Il governo è malato di negazionismo. Non quello dei pazzoidi che sostengono che il virus non esista ma quello tutto politicista di chi si rifiuta di ammettere gli errori, innalzando la propaganda al di sopra della realtà con un atteggiamento di superbia («l’insolenza dei superbi», dice Amleto nel famoso monologo) che offende chi guarda la realtà così com’è e non come la si vorrebbe imbellettare.
E Giuseppe Conte forse non è nemmeno il più superbo, anche se certamente spetterebbe in primo luogo a lui parlare agli italiani il linguaggio della verità, dato che ci sono ministri che davvero paiono intrappolati nella loro propaganda. Ma ecco un esempio della sua reticenza: «La politica, e questo va soprattutto per chi è al governo, deve saper dar conto ai cittadini delle proprie scelte e assumersi la responsabilità delle proprie azioni», ha scritto il presidente del Consiglio sul suo giornale personale che si chiama Il Fatto Quotidiano, dimenticando di far cenno alle proprie non azioni, alle proprie non scelte: queste non vanno ricordate ai cittadini, no?
Ci fosse dunque uno della squadra denominata Conte 2 che abbia il coraggio intellettuale di dire: vero, abbiamo perso quattro mesi, non abbiamo rafforzato le misure anti-Covid, abbiamo fatto poco o nulla per la sanità, per alleviare il trasporto pubblico, per agevolare la didattica a distanza, per sostenere i soggetti socialmente più deboli eccetera eccetera; ma ora che abbiamo chiari quali sono stati i nostri errori, siamo pronti a raddoppiare gli sforzi, e per questo chiediamo a tutti di darci una mano e agli italiani di stringersi in questa battaglia cruciale. Niente, silenzio di tomba.
In tutte le comparsate televisive, in tutte le burocratiche informative in Parlamento, l’avvocato del popolo si fa avvocaticchio di paese, quello che si arrovella sui commi per cercare una pezza d’appoggio alle sue bugie. Mai ammettere, mai cedere. È una forma obliqua di negazionismo: errori, quali errori? Senza rendersi conto non solo che l’umiltà dei potenti è spesso la loro forza ma che gli italiani non ti perdoneranno altre frottole e nemmeno crederanno a ciò che gli dici perché, finora, non l’hai raccontata giusta. Che miopia.
Ecco, in questo senso mercoledì la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dato a Conte una lezione intellettuale e di stile che in teoria dovrebbe averlo umiliato (ma figuriamoci): «Le misure sono state allentate troppo presto, ecco perché c’è la seconda ondata che non sappiamo neppure se sarà l’ultima». Parole secche, parole vere. Le hanno mai pronunciate Conte, Speranza, Boccia, Provenzano e gli altri? Ecco squadernata la differenza fra una leader vera e dei politicanti. Questi ultimi quando gli fai notare che si è perso tempo prezioso per far fronte a una seconda ondata prevista da tutti, ti rispondono come ha risposto Peppe Provenzano, che pure non è un politicante, a Annalisa Cuzzocrea di Repubblica: «Ci possono essere stati limiti o errori, ma non c’è stato giorno in cui non abbiamo lavorato per affrontare l’emergenza sanitaria, economica e sociale».
Generico, autoassolutorio. O come Paola De Micheli che in tutte le trasmissioni va a sostenere l’insostenibile, e cioè che sugli autobus non ci sono assembramenti (contraddetta ieri dal presidente del Consiglio); o come Luigi Di Maio che ad Avvenire ha detto che «la seconda ondata ci ha colto più preparati»; o come Dario Franceschini, che s’indigna via Facebook con chi protesta evitando di far cenno agli errori e ai ritardi.
L’assenza di autocritica è tipica dei despoti, degli autocrati, dei reazionari, di chi pensa di farla franca. Nei momenti in cui la politica deve elevarsi all’altezza della gravità dei problemi, il negazionismo contiano evoca invece l’immagine del fuoco del Covid che si appicca al falò delle vanità e delle bugie. Davvero, l’ultima cosa di cui c’è bisogno, la superbia del bugiardo.