Il caos al comandoLo scaricabarile tra Governo e Regioni sul trasporto pubblico

Scambio di accuse e chiarimenti tra ministero dei Trasporti e assessori regionali. Sui 300 milioni di spesa autorizzata per potenziare il numero dei bus, gli enti locali hanno anticipato 120 milioni. Ma per spendere gli altri 150 milioni manca ancora il decreto di ripartizione. La lettera di dieci studiosi sugli errori della maggioranza

Nell’informativa alla Camera, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ripete che la stretta dell’ultimo dpcm è dovuta alla «oggettiva difficoltà di assicurare il rigoroso rispetto delle distanze sui mezzi di trasporto». La ministra Paola De Micheli, poco dopo, risponde che no, i trasporti non sono veicolo di contagio e che le linee guida attuali, con il riempimento all’80%, sono adeguate. E in ogni caso, spiegano entrambi, la responsabilità di quello che sta accadendo è delle Regioni, che non hanno ancora speso tutti i soldi messi a disposizione del governo per usare bus aggiuntivi e alleggerire i flussi. «Sono stati usati solo 120 milioni su 300 milioni», accusa il presidente del Consiglio in aula. Scatenando subito la reazione di cinque assessori regionali di centrodestra del Nord Italia, che in una lettera ricordano al premier che i soldi per aumentare le corse, in realtà, non sono mai arrivati.

Il grande caos sui trasporti pubblici è servito. Tra Camera, ministero dei Trasporti, governo e Regioni ieri è andato in scena un ping pong di accuse e chiarimenti. Proprio quando nell’esecutivo si ammette che la chiusura di teatri, cinema, piscine, palestre, bar e ristoranti è dovuta al rischio di contagio su bus, tram e metro.

Il rimpallo di responsabilità su quanto fatto o non fatto nei mesi scorsi per mettere a norma i trasporti locali ruota tutto attorno al decreto legge dell’8 settembre. Quando, con la seconda ondata alle porte e a una sola settimana dalla riapertura delle scuole, il governo ha stanziato 300 milioni destinati alle Regioni per permettere di fare le gare pubbliche e aumentare le flotte di autobus attingendo alle compagnie private (oltre a 150 milioni destinati ai Comuni per potenziare gli scuolabus).

La spesa, però, è stata solo autorizzata, essendo stata decisa quando ormai era già stato approvato l’ulteriore scostamento di bilancio. Che significa che le Regioni avrebbero dovuto anticipare le risorse, per poi essere risarcite con i fondi della manovra. Così era stato stabilito e così è stato fatto. Spendendo fino ad oggi 120 milioni.

Con un distinguo: i primi 150 milioni sono stati suddivisi tra le regioni secondo i criteri già usati nella ripartizione del Fondo per il trasporto pubblico e quindi erano già spendibili. Per spendere l’altra metà, invece, serviva un decreto di riparto del ministero dei Trasporti, che non è ancora arrivato.

Lo fanno notare subito – dopo l’intervento di Conte alla Camera e l’audizione di De Micheli in Parlamento (interrotta e poi ripresa causa informativa) – gli assessori ai Trasporti di Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. In una lettera congiunta spiegano di aver chiesto più volte al governo risorse aggiuntive e che i 900 milioni stanziati con il decreto rilancio e il decreto agosto (400 più 500) destinati alle compensazioni per i mancati introiti dei biglietti durante «non sono sufficienti per far fronte al potenziamento dei servizi e alla riduzione dei ricavi delle aziende di trasporto pubblico». Specificando poi che «per i servizi aggiuntivi non è ancora arrivato un euro. Le azioni per potenziare il trasporto sono state attivate nelle varie Regioni in assenza di un contributo governativo. È gravissimo – dicono – che il presidente del Consiglio e il ministro competente cerchino invece di scaricare le proprie responsabilità sulle Regioni».

Durante il question time alla Camera del pomeriggio, la ministra De Micheli aggiusta poi il tiro, specificando che «sono stati usati 120 milioni dei 150 già a disposizione». E aggiungendo poi in audizione che il decreto di riparto della seconda tranche, controfirmato dal Tesoro, sarà subito inviato alla Conferenza unificata Stato regioni.

