Il doppio standard delle dittatureCome le autocrazie utilizzano le leggi sanitarie per reprimere il dissenso

I governi autoritari si trovano a loro agio con le leggi speciali per l’emergenza Covid. Queste misure rischiano di essere condivise da una parte della popolazione, che non ne vede la gravità o non ne percepisce gli effetti

ISAAC LAWRENCE / AFP

Il coronavirus rappresenta una sfida per i governi di tutto il mondo, gestire insieme i problemi sanitari e la crisi economica causata dalle misure adottate per contenere i contagi non è facile, e sta causando grande malcontento nella popolazione, specialmente dove la politica non è stata in grado di affrontare tempestivamente la pandemia.

Il virus però non è soltanto un problema, nota l’Atlantic in un lungo articolo, ma per «chi vuole consolidare il proprio potere, le regole speciali per il contenimento della pandemia offrono uno strumento molto utile per silenziare il dissenso», può rappresentare un’opportunità.

La rivista americana comincia raccontando cosa sta succedendo a Hong Kong, città particolarmente interessata dalle limitazioni alla libertà di manifestare, dall’inizio della pandemia. 

E quello che emerge è il doppio standard utilizzato dalla polizia nel far rispettare le misure di distanziamento sociale: molto blando nei confronti delle attività di svago, come ristoranti, cinema o bar, durissimo nei confronti delle attività politiche. 

Timothy Mclaughlin, il giornalista americano che ha scritto l’articolo, racconta che ad agosto due persone si sono ritrovate di fronte a un esclusivo centro commerciale di Hong Kong con in mano un mazzo di fiori bianchi per ricordare un manifestante morto nelle vicinanze durante le proteste dello scorso anno. La piccola manifestazione, come tutti i segnali a favore del movimento pro democrazia della città-stato, ha attirato l’attenzione della polizia: in breve tempo dodici poliziotti hanno accerchiato i due ragazzi, filmando l’accaduto, e poi sono intervenuti per multarli e interrogarli non appena una terza persona si è avvicinata a loro e ha mostrato di voler partecipare alla loro commemorazione. Questo perché a Hong Kong sono vietati gli assembramenti con più di due persone. 

Il problema è che, scrive l’Atlantic, la polizia non è stata così fiscale quando il giorno prima una folla di persone appena uscite dal lavoro beveva birre e drink senza alcun rispetto per le regole di distanziamento, a dimostrazione di come ormai in città ci sia un doppio standard riguardo gli assembramenti di persone. 

Il giornale americano riporta anche le attenzioni degli attivisti, che  cercano di organizzarsi in modo molto scrupoloso per evitare di dare pretesti alla polizia, senza grande successo: «Roy Tam e un gruppo di colleghi consiglieri distrettuali pro democrazia hanno organizzato una manifestazione per criticare il piano sui tamponi deciso del governo di Hong Kong, e per farlo si sono attenuti alle regole: hanno indossato le mascherine, si sono disposti in gruppi di due mantenendo le distanze nello slargo di fronte a un centro sportivo che il governo sta trasformando in un centro di sperimentazione. Questi sforzi e il fatto che fossero eletti non hanno soddisfatto la polizia. Gli ufficiali si sono rapidamente avvicinati al gruppo, hanno isolato con un nastro arancione il piccolo gruppo di giornalisti che era sul posto a coprire l’evento, e hanno iniziato a distribuire multe. Tam non era sorpreso. Da quando sono stati introdotti i regolamenti quest’anno, i controlli sono stati “più severi per i manifestanti pro democrazia”, ​​mi ha detto. Un altro politico pro democrazia è stato multato mentre distribuiva maschere gratuite ai residenti della città. “Stanno usando politicamente questa legge per sopprimere la libertà di riunione a Hong Kong”, ha detto Tam».

L’atteggiamento della polizia non sta ponendo soltanto problemi agli attivisti pro democrazia. In particolare, le forze dell’ordine hanno «hanno preso di mira», scrive l’Atlantic, la considerevole comunità di lavoratori domestici stranieri invadendo i parchi e i punti di incontro dove queste persone trascorrono la domenica, il loro giorno libero, delimitando vistosamente le distanze da rispettare con dei nastri blu, una mossa che secondo il magazine americano i lavoratori stranieri hanno percepito come «umiliante». 

La multa standard per chi non rispetta le regole è molto elevata, 250 dollari, e può essere molto difficile da pagare per queste categorie, il cui salario minimo è di circa 600 dollari.

