla buona politica, e alla tecnica, non alle improvvisate di piazza la risposta. Su quel collegamento dovrebbero correre treni ad alta velocità. Meglio dentro un tubo sott’acqua, 100 metri sotto terra o su un ponte? E quali rischi, in un territorio altamente sismico, quali conseguenze per la navigazione?

Qui però la nostra limitata competenza ha il dovere di fermarsi. Non tocca ai commentatori indicare le soluzioni tecniche. Deontologia suggerisce di rivolgersi a chi ne sa di più, e nel nostro caso abbiamo provato a parlarne con un ingegnere e imprenditore che ha girato il mondo per costruire infrastrutture simili, Cesare Prevedini, vice presidente dell’associazione italiana calcestruzzo.

Uno che ha lavorato sui progetti del ponte e che crede che questa sia la soluzione più ragionevole, con tre campate o una si vedrà, ma lui non oserebbe la strada della campata unica. In Giappone sono arrivati a due chilometri, ma con per i treni.

Abbiamo capito comunque che tutto è teoricamente possibile. Andare sott’acqua è un’idea fattibile dai tempi di Archimede, ma far correre treni ed auto insieme è impresa non da poco, forse meglio non fare esperimenti proprio in quel posto. I treni ad alta velocità accettano pendenze fino al 12 per mille, e per scendere sotto, occorrerebbero accessi ed uscite di almeno 12 km ciascuna, rispetto ai tre del solo collegamento.

Scendere addirittura a 300 metri come ha fatto capire, secondo Corsera, il nostro avvocato, allungherebbe di molto questa discesa agli inferi. Agganciando il tubo a stralli di dimensioni gigantesche, da ancorare con strumenti tipo Mose non sarebbe proprio una passeggiata.

Nei decenni trascorsi hanno lavorato al progetto ponte i migliori esperti del mondo. Perché ricominciare da capo? Solo per gli applausi dei cegliesi? Ma forse sbagliamo tutti a parlarne. Così facendo, diamo argomenti e spazio al partito del NO, che è sempre incinto.

Ecco, meglio non parlare e chiedere a chi ha responsabilità un po’ di buon senso, preparando carte non approssimative se vogliamo portare in Europa la questione, approfittando del recovery. Se poi Conte voleva fare un’operazione politica per aiutare i suoi danti causa Cinque Stelle a dire un sì, come sembra da certe reazioni e dall’accoppiamento con il viceministro grillino Cancelleri (no alla Tav ma si allo stretto: sembra persino un progresso…) allora possiamo concludere che l’attuale premier continua a fare l’apprendista politico. Toglietegli i giri elettorali in Puglia.