Fino a quando?Linus ci spiega perché il virus ha imposto definitivamente la cultura del capro espiatorio

Il direttore di Radio Deejay ha attirato numerose critiche per aver detto che la chiusura delle discoteche era necessaria, e anzi aprirle è stato un errore. Ci racconta cosa il lockdown ha rivelato degli italiani, tra senso del dovere, aggressività, e percorsi nuovi nel mondo della comunicazione grazie a Instagram e ai social media

Nonostante i contagi e i focolai dovuti alle feste nelle discoteche continuino ad aumentare si riesce incredibilmente a discutere ancora della bontà della decisione di chiuderle. Come non ci fosse nesso tra i numeri e le chiacchiere. Pasquale Di Molfetta, in arte Linus, conduttore radiofonico e da aprile direttore di tutte le radio del gruppo Gedi (Radio Deejay, Radio m2o e Radio Capital), ha sostenuto, in un post su Instagram, che invece sarebbe stata necessaria una riflessione in più sulla decisione di aprirle. «A Ibiza, capitale delle discoteche europee, hanno avuto il coraggio di tenerle chiuse, qui ogni zona poteva decidere in funzione dei casi della regione. Perché nei locali al mare si sa che ci vanno solo i ragazzi del posto, non i turisti». 

In effetti era chiaro che il risultato sarebbe stato questo e si poteva prevedere che non sarebbe tornato in voga il Geghegè come ballo dell’epoca del distanziamento. Ma i tempi di incubazione del Covid-19 e i tempi di incubazione di una polemica ferragostana sono lenti e simili. Così, dopo giorni, ancora ne parliamo. Ancora politici sostengono che c’è ben altro, ancora imprenditori tentano di aggirare le norme e ancora qualcuno crede sia più utile polemizzare con Linus piuttosto che ragionare su cosa è andato storto e quali errori evitare in futuro. 

Fino a quando? Chissà. Fino a quando (Mondadori) è anche il titolo dell’ultimo libro di Linus, uscito appena terminata la fase più dura del lockdown, che mescolando realtà e finzione racconta come potrebbe essere il suo ultimo giorno di lavoro in radio. Allo stesso tempo è il racconto di una storia di successo e del ruolo e della presenza della radio nelle nostre vite. Vicende che parlano molto sia a chi le ha vissute che alle generazioni che provano a costruire nuove forme di intrattenimento sui social. Anche se Linus nutre qualche dubbio sul fatto che le dirette Instagram siano le nuove radio libere. 

Quello che hai detto sulle discoteche ha attirato l’attenzione su di te e ti ha portato qualche critica.

Quelle che sono arrivate non sono critiche, mi sono arrivati solo complimenti e una microscopica percentuale di inevitabili caproni rancorosi che però non hanno mai saputo articolare perché insultavano. Uno dice una cosa, tu non sei d’accordo e articoli perché non sei d’accordo. In questo caso ho detto una cosa che come ogni cosa può essere giusta o sbagliata: il novanta per cento delle persone ha applaudito e qualcuno invece ha fatto il dito medio, ma non ho capito bene per qualche motivo. Perché non è che c’era qualcuno che, invece, diceva che le discoteche andavano tenute aperte. 

Secondo qualcuno hai addirittura rinnegato la tua storia. 

Infatti ne approfitto per dire che quello non era un attacco alle discoteche, sarebbe stupido, io c’ho vissuto e ci sono cresciuto. Ma la difficoltà di questo momento è mandare dei segnali che siano chiari. Una volta che dici che si può andare in discoteca e si può stare tutti attaccati su una pista da ballo allora stai anche ammettendo che tutto il resto vale. E siccome, secondo me, non deve essere così, per il momento evitiamo gli eccessi. Le discoteche sono la punta dell’iceberg. E’ chiaro che per strada c’è altrettanta pressione e altrettanto affollamento. Ma proprio per permetterci di vivere in una maniera quasi normale dobbiamo evitare le situazioni più esasperate. Questo era il concetto. E non è neanche colpa dei gestori delle discoteche che hanno fatto quello che potevano per cercare di renderle più sicure. Ma è scientificamente impossibile: perché anche se hai un locale da cinquemila persone e ce ne metti duemila nel momento in cui parte la musica la pista si riempie. Fine. 

