Teoria e praticaLa corsa con i molti ostacoli per il rilancio europeo dopo la pandemia

Nonostante la diffusa opinione in Italia secondo cui arriveranno presto nel nostro paese 209 miliardi di euro fra prestiti e sovvenzioni, ma gli scogli perché questo avvenga sono molti

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Il 15 ottobre il governo italiano invierà alla Commissione europea il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) necessario per accedere ai prestiti e alle sovvenzioni previsti dal Next Generation EU, un insieme di programmi e di risorse su cui, come si sa, è stato raggiunto molto faticosamente un accordo politico e non giuridico al Consiglio europeo del 21 luglio scorso. Vale la pena di precisare che l’accordo del 21 luglio non ha valore giuridico perché, secondo il Trattato di Lisbona (art. 15 TUE), il Consiglio europeo non esercita funzioni legislative. 

Il 15 ottobre è anche la data in cui i  governi dell’Eurozona devono presentare alla Commissione europea e all’Eurogruppo il DPB (Documento programmatico di Bilancio) da cui parte il giudizio di Bruxelles sulla solidità delle finanze di un paese e lo stato del disavanzo e del debito pubblico  nel quadro delle procedure fissate dopo la crisi finanziaria scoppiata nel 20078-2008, procedure tradotte in quel pacchetto di misure contenute nel fiscal compact, nel six pack, nel two pack, nel semestre europeo e nel Meccanismo Europeo di Stabilità.

Le due procedure (esame del PNRR e valutazione del DPB) sono apparentemente distinte dato che la prima è necessaria per valutare la compatibilità del piano italiano con le sei macroaree di interventi prioritari che sono state indicate dalla Commissione come condizioni per accedere alle sovvenzioni e ai prestiti del Next Generation EU (transizione ecologica, digitalizzazione, equità, salute, infrastrutture, istruzione e ricerca) mentre la seconda riguarda il controllo dei bilanci nazionali nel quadro di quegli strumenti decisi fra il 2011e il 2012 che hanno modificato il Patto di Stabilità e hanno introdotto regole più stringenti fra cui la golden rule del pareggio di bilancio.

Come si sa, il Patto di stabilità è stato sospeso come reazione alla pandemia e fino a quando saremo in una situazione di emergenza mentre le norme decise fra il 2011 e il  2012 sono ancora formalmente in vigore anche se le raccomandazioni che la Commissione europea invierà al Consiglio dovranno naturalmente tener conto degli effetti della pandemia sui bilanci nazionali e sul forte aumento delle spese pubbliche degli Stati già adottate in attesa delle sovvenzioni e dei prestiti europei.

In Italia si è fatta molta confusione sui tempi e sulle modalità per accedere a queste sovvenzioni e a questi prestiti, una confusione innanzitutto terminologica perché stampa, media ed economisti anche autorevoli continuano ad usare l’errata espressione Recovery Fund (così come molti parlano di European new green deal quando l’aggettivo new non compare in un nessun atto della Commissione europea) che non esiste in natura perché la Commissione europea ha proposto (e il Consiglio europeo ha politicamente accettato) un Piano per la ripresa (European Recovery Plan) che costituisce il primo passo sulla via di una forma limitata e provvisoria di debito pubblico europeo attraverso cui finanziare il Next Generation EU che dovrebbe durare tre anni e dunque affrontare solo l’emergenza. 

Nonostante la diffusa opinione in Italia secondo cui arriveranno presto nel nostro paese 209 miliardi di Euro fra prestiti e sovvenzioni, gli ostacoli perché questo avvenga sono molti e, nella migliore delle ipotesi, solo una piccola parte del fiume di danaro che dovrebbe sorgere a Bruxelles potrebbe arrivare nella primavera del prossimo anno.

Esso sarà suddiviso in tre rami diversi e in dodici programmi in parte nuovi e in parte appartenenti al bilancio europeo (sostegno alla ripresa fra cui React-EU, sviluppo rurale, fondo per una transizione giusta; rilancio dell’economia e sostegno agli investimenti privati tra cui lo strumento di sostegno alla solvibilità, InvestEU e dispositivo per gli investimenti strategici; trarre insegnamenti dalla crisi fra cui il programma per la salute, RescEu, Orizzonte Europa, Strumento di Vicinato, sviluppo e cooperazione, aiuti umanitari) che costituiranno l’ammontare totale del Next Generation EU (750 miliardi di Euro) ma che serviranno anche a rafforzare dei programmi dell’UE nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale.

Una parte di queste risorse sarà preassegnata agli Stati ma una parte servirà ad arricchire programmi comuni senza preassegnazione agli Stati e se ne avvarrà chi presenterà i migliori progetti.

Vediamo quali sono gli ostacoli principali lungo il corso del fiume di denaro che dovrebbe sorgere a Bruxelles:

L’accordo politico raggiunto dal Consiglio europeo del 21 luglio deve tradursi in una decisione di carattere legislativo del Consiglio che i governi intendono sottoporre per accordo ai loro parlamenti nazionali. Se questa sarà la strada che decideranno di intraprendere, vorrà dire che essi non vorranno seguire la via più breve dell’art. 122 TFUE del trattato sul funzionamento dell’Unione che consentirebbe al Consiglio di accordare un’assistenza finanziaria agli Stati membri in gravi difficoltà con un voto a maggioranza qualificata ma intendono preferire la via più tortuosa dell’art. 352 TFUE che richiede l’unanimità nel Consiglio, l’approvazione del PE e il controllo di sussidiarietà dei parlamenti nazionali.

