Trump e le cattive notizie
Joe Biden ha vinto la guerra dell’audience contro Donald Trump, e non è giusto. L’avanspettacolo del presidente è tv migliore delle normalità timorosa e compiaciuta dell’ex vicepresidente. Però Biden, con la sua town hall normale, ha attirato 12 milioni e 700 mila spettatori, e Trump 10 milioni e 400 mila, nonostante battutoni e affermazioni pazzesche.
Intanto, i senatori repubblicani che hanno fatto i migliori studi universitari iniziano a criticare apertamente Trump. Il solito Mitt Romney, comunque sempre un pochino cerchiobottista, e l’ex golden boy conservatore Ben Sasse del Nebraska. Al telefono con un gruppo di elettori, Sasse ha detto che Trump ha gestito malissimo la pandemia; che maltratta le donne, sfotte i cristiani evangelici, spende «come un marinaio ubriaco», e «lecca il culo ai dittatori». E che perderà, quasi certamente.
Le persone di cattivo carattere hanno fatto presente che Sasse ha votato con l’amministrazione Trump l’86 per cento delle volte, che ha votato contro il suo impeachment. I dietrologi hanno ipotizzato che abbia fatto uscire la telefonata per iniziare a riposizionarsi (nell’audio Sasse pare comunque contento che Trump abbia riempito i tribunali di giudici reazionari).
Trump e i debiti
Donald Trump è indebitato “bigly”, come direbbe lui. Per almeno un miliardo, e l’ultima cifra di cui si parlava, quella del New York Times, era di 420 milioni. Forbes ha analizzato le sue proprietà, e ha trovato altri 447 milioni di debiti non dichiarati. In buona parte con Deutsche Bank; ma anche con Ubs, Goldman Sachs e Bank of China, e poi banche più piccole (quando alla town hall gli hanno chiesto se deve soldi a banche straniere, prima ha risposto «non che io sappia» e poi «probabilmente»).
Trump protegge gli anziani
Ieri pomeriggio Trump ha parlato a Fort Myers, Florida. L’evento si chiamava “Protecting America’s Seniors”, e si svolgeva al chiuso, per un pubblico quasi senza mascherine.
E non sono a rischio solo loro, con Trump. C’è un settantaseienne di New York, Rudy Giuliani, che anche grazie a lui sta vivendo una fine di carriera imbarazzante. Ci sono rivelazioni secondo cui era manovrato dai russi, e che la Casa Bianca di Trump ne era informata. E c’è l’appello di sua figlia Caroline a votare Biden per «mettere fine al regno del terrore» (parlando di terrore, chissà cos’avrà pensato il sindaco dell’11 settembre quando Trump nella solita town hall ha tirato fuori teorie complottiste su Osama bin Laden ancora vivo; magari non ne ha pensato niente, ha sempre lasciato Trump fare il Trump).
QAnon koalition
Bannati da Facebook, bloccati da Twitter, rimossi da YouTube giusto l’altro ieri, i complottisti di QAnon trovano sempre più spazio nel partito repubblicano. C’è Trump che li elogia in diretta nazionale perché «sono contro la pedofilia». Ci sono deputati che vanno sui loro network e account, e chiedono soldi per la campagna elettorale. Ci sono 27 candidati che dicono di credere nella cabala di politici e celebrità che bevono sangue di bambini (una, Marjorie Taylor Greene della Georgia, verrà eletta di sicuro).
E c’è il 38 per cento dei repubblicani convinto che almeno alcune parti delle pazzie di QAnon siano vere, il 12 per cento che ha avuto interazioni positive con QAnon sui social. Il 41 per cento poi – indagine del Pew Research Center – pensa che QAnon sia “in qualche modo buono” o “molto buono” per l’America (sono quelli che Trump vuole mandare a votare, per i quali fa i comizi da matto).
Progressisti e lobbisti
Biden forse vince, e nel partito democratico si litiga in anticipo. Per esempio: una serie di organizzazioni e di deputati progressisti, tra cui Ayanna Pressley, Katie Porter e Alexandria Ocasio-Cortez, ha firmato una lettera in cui si chiede a Biden di non nominare lobbisti nella nuova amministrazione, non a cariche che richiedano l’approvazione del Senato.
Non è una di quelle cose di sinistra che spaventano l’elettorato moderato, anzi. Ma crea problemi ai centristi del partito; e innervosisce i progressisti più vecchi e furbi che vogliono far pesare la campagna disciplinata e a tappeto fatta da tutti, da Bernie Sanders in giù, nelle trattative post-elettorali.
I firmatari fanno presente che per quattro anni si è attaccato Trump per aver riempito l’amministrazione di lobbisti, che andrebbe dato un segnale. I centristi si preoccupano per il loro leader al Senato. Chuck Schumer, molto amico di Wall Street-Big tech-eccetera, non vuole doversi contrapporre alla sinistra del partito e fare la figura del cattivo. E perdere, tra due anni, le primarie democratiche e il posto di senatore di New York proprio contro Ocasio-Cortez.
Armi per tutti
Il titolo Smith & Wesson ha guadagnato l’8 per cento da fine settembre, e tutti i produttori di armi stanno andando bene. Le vendite di fucili-pistole-mitra-semiautomatiche vanno di pari passo con l’aumento del vantaggio di Biden nei sondaggi.
Poi ci sono le paure da pandemia, l’ansia da rivolte e proteste, il timore di un risultato elettorale contestato e di una guerra civile diffusa. E poi c’è il panic-buying, l’acquisto impanicato di chi teme che una merce non sarà più disponibile. Biden e Kamala Harris sono favorevoli a regolamentare un po’ di più (neanche tanto) vendita e uso delle armi.
Come buona parte dei democratici: per dire, la segretaria di stato del Michigan Jocelyn Benson ha annunciato che sarà vietato andare armati -con armi in vista- ai seggi elettorali. Intanto, molti fanno scorta (amici in stati neanche conflittuali come il Maine segnalano come quest’estate si siano armati cittadini di minoranze etniche e donne progressiste; «gli altri meno, gli altri hanno già arsenali a casa», ricordano, in Maine e in altre zone).
Florida Men
«Il partito repubblicano della Florida è il migliore per le merdate. Io lo so, sono merdate che ho aiutato a costruire». L’avvertimento, di ieri, è di Rick Wilson, ex stratega repubblicano, ora con il Lincoln Project che fa spot contro Trump; e non tanto sicuro che Biden vincerà la Florida. Perché il governatore è il trumpianissimo Ron DeSantis, e la macchina repubblicana della soppressione del voto (e altro) è collaudata e gloriosa. Però, ha spiegato Wilson nel podcast The New Abnormal, il crescente vantaggio di Biden è reale.