La seconda ondata del Covid ci aiuta ancor meglio della prima a capire in che razza di Paese viviamo. Un Paese dove i governatori delle Regioni “che fanno Pil” ritengono più importante tenere aperti i bar che le scuole e su questo imbastiscono la principale polemica del momento con il governo.
Non litigano sui fondi, non sul mancato uso del Meccanismo europeo di stabilità, non sulla saturazione dei laboratori diagnostici, non sulla necessità di assumere medici e biologi: litigano sulla surreale convinzione che si possa contenere l’escalation esponenziale del virus facendo scendere dall’autobus gli studenti dell’ultimo biennio delle superiori.
In tutto il Vecchio Continente si sperimentano in questi giorni forme di lockdown selettivo che vanno dalle limitazioni di orario ai locali pubblici (quasi ovunque) alla serrata totale dei luoghi che fanno aggregazione: bar, pub, palestre, sale scommesse, casinò.
Nessuno, neppure l’Inghilterra o la Francia che si prepara a un sostanziale coprifuoco, ha voluto toccare la scuola (tranne l’Irlanda che però ha chiuso tutto). Nessuno ha neanche immaginato di farlo. Che da noi sia successo, con una proposta formalizzata dalla Conferenza Stato-Regioni, rivela una distanza dagli standard europei che spaventa.
Questo Paese da tempo considera l’istruzione un accessorio, e soprattutto nelle sue aree più produttive ha sviluppato un filone di pensiero totalmente in controtendenza col resto dell’Occidente: è il diffuso scetticismo per l’ambizione di formarsi una carriera attraverso gli studi, l’idea che all’Italia servano più muratori e falegnami che laureati o liceali.
Questo pregiudizio nasce a destra ma da tempo ha contagiato anche il mondo progressista, come dimostrano le molte citazioni da entrambe le parti sulla cultura che non si mangia, sull’inutilità dei curriculum («Meglio giocare a calcetto»), sulla superiore furbizia di chi sceglie il professionale piuttosto che il Classico, sull’inutilità del sacrificio per raggiungere il 110 agli esami.
Mentre tutta Europa si affanna per alzare il livello di scolarizzazione, formare laureati, favorire le eccellenze, noi trattiamo il sistema di istruzione come un lusso o comunque come un’attività improduttiva.
Mentre l’Unione apre i forzieri per un colossale piano intitolato Next Generation Eu – fare debito, sì, ma solo per tutelare e salvare la prossima generazione – noi rovesciamo il paradigma in favore della Old Generation, mettendo in discussione il diritto alla scuola “in presenza” dei sedicenni, quasi che si trattasse di un accessorio e non di un caposaldo della Costituzione.
Per il momento la proposta dei governatori del Nord è stata respinta. Era stata avanzata, peraltro, senza uno straccio di fondamento statistico: gli studenti dell’ultimo biennio delle superiori sono circa 900mila, nessuno sa quanti di loro prendano i mezzi pubblici per andare a scuola né che incidenza abbiano i loro spostamenti sulla diffusione del virus.
Si va a occhio, a spanne, e anche questo davanti alle previsioni di un virologo qualificato come Andrea Crisanti – che giudica «nell’ordine delle cose» un lockdown totale a Natale – dà la misura di una distanza. La distanza di una parte non irrilevante della politica dalla scienza, dal buonsenso ma soprattutto da una corretta percezione dei doveri delle istituzioni.