Tra i progetti da finanziare con i fondi europei, a partire dai 209 miliardi del Next Generation Eu, dovrà esserci un investimento nella ricerca: un settore che in Italia c’è, è qualitativamente valido, ma si sta spegnendo per mancanza di soldi, quindi di ricercatori.
Questo è il punto di partenza della proposta avanzata dal fisico Ugo Amaldi, già ricercatore al Cern, nel saggio “Pandemia e Resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19”, documento a più firme pubblicato la scorsa primavera dalla Consulta scientifica del Cortile dei Gentili – fondata dal cardinale Gianfranco Ravasi e presieduta da Giuliano Amato.
A pagina 105 si può leggere il contributo di Amaldi: Un’analisi sullo stato dell’arte della ricerca in Italia; i nodi più importanti da sciogliere; come, quando e quanto investire.
Per creare un dibattito sulla proposta, già sottoposta al ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi, il fisico Federico Ronchetti dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) ha promosso su Twitter una campagna social. «L’hashtag con la formula #PianoAmaldi è stato inventato quando si parlava del Piano Colao. Ma quello era come rifare il tetto di una casa, mentre il Piano Amaldi serve a rifare le fondamenta. Ho voluto portare il discorso scientifico di un luminare come Amaldi a un livello più divulgativo», spiega Ronchetti a Linkiesta.
«Di solito – prosegue – queste proposte vengono ignorate fintanto che rimangono nei corridoi e nelle stanze di grandi luminari. Per evitare che un progetto così fondamentale per il nostro Paese rimanesse inascoltato mi sono attivato per diffonderlo, ottenendo buoni risultati fin qui: al grande pubblico deve passare il messaggio che la ricerca non è solo creazione di conoscenza ma anche di ricchezza, per questo l’abbiamo portato su Twitter, abbiamo fatto una serie di incontri in streaming e pubblicato qualche articolo».
Il Piano Amaldi muove da una evidenza statistica: l’Italia investe lo 0,5 per cento del Pil nella ricerca pubblica, circa 9 miliardi di euro; mentre la ricerca privata – quella guidata dalle aziende – raggiunge lo 0,9 per cento del Pil.
In totale si tratta dell’1,4 per cento del Pil italiano investito nella ricerca: troppo poco rispetto a Francia, Germania, i Paesi del Nord Europa, molti Stati asiatici. La Germania, ad esempio, è intorno al 3 per cento del Pil, di cui circa l’1 per cento è ricerca pubblica.
«Amaldi spiega che la ricerca pubblica in Italia è un sistema non perfetto ma sano e funzionante, competitivo. Solo che sta morendo perché ci sono pochi soldi, poche assunzioni di ricercatori, solo 9mila borse di studio, contro le 12mila francesi e le 18mila tedesche. Quindi la proposta è quella di fare una iniezione di liquidità sia nella ricerca applicata sia in quella di base», spiega Ronchetti.
Nell’idea di Amaldi l’investimento nel ramo pubblico dovrebbe aggiungere 1,5 miliardi di euro del 2021, per crescere del 14 per cento ogni anno fino ai 3 miliardi nel 2026, mantenendo un rapporto 2:1 tra ricerca di base e ricerca applicata. I 3 miliardi aggiuntivi del 2026 non sono una quota casuale: permettono di raggiungere l’1,1 per cento del Pil, vale a dire la stessa quota percentuale che investe la Germania nella ricerca pubblica.
Il Piano prevede anche un aumento del numero delle borse di dottorato e degli istituti di ricerca privilegiando quelli più produttivi: strategia che dovrebbe arginare il trend di diminuzione dei dottorandi che scelgono di non intraprendere la carriera di ricercatore o di farla all’estero a causa dei salari troppo bassi.
Al momento, però, sembra esserci ancora un po’ di reticenza nell’investire in ricerca. «Un problema prima di tutto culturale», dice Ronchetti. «L’Italia è un paese con alto tasso di analfabetismo funzionale. E per capire l’importanza della ricerca bisogna avere almeno una percezione della complessità del mercato del lavoro. Ad esempio oggi l’Italia ha un alto costo del lavoro e può essere competitiva solo producendo valore aggiunto. Cosa che si può fare se si fa ricerca. Allora il problema è che, anche nella classe politica, c’è una scarsa capacità di decodificare i meccanismi che oggi governano la produzione di ricchezza».
La ricerca può produrre valore aggiunto soprattutto se insiste sui settori in crescita. Un esempio è quello dell’hi-tech: le cui esportazioni in Italia valgono appena il 7,5 per cento delle esportazioni totali.
«In un Paese come la Francia l’hi-tech rappresenta il 30 per cento delle esportazioni, in Germania il 20. Anche se guardiamo l’industria del design, in cui l’Italia è forte, vediamo che la Germania è prima in Europa, l’Italia seconda poi subito dopo Francia e Spagna. Cioè non siamo così tanto più forti della concorrenza, sicuramente non abbastanza da poter basare la nostra economia solo su questi settori. Che oltretutto la pandemia ha dimostrato essere molto fragili», dice Ronchetti.
Il Piano Amaldi ha già trovato appoggio in una parte della classe politica. Il leader di Azione Carlo Calenda lo ha citato in un recente video diffuso sui suoi canali social in cui critica un fondo stanziato dal governo per le piccole e medie imprese chiamato Fondo Patrimonio Pmi, per il quale sono stati stanziati 4 miliardi di euro.
«Visto che il progetto va a scadenza alla fine dell’anno e ci sono troppe condizioni da rispettare per le aziende – dice Calenda – quei soldi saranno sprecati. Con quei 4 miliardi avremmo potuto finanziare il Piano Amaldi per la ricerca».
Il leader di Azione non è stato l’unico a schierarsi apertamente in favore del piano. Lo ha fatto anche il ministro per i Rapporti con l’Unione europea Vincenzo Amendola. Poi c’è stato Più Europa, con Benedetto Della Vedova, che ha fatto un endorsement pubblico, così come Mara Carfagna e Possibile di Civati. E chi si è speso in maniera molto propositiva è stato Marco Bentivogli.
Il Piano Amaldi vuole ridurre il divario nella ricerca pubblica rispetto ad altri Paesi, ma chiede di agire immediatamente per sfruttare i fondi europei che dovrebbero arrivare nei prossimi mesi. Come spiega Ronchetti, «L’Italia difficilmente potrà mettersi alle spalle la crisi economica se solo a distribuire la ricchezza con l’assistenza: l’unica strada è produrla, e la si produce diventando competitivi, aprendo nuove porte e nuovi mercati, investendo».