Da settembre a oggi, da Nord a Sud, sono stati aggiunti in strada circa 2mila autobus in più. Secondo il criterio stringente previsto dal decreto: i fondi messi a disposizione dal governo devono essere utilizzati per rafforzare solo le linee che già prima del Covid avevano un tasso di riempimento nelle ore di punta superiore all’80 per cento.

«Gli assessori regionali che oggi mi scrivono», dice la ministra De Micheli, «sono gli stessi che a giugno ci chiedevano di aumentare il tasso di riempimento dei mezzi al 100%». Il Comitato tecnico scientifico propose di non andare oltre il 75%, poi a fine agosto – dopo un lungo tira e molla – si raggiunse con le Regioni l’accordo politico sull’80 per cento.

Ma, percentuali a parte, il problema sui mezzi pubblici è rimasto, con le segnalazioni continue arrivate al Mit sui passeggeri stipati sui bus nelle ore di punta. «Dal 18 aprile chiediamo di “attuare ogni misura per ridurre i picchi di utilizzo del trasporto pubblico”», ha detto il capo del Cts Agostino Miozzo. «I verbali dimostrano che lo abbiamo scritto per ben 20 volte sollecitando, a più riprese, un nuovo concetto di mobilità». Parole simili sono arrivate da Arrigo Giana, presidente dell’Agenzia confederale dei trasporti e numero uno di Atm, l’azienda dei trasporti milanesi: «Da aprile ho scritto a tutti gli stakeholder per chiedere dei tavoli di coordinamento. È inaccettabile che dopo mesi in cui abbiamo ripetuto che il trasporto pubblico poteva diventare il collo di bottiglia se non fossero stati riprogrammati gli orari della città, delle scuole, degli uffici, ci si venga a dire che si chiudono scuole e attività produttive perché i trasporti si sono fatti trovare impreparati».

Ma la ministra De Micheli continua a non essere d’accordo. «Se il trasporto pubblico locale fosse la ragione vera dei contagi, su 21-22 milioni di utenti giornalieri dovremmo avere il doppio dei contagi di quelli che ci sono oggi», ripete in audizione, citando studi francesi e tedeschi che dimostrerebbero che anche laddove il tasso di riempimento è al 100% è «impossibile rilevare una correlazione tra il riempimento dei mezzi di trasporto e l’aumento dei contagi».

Ad oggi, i passeggeri sui mezzi pubblici italiani sono circa la metà del periodo precedente al lockdown. Dopo le chiusure dell’ultimo dpcm sono scesi a una media di 15 milioni al giorno. Ma non c’è ancora uno studio epidemiologico italiano sul rischio di contagio legato all’uso di bus e metro.

Eppure ieri dieci studiosi italiani, tra cui Andrea Crisanti, Giovanni Orsina e Luca Ricolfi, in un documento pubblicato sui siti della Fondazione Hume e del think tank Lettera 150, hanno elencato i dieci errori rossi compiuti finora dal governo. E al punto sette si trovano proprio i trasporti. «I mezzi pubblici possono essere un importante luogo di diffusione del contagio», scrivono. «Nonostante ciò il governo, d’intesa con le Regioni, si è limitato a stabilire una capienza massima per mezzo pubblico pari all’80%, una capienza che non consente un adeguato distanziamento. Non è stato previsto un finanziamento straordinario specifico, né è stato esercitato alcun coordinamento per indurre Comuni e Regioni a dotarsi di nuovi mezzi» utilizzando le procedure d’urgenza per fare le gare in un mese.

«Si sarebbero potuti assumere conducenti con bandi straordinari per contratti a tempo determinato, magari fra i conducenti Ncc rimasti senza lavoro», aggiungono, «o si sarebbero potute finanziare convenzioni con le compagnie dei taxi. Si sarebbero dovuti riaprire al traffico i centri storici, alleggerendo così la pressione sui mezzi pubblici».

Si sarebbe dovuto stanziare, anche, molto più dei 300 milioni su cui si sta litigando in queste ore. Che, a conti fatti, sono solo lo 0,3% dei 100 miliardi di scostamento di bilancio utilizzati dall’inizio della pandemia.

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