La decisione del Ministro si è trasformata subito in una polemica politica. 

La Santanchè ha fatto il fenomeno e ha detto “io tengo aperto”. Ma non ha spiegato in che maniera lei tiene aperto. Perché il Twiga quest’anno ha tolto la pista e quindi è aperto, è vero, ma in una maniera, tutto sommato, sicura. Quindi ha fatto la paladina di chi tiene le discoteche aperte, ma la sua discoteca l’ha aperta in una maniera garantita. 

Eravamo già ammalati di benaltrismo, la pandemia l’ha perfino aumentato. 

Col fatto che c’è ben altro, ogni cosa non vale niente e vale tutto. Da qualche parte dovremo pur cominciare. Io sto cercando di avere una vita, tutto sommato, normale e proprio per avere una vita normale bisogna evitare gli aspetti eccessivamente pericolosi. Poi la gente ormai non legge neanche, legge soltanto i titoli. Anzi, gli hanno riferito una cosa e allora ti insulta senza sapere. 

Capita sempre più spesso che le cose che si dicono finiscono in un unico calderone e magari ti si attribuiscono cose dette da altri. Qualcuno ti ha anche trasformato in un nemico dei giovani.

Come se avessi voluto criticare i giovani. Secondo me i ragazzi sono quelli che si sono comportati meglio durante il lockdown. E comunque possono campare benissimo anche senza le discoteche. 

Prima c’erano i runner. 

Additare un colpevole fa parte della meschinità dell’essere umano. Non credo sia una caratteristica solo italiana. Ma è un sentimento che è stato centuplicato dalla diffusione dei social. Quando hai un briciolo di ragione, quel briciolo di ragione diventa il pretesto per diventare esageratamente aggressivo nei confronti di chi ha torto. Faccio un esempio interessato: i ciclisti. I ciclisti sono diventati, grazie a Facebook, la categoria più odiata da quelli che vanno in automobile. Quando il massimo del fastidio che può darti un ciclista è farti perdere del tempo. È vero. L’automobilista ha ragione: quando due ciclisti si mettono di fianco e parlano, ti rallentano. Hanno torto e lui ha ragione ad arrabbiarsi. Ma da avere ragione a insultare in maniera eccessiva o, addirittura, provare a buttarli a terra di proposito ce ne passa. È proprio la frustrazione dello sfigato che quando ha un filo di ragione diventa una bestia perché è il momento in cui si sente importante. 

Non so se puoi tirare un sospiro di sollievo, ma adesso se la prenderanno con chi va in monopattino. 

Si è sempre meridionali di qualcuno, come diceva De Crescenzo. 

Nel tuo libro racconti il momento d’oro delle radio libere. Rispetto a oggi quello obbligato dai social ti appare più come un controllo positivo o come un obbligo all’autocensura?

C’era più incoscienza che però permetteva di essere più liberi nell’esprimersi. Adesso quando parli sai che ogni cosa che dici o scrivi verrà vivisezionata. Ogni volta che pubblico qualcosa su Instagram ci sono quelli che la ingrandiscono e cercano il dettaglio, o per fare la battuta e va bene o per rompere i coglioni e va male. Ogni cosa che dici dovresti soppesarla perché sai che dall’altra parte c’è qualcosa che ti torna indietro. 

E mentre qualcuno prova a ragionare…

A quel punto chi fa la radio o un mestiere di comunicazione fondamentalmente si divide in due categorie: quelli che cercano di essere più equilibrati proprio sapendo che esiste questa possibilità e quelli che invece la cavalcano. Di solito quelli che la cavalcano sono i più sfigati, come i politici che sanno che più la sparano grossa e più questa cosa avrà eco e verrà ripresa. Ci vuole pelo sullo stomaco per fregartene di tutta la parte di pubblico che è in grado di intendere e di volere. 

Tornando ai ragazzi, un altro aspetto molto criticato sono i viaggi all’estero… 

Anche qui, non possiamo parlare in assoluto. Bisognerebbe valutare caso per caso. Conosco persone che sono state in Grecia e mi hanno raccontato di posti deserti. Certe spiagge italiane, invece, non sono mai state affollate come quest’anno. Qui dove sono, a Riccione, c’è una quantità di persone che non si vedeva da anni. Non si può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato senza conoscere i casi. 

