Le verità nascosteAnche i francesi bevono Prosecco (però non lo dicono)

Aumenta a doppia cifra la vendita di bottiglie di bollicine venete Oltralpe, complici i nuovi bevitori francesi giovani, disposti a sperimentare, e una legge nazionale che ha contingentato gli sconti sullo champagne

Partiamo dall’inizio, dove per inizio intendiamo settembre 2019. Le stime Coldiretti sui dati Istat parlavano già abbastanza chiaro: l’avvio della vendemmia si accompagnava all’aumento del 50% delle vendite in Francia, che spingeva l’export del Prosecco al record storico sui mercati mondiali, per un valore complessivo di 458 milioni di euro solo nel primo semestre dell’anno scorso. A ciò s’aggiunge lo studio condotto nel periodo febbraio/novembre 2019 da Wine Monitor, l’osservatorio sul mercato del vino di Nomisma, che ha rilevato dati – oltre che interessanti – del tutto inaspettati. In Francia nel 2018 il volume dei vini d’importazione si è attestato a 942 milioni di euro, un aumento esponenziale il cui 10% è coperto proprio dall’acquisto di spumanti, categoria che mostra i maggiori tassi di crescita, con importazioni più che raddoppiate nell’ultimo quinquennio. Va sottolineato che il trend vede l’Italia protagonista: sempre secondo WM, la crescita è proseguita anche nel 2019 con un incremento delle importazioni di spumanti trainato in primis dal nostro Paese, grazie al +25% ottenuto dal successo del Prosecco. Infine i dati diffusi a fine febbraio 2020 da the drinks business, che avvalorano quanto sopra: la Francia è il mercato che sta sperimentando la più forte crescita per il Prosecco, le spedizioni di vino oltralpe sfiorano il +35%, i nostri cugini quatti quatti importano qualcosa come 18,9 milioni di bottiglie all’anno.

Certo, vuoi la proverbiale snobberia che mezzo mondo gli contesta (ma sotto sotto gli invidia), vuoi il consueto nazionalismo enogastronomico, i francesi mica lo sbandierano ai quattro venti che amano il Prosecco. In Italia, invece, non si parla d’altro: «Il nostro primo mercato estero quest’anno è la Russia, ma la Francia sta comunque crescendo parecchio: nei primi cinque mesi dell’anno, nonostante tutti i mercati principali siano stabili o in contrazione, la Francia ha registrato un +31%. Il Regno Unito, da che era primo, è diminuito del 2%; gli Stati Uniti continuano ad andare bene soprattutto nella GDO e si assestano su un +4%; la Germania come sempre rimane stabile». Alberto Serena è il CEO del gruppo Montelvini, una delle realtà vitivinicole italiane più dinamiche e vivaci, con sede in provincia di Treviso, a Venegazzù, nel cuore della DOCG Asolo Montello. 138 anni di storia e cinque generazioni che si sono succedute nella produzione di vini fortemente ancorati al luogo di nascita delle bollicine che stanno spopolando persino al di là delle Alpi: un fatturato 2019 pari a 26,5 milioni di euro di cui 7,4 milioni dati dall’export in 50 Paesi tra Europa, Nord e Sud America, Asia, una produzione che ammonta a 6,6 milioni di bottiglie.

Il motivo del boom francese, per Serena, è duplice: da un lato pesa il fattore anagrafico, nel senso che «i consumatori più giovani sono meno tradizionalisti e più disposti a sperimentare: amano sicuramente le bollicine, i cocktail fatti con le bollicine e la beva del Prosecco – più fresca, aromatica e con un residuo zuccherino più alto – è diversa dallo Champagne e li invoglia di più. Anche il prezzo gioca un ruolo cruciale: siamo sui 7/8 euro a bottiglia, un importo mediamente più alto rispetto all’Italia, ma sicuramente inferiore rispetto a uno Champagne. Diciamo che si posiziona sulla stessa fascia di alcuni Crémant o del Cava». Ma al contrario del Crémant, che ha un vissuto un po’ cheap e polveroso, e dello Champagne, sinonimo di status symbol di lusso nonché di vino costoso, le bollicine nostrane sono cool e di moda, spesso associate a situazioni conviviali e festose in perfetta linea con il classico Italian style.

