Madrid assomiglia a Roma a livello di geografia economico-sociale. Le aree più ricche, i quartieri alti, effettivamente anche con altitudine maggiore, sono a Nord e Nord-Ovest, quelli più poveri a Sud e Sud-Est. I “Parioli” della capitale madrilena potrebbero essere collocati nel distretto settentrionale di Chamartin, nel barrio di El Viso, o in quello del Pardo dove vi è il Palazzo Reale o quelli ancora più esclusivi a occidente nel comune limitrofo di Pozuelo de Alarcon e Boadilla del Campo, tra i più ricchi di Spagna a livello di reddito medio.
Al contrario Tor Vergata o Centocelle potrebbero essere il distretto di Usera, a Sudest, o il vicino barrio di Entrevias. Ebbene, è in queste ultime aree che il Covid ha colpito di più nell’ultimo mese nella capitale spagnola. Nella fase più acuta, a fine settembre è stato deciso un parziale lockdown di singoli quartieri e comuni della cintura, e il dato saliente è che queste aree, ovvero le più colpite dal contagio, corrispondevano a quelle che storicamente sono sempre state quelle con i redditi più bassi, e che lo sono anche oggi.
A Usera vi erano 1156 casi per 100 mila abitanti in due settimane, contro i 413 di Pozuelo de Alarcon, mentre a Entrevias erano 1134, e al Pardo solo 173,81. Lo stesso si è visto già nella fase più acuta a New York, dove i quartieri più colpiti sono stati quelli del Bronx o dei Queens, intanto che Lower Manhattan e la zona più ricca di Brooklyn, quella occidentale, sono state maggiormente risparmiate. La cartina, con le aree con più contagi in rosso man mano più acceso, è eloquente.
La correlazione tra Covid e bassi redditi è chiara.
Anche a Parigi il fenomeno è stato evidente, già in marzo, con i quartieri a Est, o gli immediati sobborghi come Saint Denis sono stati più interessati del privilegiato Ovest parigino.
Di queste correlazioni fra l’incremento dei contagi e le aree metropolitane più povere si parla e si è parlato molto negli Stati Uniti, in Francia e in Spagna, perché rispetto al nostro Paese ci si è preoccupato di analizzare di più a livello statistico il contagio, monitorando il singolo quartiere e differenziando le misure zona per zona. Inoltre da noi il contagio è apparso “democratico”. In primavera infatti ha colpito le piccole città, da Codogno ad Alzano, nelle aree tra l’altro più produttive del nord del Paese, risparmiando apparentemente le metropoli.
In agosto anzi era parso che il Covid fosse quasi cosa da Vip e aspiranti Vip, da vacanzieri in Costa Smeralda e delle isole Greche. Da qui l’ironia di alcune vignette o le cronache sul quartiere Parioli attraversato dalla paura del Covid, quasi assurto a simbolo di uno status sociale.
Sta cambiando tutto anche qui però. Se ne sono accorti a Napoli, dove finalmente è iniziata un’analisi per ogni singola area. Al contrario che in agosto, quando erano i quartieri alti come il Vomero ad essere i più colpiti dal Covid, in ottobre, quelli in cui sono contemporaneamente maggiori della media il contagio e l’incremento dei casi sono quelli compresi nella Municipalità 3, in cui vi è il Rione Sanità e in quella 7, quella di Miano e Secondigliano.
In generale è la parte centro-orientale, la più degradata, la più colpita dalla pandemia.
Le ragioni le conosciamo, la maggiore densità abitativa, sia a livello di abitanti per kmq che di persone in un nucleo familiare, fatto evidente anche a Madrid o New York, ma non solo, l’impossibilità di rinunciare al lavoro, più precario, più “materiale”, non svolgibile in smart working è molto più comune tra chi ha un reddito più basso. È più facile che sia chi potrà fare qualche giorno lavorando da casa per la multinazionale in cui è impiegato e a chiedere un tampone in caso di sintomi o di un contatto con un positivo, piuttosto che qualcuno che fa il commesso o il cameriere pagato in nero o a giornata. Senza contare che in questi ultimi casi vi è un maggior contatto con il pubblico e un maggior pericolo.
Ma nelle ultime settimane vi è un ulteriore fattore legato all’aumento quasi esponenziale dei casi che aumenta la disuguaglianza: i medici hanno cominciato a dire a chi denuncia un contatto sospetto di stare a casa 10 giorni facendo un tampone solo alla fine del periodo. Tralasciando il fatto che ciò impedisce di verificare se la persona e i suoi diretti contatti siano positivi, quello che accade è che chi può svolge un test privatamente, il che vuole dire spendere non meno di 90 euro, spesa che viene sostenuta o dalle aziende o dai cittadini con meno problemi economici, certo non da chi vive già in una situazione di disagio economico.
Ecco che diagnosticare il Covid e impedire di aggravare le condizioni di salute di coloro che sono stati a contatto con chi ha già contratto il virus diventa più facile per chi ha redditi maggiori. Oggi ricorrere a un laboratorio privato fornisce la garanzia di sicurezza per sé e i propri contatti. Facile immaginare che questo benefici mettano al riparo soprattutto alcuni quartieri e fasce sociali.
Oltre che a Napoli si comincia ad osservare tale fenomeno anche a Roma. La settimana scorsa, in testa come numero di contagi e crescita degli stessi vi era Centocelle. E a Milano? Come un po’ ovunque nel caso delle grandi città la metropoli lombarda è al centro dell’attenzione per l’incremento dei contagi, che invece per fortuna sta risparmiando Bergamo e provincia. L’esempio di altre città d’Occidente dovrebbe insegnarci che per evitare che proprio laddove vi sono maggiori disuguaglianze (le città appunto), il Covid esplode in maniera esponenziale e c’è bisogno di un tracciamento gratuito il più largo possibile e un’analisi dettagliata della diffusione del virus quartiere per quartiere, e interventi mirati.
Non c’è un trade off tra lotta al Covid ed economia. Prevenire il contagio è indispensabile nonostante le esigenze dell’economia – come ha spiegato la Cancelliera Angela Merkel – ma ciò serve proprio per sostenere tali esigenze. Una dimostrazione sta qui, nella stretta relazione tra condizioni economiche precarie e contagi. Con le prime, che favoriscono i secondi e i secondi che peggiorano le prime.