Il nuovo potere della Commissione di ricorrere ai mercati internazionali dei capitali per creare un debito pubblico europeo di 750 miliardi di Euro dovrà essere garantito, oltre che dalla decisione del Consiglio, dal bilancio europeo con un aumento del massimale delle risorse proprie dall’1.2 attuale al 2% del PIL europeo. Tale aumento dovrà essere deciso all’unanimità dal Consiglio e approvato dagli Stati membri secondo le loro regole costituzionali entro il 31 dicembre 2020 affinché la Commissione possa indebitarsi a partire dal 1° gennaio 2021. Vale la pena di ricordare che il massimale delle risorse proprie del Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020, deciso dal Consiglio nel dicembre 2013 entrò in vigore dopo le ratifiche nazionali solo nell’ottobre 2016.

Il massimale delle risorse proprie fa parte integrante del quadro finanziario pluriennale che deve essere adottato all’unanimità dal Consiglio sotto forma di un regolamento e previa approvazione del Parlamento europeo. Il Parlamento europeo ha espresso a più riprese una posizione molto critica sugli orientamenti del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 perché ritiene che esso debba avere una durata quinquennale e non settennale, perché esige che sia inserita la cosiddetta clausola della mid term review a metà del 2024 e cioè alla vigilia delle prossime elezioni europee, perché vuole un impegno chiaro e netto dei governi sulle nuove risorse proprie e il diritto di adottarle secondo il principio no taxation without representation, perché l’attribuzione di sovvenzioni dovrebbe essere condizionata al rispetto dello stato di diritto e perché alcune importanti politiche comuni hanno subito drastici tagli per far posto al Next Generation EU.

Per tutte queste ragioni il Parlamento europeo ha annunciato alla presidenza tedesca che potrebbe rispondere ai passi indietro dei governi rifiutando di accettare un bilancio inaccettabile, esigendo un bilancio provvisorio per il 2021 e facendo funzionare i dodicesimi provvisori fino a quando non ci sarà un bilancio  all’altezza delle esigenze dell’Unione europea.  

Secondo l’accordo politico raggiunto dal Consiglio europeo il 21 luglio, il debito pubblico europeo dovrà essere rimborsato fra il 2028 e il 2058. Affinché non debba essere rimborsato dagli Stati membri attraverso i contributi nazionali, la Commissione europea ha annunciato la presentazione di un pacchetto di nuove risorse proprie che, secondo il Trattato, dovranno essere decise all’unanimità dal Consiglio, previa consultazione del PE, e approvate dagli Stati membri secondo le loro regole costituzionali. Le misure di esecuzione delle risorse proprie dovranno poi essere decise all’unanimità dal Consiglio previa approvazione del Parlamento europeo.

L’introduzione di nuove risorse proprie, come la tassa sui prodotti di paesi terzi ad alto contenuto di carbonio (border carbon adjustment) e sui prodotti di plastica, l’imposta sui giganti del web (web tax), l’armonizzazione della base imponibile delle imposte sulle società, la lotta all’elusione fiscale e alle frodi nel pagamento dell’Iva, la tassa sulle transazioni finanziarie per non parlare di imposte aggiuntive europee sui giochi d’azzardo, consentirebbe di rafforzare il bilancio europeo riducendo gradualmente i contributi nazionali ma eliminerebbe gravi distorsioni nel mercato interno creando un sistema fiscale europeo più equo.

Fondandosi su questi principi il commissario Paolo Gentiloni sta lavorando su una norma del Trattato di Lisbona (art. 116 TFUE) che impone alla Commissione, al Consiglio  e al PE (sulla base della procedura legislativa ordinaria) di adottare delle direttive europee per abolire le disparità fiscali fra Stati membri.

Last but not least, la maggior parte dei programmi europei con conseguenze finanziarie (38) dovranno essere fondati su regolamenti adottati dal PE e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria prima dell’entrata in vigore del Quadro Finanziario Pluriennale.

Per consentire all’Unione europea di superare questi ostacoli con maggiore velocità e nel quadro di una rafforzata democrazia parlamentare a livello europeo e a livello nazionale il Parlamento europeo e il Parlamento italiano dovrebbero seguire l’esempio delle “assise interparlamentari” che si svolsero nell’aula di Montecitorio a Roma  nel 1990 alla vigilia delle Conferenze intergovernative che elaborarono il Trattato di Maastricht proponendo ai parlamenti dei 27 di riunirsi – se possibile durante il semestre di presidenza tedesca del Consiglio – per adottare a maggioranza orientamenti comuni sul piano europeo per la ripresa (European Recovery Plan e Next Generation EU), sul Quadro Finanziario Pluriennale con una periodicità quinquennale, sull’aumento del massimale delle risorse proprie e sul pacchetto delle nuove risorse che è stato annunciato dalla Commissione europea.

Le nuove assise potrebbero inoltre aprire la strada ad un vero dibattito transnazionale sul futuro dell’Europa facilitando la ricerca di un consenso sulla riforma dei trattati e ponendo al centro di questa ricerca il ruolo di leadership del Parlamento europeo.

*Pier Virgilio Dastoli è Presidente Movimento Europeo – Italia

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