Quesiti linguistici“Perpetrare” e non “perpetuare”? Risponde la Crusca

Le sostituzioni tra i due verbi simili sono molto frequenti. Ma hanno significati diversi. E lo scambio accade anche per altre parole

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Tratto dall’Accademia della Crusca

Ci sono giunte diverse domande sul verbo perpetrare. Un primo gruppo di lettori chiede un parere su usi di questo verbo in contesti dove sembrerebbero più opportuni verbi diversi, come perpetuare, o addirittura punire. Altri chiedono quale ne sia il senso in contesti dove risulta di non facile comprensione, e se esistano dei sinonimi con cui sostituirlo.

Risposta
Dal Belgio, un lettore segnala che in un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” del 16 febbraio 2014 ha trovato questa frase: “Una città abituata a perpetrare le sue gerarchie si riconosce nel giovanotto venuto dal contado”. Abbiamo controllato l’articolo, di Aldo Cazzullo, che riguarda la personalità e l’ascesa politica di Matteo Renzi. La città in questione è dunque Firenze, e il giovanotto venuto dal contado è il promettente Matteo, che proviene da Rignano sull’Arno. Il contesto permette di capire che il valore della frase è concessivo: benché abituata a non cambiare facilmente guida, Firenze questa volta sceglie come suo sindaco Renzi (preferendolo a personaggi più “storici”, come il dirigente PD e già parlamentare europeo Lapo Pistelli, o l’ex portiere della fiorentina Giovanni Galli). Insomma, nel testo vi è un errore: perpetrare sta semplicemente al posto di perpetuare, che significa ‘rendere perpetuo’, ‘far durare (a lungo, al limite in eterno)’.

Se si tratti di mero refuso o di vero scambio fra i due verbi, avvenuto in qualche fase della pubblicazione del testo, non è dato sapere con certezza; ma si possono fare delle ipotesi. Non per caso un’altra lettrice, da Torino, lamenta una certa frequenza di questa sostituzione, che esemplifica con l’espressione “perpetrare il ricordo di un evento”, e ce ne chiede la causa. Un altro esempio ci viene segnalato da Milano, chiedendo se sia corretta questa frase, che la lettrice ha trovato leggendo un articolo su “Vanity Fair”: “[…] aveva perpetrato il sogno di una famiglia”. Non conoscendone il contesto, si può essere in dubbio. Ma facciamo un passo indietro per inquadrare il problema.

Perpetrare significa ‘eseguire, commettere’, e al tempo stesso presuppone che si tratti di azione illecita, ingiusta, colpevole. Non è l’unico verbo italiano a funzionare in questa maniera, e del resto il fenomeno si riscontra anche in altre lingue, come ad esempio l’inglese, su cui lo ha studiato per primo il linguista statunitense Charles Fillmore (1971). Trasferendo l’analisi di Fillmore all’italiano, possiamo osservare che verbi di giudizio che sentiamo diversi come accusare e biasimare trasmettono però lo stesso insieme di informazioni. Consideriamo questi enunciati, in tempo di isolamento da coronavirus:

(1) Il carabiniere accusa Luigi di essere andato al parco.

(2) Il carabiniere biasima Luigi per essere andato al parco.

Entrambi gli enunciati si possono analizzare così:

Contenuto a. Il carabiniere dice qualcosa di Luigi

Contenuto b. Luigi è andato al parco

Contenuto c. Andare al parco è male

La differenza fra (1) e (2) sta nella diversa presentazione delle informazioni (b) e (c). In (1) è asserito che il carabiniere attribuisca a Luigi l’azione di andare al parco, ed è dato per scontato che si tratti di azione sbagliata. Tecnicamente, si dice che questo contenuto è presupposto. Proprio per via della parte presupposta, è più normale dire “lo accusano di avere ucciso il vicino di casa” rispetto a “lo accusano di avere donato un milione per la costruzione di un ospedale”: in ambo i casi si attribuisce a qualcuno una certa condotta, ma il verbo, presupponendo che si tratti di condotta riprovevole, è più adeguato all’attribuzione di omicidio che all’attribuzione di filantropia.

Possiamo dunque rappresentare (1) così:

(1) Il carabiniere accusa Luigi di essere andato al parco.

Asserito: Il carabiniere dice che Luigi è andato al parco

Presupposto: Andare al parco è male

All’inverso, biasimare asserisce che qualcosa sia male, presupponendo che sia stato fatto. Per questo è più normale dire “lo biasimano per avere guidato in modo imprudente” che “lo biasimano per essersi bevuto il lago di Iseo”: in ambo i casi si giudica negativa una certa condotta, ma il verbo, presupponendo che quella condotta sia stata eseguita, è più adeguato all’attribuzione di guida spericolata che all’attribuzione di prosciugamento a sorsi di un grosso lago. La rappresentazione di (2) sarà la seguente:

(2) Il carabiniere biasima Luigi per essere andato al parco.

Asserito: Il carabiniere dice che andare al parco è male

Presupposto: Luigi è andato al parco

Dunque la differenza fra (1) e (2) è che il carabiniere nel primo dà per scontato che andare al parco è male e asserisce che Luigi l’ha fatto, mentre nel secondo dà per scontato che Luigi sia andato al parco e asserisce che questo è male.

Altri verbi di giudizio italiani che hanno contenuti simili ma distribuiscono diversamente che cosa è asserito e che cosa è presupposto sono criticare, rimproverare, giustificare, scusare, chiedere scusa, perdonare, lodare. Presupposizioni analoghe sono contenute nel significato di sperare, augurarsi, minacciare, temere ecc. Ognuno dei lettori può cimentarsi in analisi simili a quelle di cui abbiamo dato un esempio.

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