SfarziCibo, vino e lusso

Gli straricchi contro il resto del mondo, tra vini inavvicinabili e ristoranti esclusivi al quadrato, tra modelli elitari e richieste di democrazia gastronomica. La rassegna gastronomica internazionale di questa settimana

How Income Inequality Has Erased Your Chance to Drink the Great Wines – The New York Times, 22 ottobre

Eric Asimov, di professione critico del vino, ha spesso la capacità di mettere sul tavolo questioni di grande rilevanza e di affrontarle con una brillantezza fuori dal comune. D’altronde scrive sul New York Times, direte voi. Resta il fatto che chi scrive su testate altrettanto prestigiose non si era mai dedicato a una critica così netta, chiara, argomentata e radicale della speculazione sui prezzi dei grandi vini (perlopiù francesi, borgognoni o bordolesi), o sulla loro crescita esponenziale alla fonte (in cantina). Un fenomeno ben noto a giornalisti e appassionati, deprecato qui e là, sovente però con argomentazioni un po’ zoppe. In questo articolo Asimov chiude il cerchio egregiamente: sottolineando come i prezzi dei grandi vini siano aumentati esponenzialmente con l’aumentare dei divari di reddito nel mondo, dimostra come se negli anni Novanta era ancora possibile avvicinarsi a certe bottiglie mitologiche, cosa che permetteva a un qualsiasi bevitore della classe media di fare uno sforzo e capire cosa fosse l’eccellenza assoluta, oggi non è più così e molte etichette sono diventate il lussuoso privilegio di straricchi e speculatori seriali. Con un effetto collaterale non da poco: diventano vini di una fantomatica elite economico-finanziaria globale, non bevuti, non capiti, non discussi nell’agone pubblico, perlomeno nel suo angolo enologico. Vini che spariscono dalla scena, che sopravvivono perché evocati, quasi fossero leggende o fantasmi, e che viaggiano in totale controtendenza rispetto alla direzione culturale che il mondo dei bevitori ha preso negli ultimi anni. Una direzione democratica, in cui sta giocando un ruolo importante il movimento dei vini naturali. Asimov non usa mezzi termini: tutto ciò è una vergogna.

Tutte le cose extra-lusso che puoi trovare in questo ristorante stellato – Munchies, 19 ottobre

Rimanendo nell’universo del rapporto tra gastronomia e lusso, in questo articolo Andrea Strafile racconta la sua esperienza al ristorante La Pergola di Roma, tre stelle Michelin di lungo corso. E lo fa calcando la mano non tanto sulla cucina, di cui praticamente non parla, quanto raccontando dinamiche, aneddoti e sfaccettature di una sala che si relaziona, inevitabilmente visti i prezzi, con una clientela che perlopiù è molto danarosa. Vizi, stravizi, capricci di magnati russi compresi. Sembra di ritrovarsi un po’ fuori dal mondo, in una bolla ovattata fatta di privilegio e distinzione sociale, a dirla tutta. A partire dalle iniziali ricamate in oro sui tovaglioli dei clienti “più amati”: «Abbiamo clienti che tornano ogni due settimane e altri che, magari, non tornano per anni. Ma se ci hai conquistati avrai il tuo tovagliolo di lino con le iniziali d’oro. In struttura c’è una signora che li ricama a mano e un ragazzo che invece si occupa di gestire una cassettiera in legno massello dove vengono conservati. Per noi è come farti sentire a casa quando magari si mette il segnaposto per i pranzi importanti in famiglia», dice il maître Simone Pinoli. Al di là del nesso forzato tra ricami in oro e sentirsi a casa, al di là delle bottiglie di acqua da 210 euro l’una, vale la pena sottolineare come in certi ambienti il legame tra alta cucina ed esclusività (nel senso letterale di escludere, in questo caso chi non ha abbastanza soldi per accedere a luoghi di questo rango) continui a sopravvivere saldo, complici i desideri di un pubblico che probabilmente cerca prima di tutto lo status e solo in seconda battuta la soddisfazione puramente gastronomica. È la scoperta dell’acqua calda, certo. Ma è utile ricordare che, se da un lato questo modello ha iniziato a entrare in crisi da un punto di vista culturale, dall’altro c’è evidentemente un bacino florido e rigoglioso che continua a nutrirlo, fatto di persone che nel lusso sfrenato trovano la loro dimensione più rassicurante.

Is This the End of the Road for Michelin in America? – Grub Street, 20 ottobre

Alan Sytsma commenta una notizia recente: per quest’anno la guida Michelin non uscirà con le sue edizioni statunitensi. Siamo sempre lì, intorno al tema del rapporto tra gastronomia e lusso, visto che Michelin è quasi sempre sinonimo di ristoranti molto costosi. Ma qui si inserisce una serie di altre considerazioni. Pur rimanendo chiara la consapevolezza di una certa scollatura culturale tra il modello Michelin, che checché se ne dica continua a premiare in via iper-maggioritaria un’idea distintiva ed esclusiva di ristorazione, e il mondo là fuori, che invece segnala il prepotente arrivo sulla scena di format – diciamo così – più democratici, a emergere con forza è la crisi della ristorazione statunitense tutta e il conseguente spaesamento della critica. Che sia questa la finestra da cui passerà l’inevitabile rivoluzione nelle idee e nelle forme di quest’ultima, si chiede Sytsma?

Red Chains, Blue Chains – Eater, 21 ottobre

Ancora soldi, qui in versione follow the money. Vince Dixon ricostruisce i flussi di denaro che sono arrivati e stanno arrivando (seguendo strade indirette) ai democratici e ai repubblicani statunitensi dalle principali catene di fast food del paese. Spoiler: la bilancia pende a destra.

 

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