Autunno caldoCarlo Bonomi: subito le riforme per evitare licenziamenti a raffica

L’economia assistita non può durare all’infinito, dice il presidente di Confindustria. Sul piano italiano per il Recovery Fund, «mi preoccupa il metodo». E sul Mes: «Lo dobbiamo portare a casa. Non è una questione politica. Sono 37 miliardi da investire»

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«Questo Paese è poco abituato ad avere persone che dicono quello che pensano. Io ho il diritto-dovere di criticare quello che ritengo non vada bene». A pochi giorni dall’assemblea di Roma, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, in un’intervista al Salone Nautico di Genova con il direttore della Stampa Massimo Giannini, tocca tutti i grandi temi economici del Paese, prospettando le difficoltà che nasceranno con la fine del blocco dei licenziamenti.

«Non c’è antagonismo tra me e il presidente del Consiglio», dice Bonomi, «sono stati enfatizzati i nostri rapporti dialettici, siamo disposti a collaborare se però c’è una visione di Paese. Se non c’è fiducia le misure di sostegno non si trasformano in economia reale. Infatti i consumi non sono aumentati mentre sono cresciuti i depositi bancari».

Cosa succede il 1 gennaio con la fine del blocco dei licenziamenti? «Non posso immaginare che il 1 gennaio si possa partire con una raffica di licenziamenti», risponde Bonomi. «Non è possibile, non reggiamo» e «nessuno vuole licenziare. È inevitabile, però, che ci sarà una riorganizzazione. Ma serve una riforma degli ammortizzatori sociali seria. Il tema non è più salvaguardare il posto di lavoro, ma è mettere al centro la persona, la sua occupabilità. Dobbiamo garantire alla persona di essere sempre occupata in un mondo che si trasforma. Proprio per prevenire – va benissimo l’intervento in fase emergenziale – ci poniamo il problema di cosa ci sarà dopo. Non possiamo lasciare mezzo milione di persone senza reddito in un momento come questo».

Ma l’economia «assistita» non può durare all’infinito, dice il presidente di Confindustria. «Era corretto affrontare la parte emergenziale, però bisognava già aver programmato l’uscita. Quella è venuto a mancare». Che fare quindi? «I dati dicono che se andiamo avanti su questo trend non riprenderemo il pre-Covid prima di 2-3 anni. E in pre-Covid noi eravamo 3 punti di Pil sotto l’ultima crisi del 2008, non in una situazione florida. Possiamo invertire la tendenza solo facendo investimenti. E allora per prima cosa il Mes lo dobbiamo portare a casa. Non è una questione politica. Sono 37 miliardi da investire: portiamo a casa tutte le risorse che la Ue ci mette a disposizione. E dobbiamo stimolare gli investimenti, sia pubblici che privati».

Sul piano di rilancio italiano per il Recovery Fund, invece, «mi preoccupa il metodo» di lavoro – dice. «Noi facciamo una bella collezione di progetti e li mandiamo in Europa. Bruxelles, invece, ci ha dato quattro grandi aree su cui lavorare». Quanto alla rimodulazione dell’Irpef, «non credo sia quella la strada per creare più potere d’acquisto». Meglio, dice, dare «il lordo in tasca ai lavoratori, dispensando le aziende dal sostituto d’imposta».

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