Srigantin, il presidente del sindacato dei lavoratori migranti indonesiani, ha spiegato all’Atlantic che queste multe così salate e la particolare dedizione a loro riservata dalla polizia manda un messaggio indiretto umiliante: «Si vuole dire ai cittadini di Hong Kong che i lavoratori domestici sono spargitori di virus e sono disinteressati alla battaglia contro il COVID-19».

Eppure le regole non sono uguali per tutti: la minoranza bianca risulta largamente “immune” a questo tipo di attenzioni da parte della polizia, e Pell Street, piccola strada epicentro della vita notturna frequentata da occidentali e ricchi residenti di Hong Kong, non viene minimamente toccata dai controlli, una sorta di «barometro dell’ipocrisia nell’applicazione delle regole», scrive l’Atlantic. 

I poteri speciali conferiti per affrontare la pandemia sono utilizzati in modo molto spesso distorto non soltanto a Hong Kong. L’Atlantic fa un lungo elenco di Stati dove i governi hanno sfruttato le restrizioni per fini politici.

Benyamin Netanyahu, primo ministro israeliano, ha sfruttato la crisi sanitaria per sospendere momentaneamente il Parlamento e i processi, il che ha contestualmente rinviato il proprio procedimento giudiziario (Netanyahu è accusato di corruzione), e ha autorizzato i servizi di sicurezza a monitorare i movimenti dei cittadini utilizzando i dati del loro cellulare senza un preventivo controllo legislativo di una misura altamente lesiva della privacy degli israeliani. 

In Bolivia, le prossime elezioni generali sono state rimandate due volte a causa della pandemia, un pretesto che i partiti di opposizione sostengono abbia permesso al presidente ad interim del paese di continuare a governare indisturbato. In Polonia invece le elezioni si sono tenute, ma il partito che governa, Diritto e Giustizia (Pis), ha sfruttato la crisi a proprio vantaggio vietando gli eventi pubblici e rendendo la campagna elettorale quasi impossibile, una restrizione però non applicata al candidato del Pis, Andrzej Duda, libero di organizzare incontri pubblici e conferenze stampa.

In Thailandia gli attivisti che protestano da settimane contro il governo hanno denunciato che i regolamenti emanati per fronteggiare la pandemia sono serviti in realtà per «molestare e ostacolare manifestanti politici» come ha scritto a giugno Matthew Bugher, capo del programma asiatico della Ong Articolo 19. 

Il governo algerino ha utilizzato la crisi per fermare l’Hirak, il movimento di protesta che è sceso in piazza ogni venerdì dal febbraio 2019 per protestare contro il sistema di potere che governa il paese da vent’anni, mentre divieti alle manifestazioni pubbliche sono stati imposti in Cile, Libano e nelle Filippine.

Il caso dell’Ungheria è invece particolare: il primo ministro Viktor Orbàn ha approfittato della crisi per approvare una legge che gli ha consentito di governare per decreto senza limiti di tempo. A fine giugno la situazione è tornata praticamente alla normalità, il Parlamento ha approvato la fine dello stato di pericolo e il primo ministro ha rinunciato ai poteri speciali, ma secondo l’Atlantic, il fatto che Orbàn abbia ottenuto i pieni poteri per un tempo virtualmente indefinito senza alcuna difficoltà politica mostra una cosa molto semplice: se vuole, può: «Il passaggio iniziale conferma la transizione dell’Ungheria verso un’autocrazia».  

Anne Applebaum, giornalista dell’Atlantic, aveva predetto questi atteggiamenti in un articolo pubblicato dalla rivista lo scorso marzo sullo stesso tema: «Non c’è nulla di nuovo nell’improvviso entusiasmo per un intervento aggressivo del governo durante una crisi sanitaria. Nel corso della storia, le pandemie hanno spesso causato un’espansione del potere dello Stato: quando la peste nera si diffuse in tutta Europa nel 1348, le autorità di Venezia chiusero il porto della città alle navi provenienti da zone infestate dalla peste e costrinsero tutti i viaggiatori a 30 giorni di isolamento, che alla fine divennero 40, da cui la parola quarantena. Un paio di secoli dopo, William Cecil, il primo ministro della regina Elisabetta I, combatté la peste in Inghilterra grazie a una legge che consentiva alle autorità di chiudere i malati nelle loro case per sei settimane. Alcuni anni dopo, il Plague Act del 1604 rese illegali queste e altre misure troppo invasive ma, almeno finché erano spaventate, le persone obbedivano. A volte, quando le persone temono la morte, seguono misure che credono, a torto o a ragione, le salveranno, anche se ciò significa una perdita di libertà. Tali misure sono state popolari in passato. Liberali, libertari, democratici e amanti della libertà di ogni tipo non dovrebbero ingannare se stessi: saranno popolari anche adesso».

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