Per un futuro solidoL’Italia deve ripartire dal nuovo ponte di Genova

L’idea di un Paese adagiato sul passato, che accumula debito e con nessuna intenzione di cambiare passo, deve svanire. La costruzione del nuovo viadotto ha evidenziato le migliori capacità italiane: innovazione, creatività, collaborazione tra pubblico e privato e pragmatismo. Elementi su cui lo Stato deve investire per aiutare le prossime generazioni

Afp

Dell’inaugurazione del Ponte San Giorgio rimarrà impressa nella mente dei genovesi l’arcobaleno che è comparso su un cielo carico d’acqua. La stessa acqua che in quel maledetto 14 agosto trascinò con sé il Ponte Morandi e distrusse 43 famiglie, lacerando la città e shockando un’intera nazione. 

L’Italia tutta si è stretta attorno a Genova e quel ponte ha raffigurato il simbolo delle inadempienze, delle carenze, della superficialità di un Paese irriguardoso e facilone. In molti hanno visto nel crollo del Morandi una metafora dell’Italia, l’incarnazione di un Paese adagiato sul passato, su privilegi e comodità fragili come un castello di sabbia, e con nessuna intenzione di cambiare passo, di guardare al futuro con positività, di innovare, di costruire.

Lo sappiamo, ci sentiamo colpevoli e molte volte non facciamo nulla per cambiare, sappiamo di essere un Paese che accumula debito, che passa la palla alle future generazioni, che non investe su se stessa, che gode troppo di quello che ha accumulato in un ventennio di crescita economica miracolosa per pensare al futuro.

Ma facciamo uno sforzo e guardiamo anche l’altra faccia della medaglia. Purtroppo troppe volte le nostre qualità le attiviamo e le mostriamo tardi, quando siamo obbligati a tirarci su le maniche, ma sappiamo altresì per esperienza che nei momenti di difficoltà gli Italiani, la maggioranza silenziosa, lavoratrice, operosa, riparte dando il meglio di sé. 

E anche sulle macerie del Morandi siamo riusciti a riscrivere una nuova narrativa. La ricostruzione del Ponte ha rappresentato la ripartenza non solo di Genova, città simbolo di un’Italia straordinaria ma anziana, decadente e impaurita, ma di un Paese troppe volte vilipeso da tragedie previste e non affrontate. 

E in un solo anno dal getto delle fondamenta, con il coinvolgimento di mille lavoratori, tra progettazione e costruzione, e con turni spalmati nelle 24 ore, il Ponte è in piedi, nella sua imponenza e semplicità, a ricordarci che tutto è possibile e che nulla può esserci precluso quando mettiamo insieme le nostre migliori intelligenze e capacità e, senza orpelli burocratici inutili, ci adoperiamo per realizzare le migliori infrastrutture del mondo.

Renzo Piano, orgoglio di Genova, d’Italia e del nostro Parlamento, nel suo intervento ha sottolineato quanto sia difficile trasformare un evento luttuoso in una speranza di vita. Ma questo Ponte, simbolo di pace, porta con sè sentimenti contrastanti, dilaniati dalla frustrazione delle morti evitabili e rinfrancati dalla percezione di una ripartenza repentina e poderosa. 

E questo Ponte è nato dunque dalla matita di questo nostro grande architetto e realizzato dalle migliori eccellenze italiane. Si è scelta la strada del commissariamento, tralasciando codici farraginosi e procedure bibliche. Gli enti pubblici e le società private hanno collaborato senza risparmiarsi perché l’obiettivo era costruire, non temporeggiare sull’interpretazione della norma, dagli operai ai progettisti, tutti erano consci che stavano costruendo un’opera che avrebbe mostrato cosa l’Italia può essere e in troppi casi dimentica di essere.

Quando parliamo di sburocratizzazione, snellimento delle procedure, velocità nell’affidamento degli appalti, digitalizzazione della macchina amministrativa, intendiamo il “modello Genova”, ma questo, bisogna dirlo, giocando in anticipo e non aspettando il peggio per poi rimediare, seppur con grande capacità. 

Quando proponiamo a ripetizione un piano per l’infrastrutturazione del Paese, vogliamo che questo modello sia la regola e non venga visto come un miracolo su cui fare i titoloni dei giornali. Ma ci vuole coraggio per cambiare il sistema, coraggio che troppe volte manca ad una classe dirigente avvinghiata al sondaggio e vittima del consenso ad oltranza. La responsabilità concerne solo ad una classe politica matura, che ammetta i propri errori e cerchi di migliorarsi.

Genova, e l’Italia, hanno il dovere di ripartire dall’inaugurazione di ieri, cercando di colmare con il lavoro e il pragmatismo quel gap infrastrutturale, sociale e culturale rispetto a quello che il nostro Paese può essere per la sua storia e le sue capacità.

E se l’arcobaleno e il nuovo ponte raffigurano la pace, la data dell’inaugurazione, il giorno in cui Cristoforo Colombo partì per scoprire l’America, incarna lo spirito di una partenza di un percorso di innovazione e la modernizzazione del paese. 

Partiamo da qui: dalla forza di una città semplice e forte, come l’ha ben sintetizzata ieri un genovese doc come Renzo Piano, dal lavoro di creativi, operai, artigiani e ingegneri italiani, dall’innovazione, dalla collaborazione tra pubblico e privato e tra forze politiche opposte che lavorino tutte nella stessa direzione.

Osserviamo ogni momento vissuto che ha permesso la creazione di questo ponte e che ha evidenziato le migliori capacità del nostro Paese, ripartiamo da qui, per creare un futuro solido di valori, di consapevolezza e innovazione che abbia al centro le nostre capacità umane.

L’autore è deputato di Italia Viva

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