«Chi si schiera per il No ha molti argomenti per motivare la sua posizione, ad esempio perché non vuole accettare un taglio alla democrazia». Lo dice a Linkiesta Mara Lapia, deputata sarda del Movimento cinque stelle, che si è dichiarata apertamente dalla parte del No al referendum del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari.
Deputata Lapia, lei è per il No al referendum, perché?
Il mio no, in controtendenza rispetto al mio movimento che peraltro ha sempre parlato di taglio ai costi della politica, non certo di taglio dei parlamentari, e non ha mai portato la questione al voto dei militanti, si basa essenzialmente su motivazioni di carattere giuridico. Da giurista, e da convinta assertrice della stringente attualità della nostra Costituzione, non posso concepire che venga meno la rappresentanza popolare in seno ai due rami del Parlamento italiano. Se dovesse vincere il Sì, i deputati diminuirebbero da 630 a 400, i senatori da 315 a 200, esclusi i senatori a vita. Il Parlamento passerebbe così da 945 a 600 membri, più i senatori a vita. Il taglio, che viene indicato come soluzione ai problemi di un apparato considerato costoso, non riuscirebbe a compensare in alcun modo il vulnus alla rappresentanza che per la nostra regione la Sardegna, ma non solo, sarebbe importante se non devastante. Si rischia l’accorpamento tra regioni e io non posso accettare che la Sardegna, che già è accorpata alla Sicilia alle europee, abbia meno rappresentanti del Trentino.
Come avrebbe modificato la riforma per renderla accettabile?
Non certo tagliando il numero dei parlamentari: ogni riforma deve passare per una riflessione attenta che non pregiudichi il diritto del popolo ad essere rappresentato. Ebbene, questa riflessione non solo non è stata fatta ma non si è neanche pensato di metter mano ad una nuova legge elettorale che, seppure seguendo due canali diversi – da un parte l’iter previsto per l’approvazione delle leggi costituzionali, dall’altra si tratta di una legge ordinaria – avrebbe potuto ridurre i danni. Se si altera in modo non equilibrato l’assetto parlamentare un’eventuale nuova riforma elettorale potrebbe di fatto scardinare la democrazia. Se si vogliono tagliare i costi della politica allora si pensi a tagliare l’appannaggio di deputati e senatori ma anche ai ministri, molti dei quali sommano all’indennità ministeriale quella parlamentare, e ai loro esosi collaboratori. I risparmi ci sarebbero comunque ma non a scapito della rappresentanza.
I parlamentari contrari alla riforma sono attaccati alle poltrone?
Quelli che dicono No oggi sono quelli che motivano in maniera argomentata la loro posizione perché hanno studiato a fondo la Costituzione e non accettano un taglio alla democrazia e non certo perché sono attaccati alla poltrona. Io personalmente ho una professione che amo, faccio l’avvocato, e ne vado fiera. Non so, invece, se coloro i quali giustificano il loro Sì inveendo in maniera inconsulta contro ipotetici poltronari, uscendo da Montecitorio o Palazzo Madama abbiano un lavoro ad aspettarli.
Chi sostiene il taglio dei parlamentari usa soprattutto due argomenti: risparmio economico ed efficienza del Parlamento. È d’accordo su questo?
La riforma è diventata emblema nell’immaginario collettivo della guerra alla casta: il presupposto politico sui quali si fonda, tuttavia, si basa essenzialmente sul taglio della rappresentanza e della democrazia che è cosa diversa rispetto al taglio dei costi della politica. Credo che la motivazione portata dal mio Movimento non sia realmente fondata. Innanzitutto perché il risparmio effettivo sarebbe esiguo. Considerato il nuovo assetto, tra Camera e Senato i risparmi sarebbero, secondo l’Osservatorio dei conti pubblici di Cottarelli, sugli 80 milioni di euro all’anno. Ben poca cosa rispetto alla diminuzione dei rappresentanti del popolo che verrebbero a mancare ai territori, compresa la mia isola, la Sardegna, che da 25 parlamentari passerebbe a 16. Questo solo perché si deve risparmiare lo 0,005 per cento del Pil nazionale e a fronte di una paventato miglioramento dell’attività legislativa, che non è detto ci sia, o di un ipotetico miglior controllo sull’esecutivo. Non credo che la qualità dell’attività parlamentare sia in nessun modo legata al numero, al ribasso, dei rappresentanti del popolo. C’è poi da dire che sono i parlamentari a portare nelle commissioni, dove si svolgono il lavoro necessario all’iter legislativo, le istanze dei territori. Per ciò che riguarda la specificità sarda ci sarebbe un dimezzamento dei nostri rappresentanti. E si perderebbe forza proprio nella difesa in aula e in commissione di queste istanze.
Solo nelle ultime settimane alcuni esponenti del Movimento 5 stelle stanno dichiarando pubblicamente di essere per il No (a inizio agosto Linkiesta aveva sentito Andrea Colletti). Pensa che sia per colpa della scarsa rilevanza di questo referendum – che quindi attira l’attenzione solo in prossimità del voto – o ci si sta rendendo conto che sostenere questo taglio dei parlamentari è inutile?
Io posso affermare con forza di non essere quella della ultima ora. Ho ribadito la mia posizione, subito dopo l’approvazione della legge, in un’intervista a Radio radicale sostenendo le mie ragioni e non nelle ultime settimane. Qualcuno si sta facendo forza adesso mentre qualcuno teme le ripercussioni. Se il Movimento ritiene di procedere con le espulsioni lo faccia ma io andrò avanti. Già è stata una forzatura, la legge sulla prescrizione, in attesa della riforma del processo penale che non è mai stata fatta: io che ho studiato il diritto costituzionale ho paura degli effetti della Riforma e dirò No convintamente. Credo che questo timore stia iniziando a serpeggiare tra tanti miei colleghi, anche tra quelli che non si espongono per timore di sanzioni. Inoltre credo che l’attenzione degli italiani, che hanno mostrato di essere affezionati alla loro Costituzione, si stia risvegliando e che il tema del taglio dei parlamentari sia particolarmente sentito. Anche loro, i cittadini italiani, a differenza di chi sta portando avanti il Sì con una campagna demagogica, stanno capendo quanto la sconfitta del No possa essere deleteria per la nostra democrazia.
Cosa le hanno detto dal partito, riguardo la sua posizione sul referendum?
Nulla.
Il Partito democratico sembra ancor più spaccato sul voto. È possibile che questo referendum – magari unito al voto per le regionali – abbia conseguenze sul futuro dell’alleanza di governo?
Credo che i partiti su questo argomento siano spaccati. Il Partito democratico è stato costretto ad avallare questa consultazione ma sinceramente non so quale evoluzione potrebbe esserci nel caso di una sconfitta del Sì. Ciò che posso invece ribadire con forza è che il timore di molti miei colleghi, anche di quelli che sostengono il governo, riguarda non tanto la tenuta del governo quanto il futuro della nostra democrazia.