80 anni Bauli, 98 anni Pernigotti: i due industriali con un cognome evocativo per tutti gli amanti della dolcezza, si sono spenti a poche ore di distanza, e lasciano l’industria dolciaria italiana in una situazione complessa, dopo il lockdown, durante una ripresa che stenta a decollare, complice anche il momento dell’anno, non certo favorevole al consumo di dolci che non siano gelati.
E se il re del settore, quel Giovanni Ferrero che anche nel 2020 è stato indicato dalla classifica Forbes dei Bloomberg Billionaires Index come l’imprenditore italiano più ricco, al 29esimo posto al mondo, con un patrimonio di 32,8 miliardi di euro e prodotti inossidabili in portafoglio sembra passarsela bene, non è così per tanti industriali medio piccoli, che stanno combattendo per riuscire quantomeno a pareggiare gli introiti del 2019, traguardo ambizioso in un anno che ha bruciato uno dei momenti clou per questo settore, la Pasqua, che abbiamo passato in lockdown, lontani da uova e colombe, feste e celebrazioni.
Il pandoro rimane saldamente in mano alla quarta generazione dei Bauli, insieme ai marchi man mano acquisiti dal gruppo (Doria, Motta Alemagna, Bistefani), guidato dal nipote Michele Bauli, presidente di Confindustria Verona. Un vero impero dolciario con sede a Verona e distaccamento in India, che nel 2018 ha fatturato più di 472 milioni di euro, con circa 1.500 dipendenti.
La scomparsa del re dei gianduiotti porta con sé invece il ricordo di un dramma familiare, quello della morte dei due figli del Cavalier Stefano Pernigotti. Una di quelle tragedie che paiono voler colpire con millimetrica e diabolica precisione le grandi dinastie imprenditoriali. Paolo e Lorenzo, giovani figli di Stefano e Attilia Rivolta, persero la vita nel 1980. Un maledetto camion contromano, un brutto incidente stradale che si portò via i due fratelli, di 17 e 13 anni. Forse cambiò tutto proprio lì, con la quinta generazione dei Pernigotti falciata via dalla vita in modo brutale. Nel 1995 Stefano, senza eredi, cede l’azienda agli Averna. Nel 2013 la proprietà passa ai Toksoz, imprenditori turchi. Lo scorso anno lo spezzatino, al culmine di un duro periodo di crisi e cassa integrazione per i dipendenti dell’azienda dolciaria di Novi Ligure: i turchi si tengono cioccolato, torrone, uova di Pasqua e gianduiotti con il marchio “Pernigotti 1860”, mentre il ramo “Ice & Pastry” con dentro il brand “Pernigotti Maestri gelatieri italiani” finisce a Casa Optima, il gruppo che ha già in pancia – grazie allo shopping degli ultimi anni – Giuso (frutta candita e composti per gelateria e pasticceria), Modecor (decorazioni per pasticceria), Mec3 (ingredienti per pasticceria e gelateria).
Spiega a Gastonomika Giuliano Tosi, direttore della business unit Ice & Pastry Pernigotti Maestri Gelatieri Italiani: «Ci siamo concentrati particolarmente su tre aree di intervento: tutelare la qualità del prodotto, renderlo disponibile sul territorio e comunicare in modo chiaro i nostri piani di innovazione, nel solco della tradizione italiana». Il gruppo ha ambizioni di sviluppo per il marchio storico, che punta alle novità di prodotto per uscire dai confini europei. «Abbiamo un piano di lungo periodo. Ciò che stiamo facendo nel 2020 è gettare le basi di un business solido sul quale costruire significativi incrementi nel 2021 e 2022. Ciò significa soprattutto investire sul team in assetto organizzativo, competenza, consapevolezza di poter vincere. Oggi i nostri mercati principali sono l’Italia ed alcuni paesi dell’Unione Europea; l’espansione in nuovi paesi passerà attraverso la costruzione di un nuovo e più ampio portafoglio prodotti, con ulteriori lanci di interessanti novità a partire dal mese di settembre».
Intanto, come ulteriore via libera allo sviluppo sereno di questa parte di business, si è chiuso anche il contenzioso con l’imprenditore Giordano Emendatori (fondatore della Mec3, poi venduta nel 2014 – certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano, ma magari si trasformano in scontri a carte bollate come in questo caso) proprio riguardo lo spezzatino del business Pernigotti dello scorso anno. Il tribunale di Milano ha respinto anche l’ultimo reclamo di Emendatori, che si opponeva a una sentenza del 4 luglio scorso. La sua tesi era più o meno questa: avevo già in mano un accordo coi turchi nel 2019, un contratto preliminare, ma i Toksoz avrebbero trattato in parallelo con Casa Optima. La quale poi si è aggiudicata i gelati. Reclamo respinto e nessuna ulteriore chance di tornare sulla questione.
