Inaspettatamente ma non troppo, nello scontro referendario fra Sì e No sta emergendo – chiamiamola così per comodità – una terza posizione. Quella degli ignavi. Cioè coloro che, per calcolo politico non scevro da una certa indolenza o codardia o tornaconto, scelgono e non scelgono, pensano una cosa ma non la dicono o al massimo la sussurrano. È esattamente il contrario dello spirito di un referendum che si esprime proprio nello schierarsi, inevitabilmente manicheo, per il Sì o per il No in modo aperto, limpido, pubblico.
Vale non solo per i partiti ma anche per i singoli. Dire una cosa e farne un’altra nel segreto dell’urna è un pessimo servizio alla politica come libera manifestazione del pensiero, è il consegnarsi alla dittatura delle segreterie dei partiti. Ben vengano invece – ne stiamo vedendo a bizzeffe – i liberi pronunciamenti difformi dalle indicazioni dei leader di riferimento. Qui sta la bellezza del referendum e la sua forza democratica.
Per ragioni diverse, alcune anche comprensibili secondo le eterne leggi della ragione di partito, ci sono partiti favorevoli al Sì che però non lo sosterranno nella campagna referendaria (che in teoria è già iniziata): esempio fulgido di questa ambiguità è Matteo Salvini, che – sempre in teoria – dovrebbe scatenare la sua Lega che in Parlamento votò a favore del taglio dei parlamentari tutt’e quattro le volte, e che addirittura aveva visto nel referendum l’occasione di una spallata al governo, salvo poi rendersi conto che il governo e la maggioranza (tranne Italia viva) la pensano esattamente come lui.
Resosi dunque conto di lavorare per il Re di Prussia nel nome di un condiviso antiparlamentarismo populista, Salvini ha scelto di restarsene quatto quatto in attesa di mettere il cappello sulla vittoria dei Sì a cose fatte. E questo è il primo ignavo o meglio ambiguo, furbetto.
Il secondo ignavo – almeno fino alla già leggendaria Direzione della settimana prossima – è il Partito democratico, che in continuità con il suo atteggiamento parlamentare (tre No e un Sì finale) non sa decidersi fra due opzioni di voto opposte, e alla fine mollerà l’ignavia in favore di una soluzione morbida morbida: sceglierà cioè un sofferto Sì come le mogli di un secolo fa costrette all’altare dopo un “impiccio” cui dover riparare, ma anche in questo caso senza dare troppo nell’occhio con comizi, banchetti e spot televisivi.
È ignava anche la Cgil di Maurizio Landini che – scrive il Manifesto – è per il No ma anche in questo caso senza dirlo troppo in giro nascondendosi dietro la più tradizionale delle scuse – “le nostre priorità sono altre” – come se il tema della Costituzione, che guarda caso ai tempi del referendum di Renzi era tema così scottante, fosse divenuto oggi una questioncella accademica. Meglio allora non dire niente. Perché se invece dici una cosa, poi devi essere conseguente
Un po’ meno ignave, ma giusto un po’, Forza Italia e Italia viva (al di là delle chiarissime scelte individuali, da Andrea Cangini a Roberto Giachetti) che rivelano a ogni sospiro di essere per il No ma i cui leader, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, se ne stanno alla larga dalla battaglia. Anzi, per la precisione il primo balbetta un Sì mentre i suoi dicono No, il secondo non dice niente per paura di “personalizzare” la questione.
Il più ignavo di tutti è infine l’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, che pure nel 2016 fu fra i leader dell’offensiva antirenziana in nome della difesa dei valori costituzionali condotta da lui e altri insigni giuristi con toni da epica resistenziale. Zagrebelsky ha azzeccato l’immagine: l’asino che non sa in quale secchio bere, se in quello del Sì o quello del No. Che è comunque una figura meno tragica, l’asino, di quella che Dante disegna per gli ignavi, «l’anime triste di color che vissero sanza infamia e sanza lodo», addirittura neppure degne di stare all’Inferno, «questi – dice severo Virgilio al Poeta – non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa che ’invidiosi son d’ogni altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa».