Prima d’imbarcarsi in un viaggio avventuroso su croccanti panature, voluttuose onde di burro e succose fette di carne, occorre fare una necessaria precisazione: di costolette – con la ‘s’ – si parlerà, e non di cotolette. Nulla togliere alle seconde, sia chiaro, ma meglio attenersi alla delibera della Giunta del Comune di Milano datata 17 marzo 2008, che ha assegnato la DE.CO., «Denominazione Comunale», alla vera e inimitabile costoletta alla milanese. Costoletta che, per poter essere definita tale, deve soddisfare tre imprescindibili requisiti: è di lombo di vitello – ricavato dalla zona in prossimità della costola – dunque col manico (l’osso spunta oltre la carne: la «costuleta col manueber»); è alta (quindi non va confusa con la versione larga, sottile e battuta, ossia l’orecchia di elefante); passata nell’uovo sbattuto e impanata, è cotta nel burro chiarificato (nessuno sostiene sia un piatto leggero: va affrontato con coraggio e non bisogna cedere a chi paventa fritture nell’olio). Ciò premesso, va aggiunto che le sue origini sono ancora parecchio controverse: pare infatti che la parentela con la cugina austriaca weiner schnitzel sia meno solida di quanto si possa pensare, tanto che diverse fonti sostengono tutto parta dalla Francia e da Maria Luigia di Parma, che – prima di divenire duchessa regnante di Parma, Piacenza e Guastalla – era stata moglie di Napoleone e imperatrice di Francia.
La storia è lunga, complicata e merita un capitolo a parte: per ora, bando alle ciance, limitiamoci a mangiare la vera costoletta alla milanese là dove non viene imbastardita da fantasiose interpretazioni e variazioni, ma è eseguita alla lettera e in maniera magistrale. Parola di assaggiatrice seriale.
Quella d’autore: Ratanà
Per Cesare Battisti, chef e fondatore del Ratanà, ristorante ospitato all’interno della Fondazione Riccardo Catella, in zona Porta Nuova, la costoletta è un’opera d’arte. Che, va da sé, richiede un dream team di ingredienti per essere preparata: il pane del purista Eugenio Pol – direttamente da Fobello, in Valsesia – per la panatura; il burro di malga chiarificato, naturalmente acido; solo carne di vitello piemontese sanato, lasciato cioè insieme alla madre fino al quattordicesimo mese così da poterne assumere il latte, che «è da considerarsi come un taglio pregiato di Fassona, una carne molto saporita e con un suo carattere distintivo». Si tratta di una signora costoletta (tra i 380 e i 450 grammi), con un cuore rosato, succosissima, che emana un inconfondibile aroma di burro profumato alla salvia: viene servita con patate saltate, va prenotata con un paio di giorni d’anticipo, è libidine allo stato puro.
Prezzo: 30 euro.
Quella iconica: Trattoria del Nuovo Macello
I bene informati sostengono che la foto della costoletta della Trattoria del Nuovo Macello, vicino alla stazione di Porta Vittoria, sia quella più utilizzata quando si deve scrivere un articolo riguardo Sua Maestà la Milanese. E non è un caso, aggiungo io. Realizzata seguendo la Gastronomia Moderna, compendio del 1855 dell’esperienza gastronomica di Giuseppe Sorbiatti, quella della famiglia Traversone – che gestisce il ristorante dal 1959 – è rigorosamente di vitello, alta, rosa all’interno, servita divisa in due parti (con e senza osso), guarnita da fiocchi di sale. E dato che le cose o si fanno per bene o niente, sul menu è specificato «piatto non sempre disponibile per problemi di reperibilità del prodotto di qualità e frollatura adeguata». Ergo, meglio informarsi al momento della prenotazione. Nota a lato: non averla mai provata equivale a commettere reato di blasfemia.
Prezzo: 29 euro.
Quella premiata: Osteria Brunello
Sono sincera, non amo andare a cena in zona Brera/Garibaldi: troppo modaiola per i miei gusti, e per modaiola intendo che il rischio di tanto fumo e poco arrosto è dietro l’angolo. È quindi con sorpresa e gioia che sottoscrivo quanto segue: la costoletta dell’Osteria Brunello, servita con patate o maionese alla rucola, pomodorini e misticanza – vincitrice del titolo «Migliore cotoletta» nell’edizione 2015 della guida del Gambero Rosso – è deliziosa (e vale il potenziale pericolo di ritrovarsi gomito a gomito con turisti e modaioli convinti mentre la mangiate). Oltre duecento etichette presenti in carta, con una particolare attenzione al Brunello e al Rosso di Montalcino; un menu italiano che sa essere contemporaneo; apertura sette giorni su sette e parecchia sostanza. Insomma, bravi.
Prezzo: 24 euro.
Quella storica: Trattoria Masuelli San Marco
Sia messo agli atti: la costoletta della Trattoria Masuelli San Marco, in viale Umbria, non è alta quanto le precedenti, ma santi numi quanto è croccante, leggera, squisita. Mi auto-permetto una minuscola eccezione anche perché qui siamo all’interno di una Bottega Storica, dove dal 1921 la famiglia Masuelli (oggi arrivata alla terza generazione) propone una solida cucina milanese-piemontese, in un ambiente dominato dagli splendidi lampadari Venini anni ‘30 firmati Gio Ponti, dalle sedie Thonet originali degli anni ’20 e dai muri con boiserie. Morale, la Milanese rigorosamente con l’osso cotta nel burro chiarificato e servita con patate ratte è scioglievole come poche, e la si gusta in un posto che trasuda storia e tradizione da ogni centimetro quadrato d’intonaco. Quasi cento anni, portati benissimo.
Prezzo: 30 euro.
Quella possibilista: Osteria dei Malnat
«Possibilista» semplicemente perché questa tipica osteria milanese in zona De Angeli – arredata con cura, intima, con uno stile vagamente vintage e provvista d’un grazioso soppalco – in menu le contempla entrambe, sia la vera costoletta che la nemica orecchia d’elefante. La prima è alta, di vitello, col manico, cotta al rosa (leggi: tenerissima e ‘carnosa’) e servita con patate al forno; la seconda è bassa, ampia, croccante, di lonza di maiale battuta e servita con rucola e pomodorini. È raro trovare un locale che le proponga entrambe, quindi tanto vale levarsi lo sfizio e dividersele simultaneamente col proprio commensale. Io lo so già chi vincerà, ma capisco pure che al mondo ci sono ancora tanti San Tommaso. Preparatevi alla sfida, ma poi non dite che non ve l’avevo detto.
Prezzo: 23 euro.
Quella fuori porta: Antica Osteria Magenes
Siamo a Barate di Gaggiano, a pochi chilometri da Milano, tra un vero e proprio mare di risaie che si raggiunge seguendo il corso del Naviglio Grande e che legano il capoluogo lombardo al pavese. Antica, perché la tradizione familiare dura da più di cento anni e oggi è portata avanti dallo chef Dario Guidi e dal fratello Diego in sala, insieme alla mamma Mariella Magenes. Antica sì, ma non scontata o noiosa: i piatti – sebbene si avvalgano di prodotti locali – sono moderni, spesso creativi, a volte contengono twist inaspettati: la costoletta (di vitello, alta, cotta nel burro chiarificato, servita in piedi e non sdraiata), prevede una panatura col panko, un particolare tipo di pangrattato preparato utilizzando pane bianco, tipico della cucina giapponese. Che la rende strepitosa, senza sconvolgerla.
Prezzo: 30 euro