Pragmatismo is backGeorge H.W. Biden, la competenza torna di moda alla Casa Bianca

Al contrario di Clinton, Bush figlio, Obama e Trump, il presidente è un grande esperto di politica estera e un profondo conoscitore sia del mondo sia di Washington, proprio come il primo Bush. Non ci sarà una sua vera e propria dottrina, ma tornerà l’atlantismo

AP/LaPresse

Il 5 febbraio prossimo, 15 giorni dopo l’inizio della presidenza di Joe Biden, scadrà il termine per estendere il New START, il trattato Usa-Russia per la riduzione delle armi nucleari. Sarà subito un test importante per la nuova Amministrazione e definirà l’orientamento dei rapporti futuri con Mosca. Se la scadenza fosse arrivata all’inizio del secondo mandato di Donald Trump, a gestirla sarebbe stato un presidente che ai tempi del primo START era un palazzinaro impegnato a evitare la bancarotta dei suoi casinò ad Atlantic City. Vladimir Putin dovrà invece vedersela con un interlocutore che negoziò il precedente trattato SALT II con l’allora Ministro degli Esteri sovietico Andrei Gromyko, ai tempi in cui lo stesso zar del Cremlino era solo uno sconosciuto agente del Kgb.

Con Biden, alla Casa Bianca torna la competenza. Nessun presidente dai tempi di George H.W. Bush arriva nello Studio Ovale con l’esperienza anche di politica estera del nuovo numero 1 di Washington. Ciò che ha unito presidenti diversi come Clinton, Bush figlio, Obama e Trump è stata la loro sostanziale inesperienza internazionale, unita alla scarsa conoscenza dei meccanismi di governo della capitale americana.

Clinton mitigò le lacune in politica estera nominando segretari di Stato del profilo di Warren Christopher e Madeleine Albright. George W. Bush si fece affiancare da personaggi già rodati nell’amministrazione del padre come Dick Cheney e Donald Rumsfeld, rafforzando poi la squadra con Colin Powell e Condoleezza Rice. Obama aveva al suo fianco Biden, John Kerry e Hillary Clinton. Trump ha scelto e cacciato gente esperta come Rex Tillerson, H.R.McMaster e John Bolton, ma alla fine ha ascoltato sempre e solo Trump.

Joe Biden invece si porta dietro un bagaglio di conoscenza ed esperienza paragonabile solo a quello di Lyndon B. Johnson, di Reagan e soprattutto del primo Bush, forse il presidente a cui assomiglia di più. La Storia si sta rivelando più generosa nei confronti di George H.W. Bush di quanto lo siano state le cronache dell’epoca (specialmente quelle italiane). Fa una certa impressione mettere in fila i titoli del curriculum con cui Bush padre entrò nello Studio Ovale nel 1989: imprenditore petrolifero, deputato del Congresso, ambasciatore all’Onu, presidente del Partito repubblicano, ambasciatore a Pechino, direttore della Cia e infine otto anni vicepresidente con Reagan. Biden a sua volta arriva da otto anni di vicepresidenza preceduti da decenni in Congresso durante i quali ha guidato a lungo la commissione Esteri del Senato.

Come sarà messo a frutto in politica estera questo bagaglio di competenza? Lo si vedrà dalle scelte che farà per il Dipartimento di Stato e per il ruolo di National Security Advisor, ma è difficile che il mondo si appresti a fare i conti con una “Dottrina Biden” articolata e ideologicamente strutturata. Più probabile che si torni a una stagione di “realismo” come quella del primo Bush e del suo uomo forte, James Baker, caratterizzata da un confronto pragmatico con i dossier planetari.

Il ritorno all’Atlantismo è una quasi certezza, così come la ripresa di una politica che considera la Russia non un esempio da ammirare, ma un avversario geopolitico da contrastare. Torneranno ad avere un ruolo centrale Nato, Wto, Onu, Oms. Saranno archiviati alcuni (non tutti) tra i dazi che hanno caratterizzato gli anni di Trump, verrà riaperto il dossier dell’accordo sull’Iran, senza necessariamente cancellare alcuni passi importanti compiuti di recente in Medio Oriente, come le nuove relazioni avviate tra Israele e gli Emirati del Golfo. Arriveranno pressioni sull’alleato storico britannico perché rinunci a fare la voce grossa sulla Brexit e rispetti gli accordi con l’Unione Europea.

Cambierà radicalmente la posizione americana sul tema della lotta ai cambiamenti climatici, con il ritorno degli Usa nella schiera dei Paesi che hanno sottoscritto la COP21 di Parigi. Ma il vero test dell’Amministrazione Biden sarà la Cina. Un collaboratore del presidente-eletto ha sintetizzato così, parlando con il Financial Times, i temi della politica estera americana dei prossimi anni: «Cina, Cina, Cina, Russia».

Chi si aspetta marce indietro rispetto alla linea dura trumpiana resterà sorpreso. È più probabile che la Casa Bianca si faccia promotrice di una campagna di pressione internazionale per mettere il resto del mondo contro Pechino, ormai definitivamente percepita da Washington come il vero avversario geopolitico dei prossimi decenni.

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