I turchi Toksoz, prima responsabili del lento declino del marchio, hanno invece appena rilanciato il brand Pernigotti 1860 con un piano industriale che prevede investimenti fino a 5 milioni di euro tra luglio 2020 e luglio 2021, per ammodernare gli impianti e consentire il trasferimento a Novi Ligure della produzione di crema spalmabile e di tavolette di cioccolato con due nuove linee da affiancare a quelle di torrone e cioccolatini. Proprietà straniera ma produzione locale, a garanzia dei dipendenti, al momento in cassa integrazione.
Stessa sorte anche per il brand Melegatti, che dopo essere stata dichiarata fallita nel 2018, è stata acquisita all’asta per 13,5 milioni di euro dalla famiglia Spezzapria, da due generazioni a capo di Forgital, azienda multinazionale specializzata nella forgiatura dei metalli, in particolare nella laminazione circolare degli anelli. Il primo rilancio a Natale 2018, buoni successi nel 2019, e un 2020 tutto da costruire.
E per le medie imprese come vanno le cose? «I dati oggettivi sulla Pasqua sono stati duri» racconta a Gastronomica Dario Loison, personificazione del panettone con l’azienda di famiglia. «Nielsen dice che le vendite nei supermercati sono decisamente calate: meno 36% per le colombe, meno 27% per le uova di cioccolato. Numeri così negativi non si erano mai stati. E anche sugli altri prodotti da forno si soffre: non andando a scuola, i bambini non mangiano merendine, un altro dato che contribuisce a far soffrire il nostro settore. Per contrastare le perdite sul mercato nazionale io ho puntato ancora di più sull’estero, che comunque in questo momento sta dando degli ottimi segnali. È molto presto per dirlo, ma sento che le cose stanno andando bene e che il grande lavoro sui mercati stranieri che ho portato avanti fin dalla fine degli anni ’90 sta premiando: sono una piccola realtà, fatturiamo circa 9 milioni di euro, ma il 50% del mio fatturato lo faccio in 50 Paesi, tra cui Francia, Finlandia, Giappone, Stati Uniti e Canada. Rivolgermi al mercato estero nel ’94 mi ha costretto a lavorare molto sullo sviluppo di documentazioni tecniche: questi clienti mi costringevano ad alzare la qualità e a seguire gli standard che in Italia allora non chiedeva nessuno e che adesso invece sono normali. Allora le certificazioni per l’estero mi hanno permesso di fare innovazione, nel mio piccolo, e migliorare costantemente nella struttura qualitativa del prodotto». Ma si naviga ancora a vista, e servono visione e intraprendenza: «Il mercato in questo momento sicuramente è molto più complesso, e dobbiamo agire in modo diverso da come facevamo prima. Il fatto di non poter parlare con il cliente dall’ufficio ma farlo da casa significa rivedere tutta la logistica e dialogare in modo diverso: avendo negli ultimi sei mesi annullato tutte le forme di incontro e di mobilità, dobbiamo fare l’attività di promozione in maniera diretta, andando a raggiungerli uno a uno, a casa loro. Abbiamo anche dovuto bypassare i distributori, nostri primi clienti sul fronte estero, e attraverso loro arrivare direttamente con le campionature al cliente finale, che noi di solito non conoscevamo. Un grande investimento in termini economici e di tempo, ma che sta premiando».
Ma è sulla comunicazione che l’imprenditore, uno dei più attenti e convinti diffusori della cultura di comunicazione del panettone nel mondo, è sempre più concentrato: «Per reagire al lockdown abbiamo voluto ricominciare a studiare e pensare a come lanciare prodotti nuovi, per destagionalizzare la nostra offerta e puntare su una proposta valida tutto l’anno. Nuovi dolci, nuove ricette e nuovi biscotti sono protagonisti del nostro catalogo inverno, insieme a un bel lavoro sul sito e sul canale youtube che è una nostra vetrina da sempre multilingue».
Gli fa eco Vergani, un milione di panettoni prodotti nel 2019 e fatturato triplicato in sei anni, da 3 a 10 milioni di euro, l’azienda che in Italia è cresciuta di più, con un incremento di più del 20% anno su anno. Vendite per l’80% fatte in italia, il resto esportato in 40 paesi, la fetta più grande divisa tra Stati Uniti, Inghilterra e Australia. Due negozi monomarca a Milano (via Mercadante, zona Piazza Argentina; e uno in Corso di Porta Romana) dove si può comprare il panettone fresco tutto l’anno, e si può fare colazione con la fetta di panettone come si faceva in tutti i bar di Milano fino agli anni ’70; presenza in tutti gli Eataly – anche all’estero- e in Esselunga e altre insegne della GDO.
