Un libro
L’amaro e l’acido vengono considerati il banco di prova del vero gourmet, segno di un gusto maturo. Come dire: ai bambini piace il dolce e il salato, poi si cresce. Invece a sei mesi di vita mia figlia impazziva per gli spicchi di limone, che succhiava con voluttà arricciando il nasino, e lì ho intuito che la cosa è un po’ più complicata: nasciamo capaci di godere del sapore acido, ma spesso finiamo per preferirgli gusti più banali. Acido di Mark Diacono, appena uscito per EDT, è un libro bellissimo: parte dichiarazione d’amore per l’acidità e il suo potenziale di ravvivare qualunque alimento, parte manuale di fermentazioni, parte ricettario.
Nota personale: sento che questa è la buona volta che faccio il kombucha, ho comprato le bottiglie apposta due anni fa.
Uno snack
Natale/1: ci siamo quasi, lo so perché c’è la Nutella con il maglioncino tricot:
Un produttore
Natale/2 . La scorsa settimana mi è arrivato il primo panettone, molto classico (niente tamarindo & fava di tonka, niente cioccolato bianco & sugo d’arrosto) e molto buono, della pasticceria veneta Filippi. È un’avvisaglia: tra novembre e dicembre ogni food writer, per quanto minore, viene colpito da una gragnuola di panettoni. Succede da quando tutti si sono messi a fare classifiche, degustazioni, orizzontali: le pasticcerie si adeguano e ne spediscono a centinaia. Non che mi lagni di questa abbondanza: se proprio sono satolla, qualche giorno prima di Natale ne dono uno a ciascuna delle famiglie della palazzina dove abito, con un biglietto che dice: “Tanti auguri. Scusateci se abbiamo un cane, una bambina piccola e un Airbnb dentro casa”.
Una serie tv
Grazie a un articolo di Helen Rosner sul New Yorker ho scoperto una serie BBC risalente alla metà degli anni ‘80 che si dedica ad allestire un orto nello stile – e con gli strumenti – dei giardini dell’epoca vittoriana. Si chiama “The Victorian kitchen garden” e si trova su Dailymotion. È più rilassante dei video ASMR, e si impara anche molto: come ad esempio che i nobili inglesi avevano un sistema di tubature da cui far passare acqua calda per riuscire a coltivare gli agrumi (sic!).
Un corso di cucina online
Qualche mese fa ho sottoscritto l’abbonamento a Masterclass: c’è da imparare a recitare con Natalie Portman o a scrivere sceneggiature con Aaron Sorkin ma io faccio binge dei corsi di cucina, ci sono fuoriclasse del calibro di Gordon Ramsay, Thomas Keller e Alice Waters. Da qualche giorno c’è un nuovo corso con Yotam Ottolenghi (non ho resistito a menzionarlo).
Una ricetta casalinga
A questo punto dell’anno noi che rispettiamo scrupolosamente la stagionalità siamo un po’ in trincea con le verdure: a parte zucca e funghi, il resto è un po’ punitivo, come tutte quelle foglie verdi amare parenti della cicoria. Ogni volta che nella mia cassetta settimanale trovo i finocchi li mangio crudi, o faccio una zuppa: ma ieri cercavo un’alternativa che mi mettesse più voglia di vivere e su Bon Appetit ho trovato questa: rigatoni con finocchi, acciughe e menta. Lì per lì non ero granché convinta, poi ho letto decine di commenti entusiastici, che cominciavano tutti così: “lì per lì non ero molto convinto, però…”. Bene, questa diventerà certamente una ricetta ad alta rotazione: i finocchi sono cotti nell’olio fino a caramellare, e una volta portati alle loro estreme conseguenze si trasformano completamente, diventano dolcezza e quello spunto di anice che tanto mi fa amare il pastis. Le acciughe danno sale e profondità, la menta un controcanto aromatico. Super.
Un oggetto
Natale /3. È arrivata la newsletter con i prodotti Ikea dedicati al Natale. C’è scritto così: “Via libera a preparare biscotti fatti a mano con la pasta allo zenzero VINTERSAGA, il tagliabiscotti DRÖMMAR e il setaccio per farina IDEALISK”.
VINTERSAGA! Ikea arriva sempre là dove nessun copy aveva mai avuto il coraggio di spingersi. Un po’ off topic rispetto agli accessori di cucina, segnalo due alberi di Natale non convenzionali per chi, come me, ha ancora i sintomi da PTSD dopo aver fatto l’albero l’anno scorso, quando il cane mangiò metà degli addobbi (qualcosa deve aver ingerito anche a mia figlia) e l’albero era talmente stressato che già al 20 dicembre aveva gettato la spugna e lastricato il salotto con un tappeto di aghi di pino.
Comprerò questo albero in bambù che mi ricorda gli allestimenti festivi di Melania Trump? C’è da dire che io e lei condividiamo un affine spirito natalizio.
Un negozio
Il mio angolo di pace interiore è arrangiare e riarrangiare la mia collezione di spezie (ho persino comprato un’etichettatrice a questo solo scopo). Il tempio, dove mi reco con fervore religioso, è un negozio di via Canonica a Milano, Kathay: una sorta di figlio illegittimo nato dall’amore tra un negozio di specialità asiatiche e un Naturasì psichedelico. Oltre alle spezie, ci compro il burro di arachidi vero (cioè 100% arachidi, se lo davate per scontato non girate il barattolo del vostro Calvè); burro da latte biodinamico delle alpi bavaresi; melassa che uso per fare i cookie all’americana, con quella texture piacevolmente gommosa; olio di cocco (un po’ lo uso in cucina, un po’ me lo spalmo addosso); lemongrass fresco, sakè, kombucha. Da poco hanno anche l’ecommerce.
Un ristorante
In queste sere, mentre a cena mastico cicorie (vedi sopra) penso: ma perché non sono invece da Kanpai, via Melzo a Milano (non lo sapete che tutti i ristoranti di Milano sono in via Melzo?) a mangiare il collo di salmone marinato nel miso che ho ordinato l’altra volta? Il menu – cucina tradizionale giapponese, soprattutto casalinga – mi piace tutto, ma gli special sono spesso imperdibili: come l’okonomiyaki – sorta di frittatona alla verza che in Giappone è una specie di ricetta svuotafrigo -, oppure i nigiri di ventresca di tonno.
Una nuova apertura
Mi tengo questo spazio per segnalare le nuove aperture dove non sono ancora andata, ma che ho messo in lista (sempre “a dio piacendo” come si diceva in tempi in cui non ci sentivamo così padroni del nostro destino). A Novello ha appena aperto Ant, mini-ristorante con percorso degustazione (niente carta) di 7 portate per un totale di 55 euro a persona. I due proprietari – l’uno piemontese, l’altro americano – hanno girato il mondo per le vie della ristorazione e ora si sono stabiliti qui, nella magnifica Langa del Barolo; propongono una cucina un po’ piemontese e un po’… resto del mondo. Amici di cui mi fido molto ne dicono benissimo, certo la mia segnalazione è un po’ alla cieca – sui social ci sono solo immagini molto poetiche di cortecce e cachi e ossi e nemmeno un piatto.