Dall’altro, poi, i baristi lo utilizzano nei cocktail, e il Prosecco, sia liscio che miscelato, è diventato una costante durante gli aperitivi: «la valorizzazione dello Spritz – con l’Aperol e ultimamente col Campari – ha giocato un ruolo importante nella sua (ri)scoperta. Me lo confermava il nostro export manager, che è per metà francese: si è recato in Francia prima del lockdown, e ha constatato che ormai in qualsiasi locale lo Spritz è bevuto abitualmente. Il cocktail è presente in ogni menu, mentre il Prosecco compare nelle carte vini dei ristoranti: si tratta di cose che fino a cinque anni fa sarebbero state impensabili».

E anche il trionfo dello Spritz oltre i confini italiani è da collocarsi, spiega Serena, all’interno di una macro-tendenza: «Ciò che interessa ai francesi – e a qualsiasi mercato estero – è la scritta ‘Prosecco’. Dubito conoscano le differenze tra le varie denominazioni DOC, DOGC, Valdobbiadene, Asolo etc.: sarebbe bello se fosse così, ma siamo in una fase ancora prematura. Sono decisamente più sensibili alla tipologia – Brut, Extra Brut, Extra Dry –, prediligendo il Brut. Nonostante l’Extra Dry resti preponderante come numero di vendite all’estero, a parte l’esempio francese notiamo che in generale le persone si stanno spostando verso un consumo più secco, pure per quanto riguarda i drink».

C’è infine un terzo elemento che potrebbe aver facilitato l’innamoramento dei francesi nei confronti del Prosecco, un terzo elemento di tipo legislativo. Nel gennaio dello scorso anno in Francia sono infatti state introdotte una serie di regole per limitare la natura delle promozioni su alcuni prodotti di produzione nazionale, dal foie gras allo Champagne. Le norme fanno parte di un più ampio atto governativo, denominato loi EGalim, che propone misure per migliorare la bilancia commerciale, la qualità dell’alimentazione e per semplificare il settore agricolo. La recente legislazione – ponendo dei limiti alla quantità di Champagne che può essere venduta in promozione e all’entità dello sconto sul prezzo – ha di fatto disincentivato i consumatori ad acquistarne le stesse quantità del passato e, con l’aumento della presenza del Prosecco sugli scaffali, è stato semplice passare dallo Champagne economico da supermercato alle bollicine italiane. «I francesi sono bravissimi in questo senso, perché tengono sempre alto il valore dei loro prodotti, magari rinunciando a possibili vendite. È altrettanto vero che se il Prosecco non incontrasse il gusto dei consumatori, pure a fronte di tutte le promozioni del caso, saremmo davanti a una moda passeggera e non a un trend costante: si apprezza bevuta più easy, più fresca, in un certo senso più ‘nuova’».

La proverbiale fedeltà ai prodotti nazionali in Francia sta insomma vacillando (non a caso s’è parimenti visto entrare nel mercato parecchio vino spagnolo a basso costo), ma la presa della Bastiglia è appena cominciata. «È interessante notare che le zone dove il Prosecco viene maggiormente consumato sono quelle più vicine all’Italia: la Costa Azzurra, la Provenza, la Savoia e (va da sé) Parigi», conclude Serena. «Ci sono ancora tante aree che non sono coperte da tale distribuzione, ma i numeri in crescita costante in doppia cifra degli ultimi anni ci dimostrano che c’è parecchio spazio da conquistare».

E il Prosecco, ce ne siamo accorti, pare non temere proprio nessuno.

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