La commissione britannica sui diritti umani (Equality and Human Rights Commission) ha accusato il Labour, al termine di un’inchiesta durata mesi, di essere colpevole di «atti illegali di discriminazione e molestia» d’impronta antisemita.
La Commissione ha inoltre affermato di «aver identificato gravi carenze» nella leadership del partito nell’affrontare l’antisemitismo e che il partito ha avuto «processi inadeguati» per la gestione dei reclami. In particolare sotto la leadership di Jeremy Corbyn (2015-2020), esponente della sinistra radicale e sostenitore storico della causa palestinese.
Il verdetto, contestato da Corbyn e dai suoi sostenitori, riconosce almeno in parte le ragioni di militanti e funzionari di origine ebraica e di organizzazioni della comunità ebraica del Regno Unito che avevano presentato denuncia di fronte all’organismo indipendente dopo le polemiche esplose all’interno dello stesso partito.
Il partito laburista infatti è accusato di antisemitismo dal 2016. Corbyn ha sempre insistito sul fatto che la questione fosse sotto controllo, affermando anche di aver migliorato le procedure disciplinari interne. Ad aprile è stato sostituito da Sir Keir Starmer, che ha promesso che combattere l’antisemitismo all’interno del partito era la sua «priorità».
La Commissione ha ritenuto il partito responsabile di tre violazioni dell’Equality Act: interferenza politica nelle denunce di antisemitismo, mancata formazione adeguata a coloro che gestiscono le denunce di antisemitismo e molestie.
In un comunicato si legge: «L’analisi dell’organismo per la parità indica una cultura all’interno del partito che, nella migliore delle ipotesi, non ha fatto abbastanza per prevenire l’antisemitismo e, nel peggiore dei casi, lo ha accettato».