Durante il lockdown, molte persone hanno approfittato dell’occasione per lanciarsi nelle dirette Instagram e in decine di tentativi analoghi di tenere compagnia agli altri, ci si può vedere un’analogia col boom delle radio libere?

Sì, ma solo in parte. Allora era un modo per divertirsi che non sapevamo dove ci avrebbe portato. Anche se poi da quell’incoscienza lì è nata Deejay. Oggi vedo molta più ricerca del successo a tutti i costi, i ragazzi prendono come modelli quelli che secondo loro ce l’hanno fatta e puntano a quello. Ma il mondo dei famosi, il mondo di quelli che ce l’hanno fatta, è ristretto. L’isola dei famosi – non il programma – è piccola. Non si può puntare direttamente a quella. I modelli di successo non aiutano, ma non aiuta neanche l’ambizione sfrenata. 

Oltretutto il tuo libro racconta bene che per ottenere “successo” conta la tenacia…

Infatti. Bisognerebbe poi anche vedere dove saranno i modelli di successo degli youtuber o degli instagrammer tra qualche anno… 

C’è anche il fatto che vivono in delle bolle incredibili, più assurde delle nostre. 

Sì, ancora dieci anni fa la musica copriva più generazioni. Oggi quando ascolti le cose degli adolescenti scopri un mondo di artisti totalmente sconosciuti. 

È anche un rifugio per loro. Forse non ne possono più di genitori che si fingono fan di Ghali. 

Sì, così inventano anche un linguaggio per tenerci fuori. 

E dei podcast cosa credi? Sono il futuro come credono gli americani o no?

Sono due anni che ce lo chiediamo e non sappiamo darci una risposta. Al momento è un circolo vizioso: per fare un buon podcast o dei buoni podcast servirebbero degli investimenti notevoli, ma nessuno è disposto a investire perché non ci sono ritorni pubblicitari garantiti e immediati. E chi vende pubblicità, nel nostro paese, non sembra disposto a rischiare. È un cane che si morde la coda. Qualche anno fa anche degli audiolibri si diceva che, com’è successo in Germania, avrebbero cambiato radicalmente il mercato e invece. 

Il tuo audiolibro è fantastico. Quando ho cominciato a leggere il libro ho scoperto che mi suonava in testa con la tua voce, così quando ho scoperto che c’era la versione audio letta direttamente da te ho interrotto la lettura e ho ricominciato. Hai una capacità di tenere l’attenzione incredibile, dovresti dare lezioni ai professori. Immagino ti sarà capitato di assistere anche pochi minuti a qualche lezione di didattica online. 

È un lavoro difficile, e molti professori ci sono arrivati, come tutti, impreparati. Ma prima ancora di studiare come catturare l’attenzione, il vero problema per molti studenti è stata la mancanza di strumenti adeguati a seguire le lezioni online. E in molte zone d’Italia anche di connessioni adeguate. Poi sì, si potrà fare qualcosa in futuro anche per migliorare la didattica online. E credo che, come da ogni momento buio, anche da questo si potrà cogliere un’occasione per migliorare. Ma, al momento, non voglio pensare alla didattica online perché non oso pensare che la scuola non riapra a settembre con la presenza degli studenti. I ragazzi ne hanno troppo bisogno, innanzitutto dal punto di vista delle relazioni sociali. 

Claudio Giunta ha scritto un bellissimo articolo per dire che la tv ha fatto schifo durante la pandemia, mentre la radio – e soprattutto voi – avete svolto un grande lavoro, tenendo compagnia e quasi accarezzando il pubblico nella difficoltà del momento. 

Si ricevono molti complimenti, e quasi non ci fai più caso, ma quando ne arriva uno come quello di Giunta è diverso. Ci pensi davvero. Quando ho scritto questo libro, anche se è un libro in parte di invenzione, pensavo davvero di essere esausto del mio lavoro. Chiudere una puntata, accorgersi che non è stata una delle migliori, che non sei entrato davvero in contatto col pubblico era una sensazione che mi pesava. Invece il lavoro nei due mesi di lockdown – e considera che io ho continuato ad andare materialmente al lavoro ogni giorno – mi ha restituito il piacere che avevo dimenticato.

 

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