Anche Andrea Raineri, Responsabile Commerciale del marchio meneghino, sottolinea quanto la situazione sia complessa: «Per il mondo dolciario, soprattutto per i prodotti stagionali come il Panettone o la Colomba, è veramente complicata. A livello generale la campagna di Pasqua è stata disastrosa: quasi tutto il settore ha sofferto perdite tra il -30/-40% con la GDO che ha fatto resi altissimi, sia perché durante il lockdown i supermercati esponevano solo generi di prima necessità, sia perché ognuno di noi, vista la situazione preoccupante e tragica, non pensava certo a festeggiare… Le aziende dolciarie hanno regalato centinaia di migliaia di prodotti. Per quanto ci riguarda siamo fortunatamente riusciti a contenere il danno e, sebbene avessimo a budget una crescita del 30%, abbiamo chiuso sostanzialmente in pari. Non siamo stati contenti perché avevamo programmato di sviluppare parecchi clienti nuovi, ma tutto sommato, per come è andato il mercato, possiamo ritenerci soddisfatti. La campagna natalizia invece ci preoccupa un po’: ci sono alcuni mercati esteri, come gli Stati Uniti, che stanno ordinando molto meno dell’anno scorso: il panettone sta vivendo in questi ultimi anni un vero e proprio boom in America, non solo in USA, forse per merito di Expo o del “brand” Milano; ci sono poi altri canali, soprattutto quello della regalistica e dei cestisti, che prevede di assestarsi fra un -30 e un -40%… Per fortuna noi veniamo da anni di crescita e anche quest’anno abbiamo un discreto numero di clienti in più, per cui cercheremo di contenere il più possibile il calo. Il nostro obiettivo, molto ambizioso, sarebbe di chiudere l’anno con lo stesso fatturato 2019: è un auspicio… dipende molto da cosa succederà in autunno, se ci sarà una seconda ondata con un possibile nuovo lockdown, ma siamo fiduciosi».
Come fiduciosi sono da Pastiglie Leone, altra storica azienda andata nel 1857 da Luigi Leone, che la condusse fino al 1934 e poi cedette il brand alla famiglia Monero, da cui è stata acquisita nel giugno 2018 da Luca Barilla, come investimento personale dell’imprenditore e della sua famiglia. 10 milioni di fatturato, di cui il 13% fatto all’estero, 70 dipendenti e 400 referenze a catalogo nel mondo delle pastiglie, gelatine di pura frutta, gommose, prodotti senza zuccheri e cioccolato, nuovo asset su cui si sta puntando molto per il futuro, con il progetto che diventi la seconda leva aziendale dopo le celeberrime caramelline nelle preziose scatoline decorate.
Per Elisa Mereatur, Marketing e comunicazione dell’azienda, il 2020 è un anno difficile ma che ha dato la necessaria spinta all’e-commerce: «Lo shop online, su cui abbiamo lavorato molto in lockdown, ha fatto ottime performance ed è in forte crescita, con un +60% rispetto al 2019. Questo è il contraltare di uno stop totale sull’altro fronte, visto che il grosso dei rivenditori al dettaglio che noi forniamo, bar gelaterie e pasticcerie, erano chiusi. Anche se le previsioni di vendita sono state riviste e ribassate, abbiamo un nuovo prodotto da lanciare a settembre, una nuova linea di cioccolato chiamata Sfumature Leone, che segna il lancio di questo nuovo asset aziendale, con sei tavolette in formato quadrato con spessori differenti e tre varianti di gusto. L’obiettivo dell’azienda è tenere il trend di fatturato dell’anno scorso, per questo abbiamo rivisto i budget e gli obiettivi di crescita che avevamo stimato a fine 2019. Di sicuro i mesi di fermo sono stati l’occasione per far funzionare bene lo shop online: le persone sono ben disposte ad acquistare online prodotti che conoscono, che hanno una riconoscibilità forte del marchio, garanzia di prodotti di qualità. In più, per chi vuole scegliere qualcosa di particolare, lo shop online è l’unico modo per vedere tutti i nostri 400 prodotti insieme: cosa che nei negozi fisici non succede mai per mancanza di spazio. Di sicuro abbiamo distribuito rassicurazione e dolcezza in un periodo buio, e abbiamo dato l’occasione di fare regali piacevoli. In tanti compravano per spedire a amici e parenti, per dare un messaggio di dolcezza a distanza. Credo che questi clienti siano ormai fidelizzati anche su questo canale».