Stampa e regimeI giornalisti in Europa subiscono un attacco al giorno

Secondo uno studio del Media freedom rapid response nei primi quattro mesi del 2020 ci sono stati quasi cento tra aggressioni e intimidazioni, 75 minacce di tipo legale e una ventina di tentativi di censura. Non avvengono solo in regimi autocrati, ma anche in democrazie sempre più illiberali come Slovenia e Serbia

Quasi cento tra aggressioni e intimidazioni, 75 minacce di tipo legale e una ventina di tentativi di censura: sono i numeri, inquietanti, di quattro mesi di monitoraggio delle violazioni alla libertà di stampa nei paesi UE e candidati all’ingresso (Turchia, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Albania). Dagli attacchi fisici alle minacce sui social media, dalle cause pretestuose alle perquisizioni arbitrarie, le segnalazioni, che possono arrivare anche da utenti esterni, sono state registrate e verificate dalla piattaforma Mapping Media Freedom, gestita dal consorzio MFRR di cui fa parte l’Osservatorio Balcani caucaso e transeuropa.

«Non c’è un unico modo per prendere di mira gli operatori dell’informazione: c’è tutta una gamma di minacce e intimidazioni che i giornalisti devono affrontare», si legge nell’analisi stilata dagli esperti di ECPMF, Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ) e Istituto Internazionale della Stampa (IPI). «La modalità più diffusa è l’intimidazione (59 casi), seguita da ingiurie (26), discredito (17) e denunce penali (17). Ma si tratta di una fotografia parziale».

I giornalisti e le testate in Europa e nei paesi candidati sono infatti sottoposti a pressioni e minacce non soltanto in regimi notoriamente autocrati, come Ungheria e Turchia, ma anche in nazioni dove i tentativi di controllare e imbavagliare i media sono più subdoli e sottili, come in Slovenia, dove è a rischio l’indipendenza del servizio pubblico, e in Polonia, dove si tenta una forma anomala di “nazionalizzazione” della proprietà dei mezzi di comunicazione, limitando l’accesso agli investitori stranieri. In testa tra gli autori delle minacce e delle intimidazioni, singoli individui (42), forze dell’ordine (27), seguite da provvedimenti legislativi (25), partiti politici (9), provvedimenti giudiziari (9), altre testate (9), grandi aziende (8), criminalità organizzata (7) e autorità pubbliche (6).

Gli attacchi quindi arrivano anche dall’alto, e in questi ultimi mesi i governi hanno approfittato della pandemia per limitare l’attività dei giornalisti. Il COVID come pretesto Gli effetti della pandemia sul mondo dell’informazione, e di conseguenza sul diritto dei cittadini ad essere informati, costituiscono uno dei focus più interessanti del monitoraggio che copre i 4 mesi cruciali dell’evolversi del coronavirus in Europa, dagli inizi di marzo alla fine di giugno 2020.

Con la chiusura delle frontiere e la dichiarazione dello stato di emergenza in molti paesi, i governi hanno avuto a disposizione un nuovo pretesto, inedito ma subito familiare per la disinvoltura con cui è stato abusato. Su 34 paesi monitorati grazie anche allo strumento di tracciatura implementato da IPI, le violazioni legate al coronavirus sono state registrate in ben 15 stati: si tratta di nuove leggi sulle fake news, di limitazioni dell’accesso alle fonti, di attacchi fisici a giornalisti, cui spesso è impedito l’ingresso a conferenze stampa o cui viene preclusa la possibilità di fare domande.

Un altro territorio a rischio per gli operatori dell’informazione si è dimostrata essere la piazza, in occasione di manifestazioni e proteste: stretti fra la massa dei manifestanti e le violenze delle forze dell’ordine, anche se dichiarano chiaramente il proprio ruolo, giornalisti, fotografi e cameraman si sono trovati sotto attacco in almeno 28 occasioni in 13 paesi, compresa Germania, Italia e Francia, per un totale di 45 persone coinvolte.

Serbia, sul podio delle maglie nere
Con 10 violazioni registrate, una ogni dodici giorni, la Serbia risulta uno dei paesi più citati in queste ultime settimane sulla piattaforma Mapping Media Freedom: in quattro casi il governo ha tentato, anche con successo, di bloccare la pubblicazione di informazioni relative alla pandemia, sperimentando un nuovo format di conferenza stampa che per come è concepito ostacola il lavoro dei giornalisti (domande scritte da fornire in anticipo, nessuna interazione con gli interlocutori, nessuna possibilità di dibattito). Uno degli episodi più eclatanti riguarda una giornalista che è stata trattenuta dalla polizia per diverse ore, con telefono e computer requisiti, e questo perché aveva scritto della situazione disastrosa in un ospedale locale a Novi Sad. Solo quindi per aver fatto il proprio lavoro.

«Il controllo governativo sull’informazione – spiega il report – ha creato un ambiente in cui i giornalisti che sfidano la narrazione ufficiale sul virus sono accusati di agire contro l’interesse dello stato o sono visti come amici del COVID-19». Un’altra decina di segnalazioni documentano aggressioni e abusi di tipo psicologico quali campagne diffamatorie e molestie online ai danni di giornalisti critici, campagne cui partecipano non soltanto singoli nascosti dall’anonimato, ma anche testate vicine al governo. In questo stesso periodo tre reporter hanno ricevuto minacce di morte e due volte la rete di giornalismo investigativo KRIK è stata oggetto di forti pressioni per aver pubblicato delle inchieste sui legami tra gruppi criminali e polizia e politici, nonché per aver pubblicato una foto che ritrae il figlio del presidente Vučić in compagnia di un noto criminale.

Monitoraggio e risposte concrete
Il semplice numero delle segnalazioni non è, e non può essere, l’unico indicatore della gravità della situazione: più numerose che in Serbia sono infatti le violazioni segnalate in Germania (14), in Italia e Regno Unito (11) nonché in Turchia (16), ma questa apparente graduatoria non restituirebbe il quadro completo. Nella classificazione interna che il consorzio MFRR cura ai fini di ricerca per elaborare strategie di reazione e di advocacy, si tiene invece conto sia della gravità degli attacchi sia della tipologia; alla base, la consapevolezza che è impossibile riuscire a misurare il clima dei media tramite un unico parametro numerico: come paragonare l’uccisione di un giornalista al numero di cause pretestuose che colpiscono le testate, o il numero dei giornalisti in galera con le molestie online, o una censura governativa con un’aggressione?

Di qui l’impegno a «costruire e rafforzare le basi della nostra analisi, e di conseguenza la nostra capacità di reagire alle minacce, di affrontare le questioni generali e di offrire il nostro aiuto concreto ai giornalisti nei paesi membri e candidati all’ingresso nell’UE», si scrive nel report. Il monitoraggio di MFRR ha ricadute concrete sull’attività di advocacy e soprattutto sulle strategie e sugli strumenti di sostegno ai giornalisti e alle testate, che possono usufruire di residenze protette, e attingere a fondi di emergenza ad esempio per coprire spese legali, rimpiazzare attrezzature distrutte durante le manifestazioni e sostenere percorsi di aiuto psicologico da stress postraumatico.

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