Uno Stato, la Georgia, che emerse dalla guerra civile distrutto, perso nella devastazione lasciata dal generale William Sherman con la sua tattica della “terra bruciata”. Eppure da lì ripartì una rinascita economica forte. Rinascita che oggi arriva con la vittoria dei democratici alle presidenziali, la prima vera breccia nel Sud post obamiano, salvo possibili sorprese derivanti dal riconteggio dei voti a favore di Biden, che però appaiono superiori ai 10mila. Troppi, per essere messi in discussione. Ma la storia di questo stato, appunto, inizia dalle ceneri belliche.
La città di Atlanta, che aveva poco meno di diecimila abitanti prima della guerra, diventò il maggiore centro economico del Nuovo Sud, che diventava segregazionista dopo essere stato schiavista. Anche la Georgia era uno dei pochi Stati ad aver abbandonato un’economia basata sulla coltura del cotone e si apprestava a trasformarsi nel maggiore centro industriale dell’area. Un ex colonnello confederato, John Pemberton, avrebbe sfruttato le sue conoscenze farmaceutiche per creare una bevanda gassata dolce, la Coca Cola. Sempre ad Atlanta nel 1939 ci sarebbe stato il più grande evento cinematografico nella storia del nuovo Sud, con la presentazione di Via Col Vento, film che ricongiungeva il vecchio Sud sconfitto con il Nuovo in ascesa.
Dietro questa patina di normalizzazione, c’era la situazione orribile della segregazione, con i razzisti come il governatore Eugene Talmadge, che oltre a reprimere gli afroamericani tenevano i salari bassi per attirare gli industriali del Nord, con l’implicita promessa di spezzare eventuali scioperi con la forza. Uno stato fortemente conservatore, dove però covava un’opposizione progressista nelle classi lavoratrici di Atlanta e nelle altre città che si stavano espandendo in quel periodo come Augusta e Macon. Il loro maggiore sostegno e nume tutelare era il presidente Franklin Delano Roosevelt, che spesso si recava a Warm Springs per le cure termali relative ai postumi della poliomielite, tanto da aver definito la sua residenza in loco «la piccola Casa Bianca».
Quel tipo di elettori molti anni dopo avrebbe fatto eleggere un ex ufficiale di marina, coltivatore di arachidi, nel 1970. Jimmy Carter fu l’ideatore di un originale mix politico superamento del periodo della segregazione che aveva imbalsamato i suoi predecessori nel rancore: liberalismo economico, un welfare leggero ma attento a non rinfocolare divisioni razziali e una profonda religiosità. Sei anni più tardi, questo collage ideologico lo avrebbe portato alla Casa Bianca dove fu il primo a intuire il pericolo disgregativo della polarizzazione ideologica.
Ma fu un acuto nel vuoto. La Georgia da stato democratico conservatore si trasformò in uno stato repubblicano, con una trasformazione centrata proprio su Atlanta. Durante l’infuocata stagione della desegregazione, l’impetuosa vita economica della capitale georgiana gli aveva guadagnato il soprannome di città “troppo occupata per odiare”.
Negli anni successivi però, il timore di un’integrazione “eccessiva” spinse molti bianchi benestanti ad abbandonare il centro per i sobborghi, diventando un elettorato favorevole alle parole d’ordine del conservatorismo reaganiano di matrice sudista: basta tasse, governo leggero e piano con l’integrazione razziale. Lo Stato tutto divenne un architrave della coalizione conservatrice dei due Bush e votò Trump con una certa convinzione.
Ma con Trump le cose sono cambiate. Troppi scandali, troppo odio e troppa divisione. Le elezioni di midterm del 2018 per la carica di governatore hanno portato al potere il trumpiano Brian Kemp contro la democratica Stacey Abrams hanno visto una sua vittoria di misura. Già negli anni di Obama il senatore Saxby Chambliss era stato costretto al ballottaggio, ma aveva vinto. L’intuizione di Abrams, sconfitta anche grazie ai maggiori ostacoli incontrati dalle persone più povere per poter esercitare il proprio diritto di voto, ha fatto sì che venisse messa in piedi una macchina efficiente per fare una cosa apparentemente semplice: portare le persone a votare. Sempre di più.
Lo ha fatto fondando un’organizzazione, Fair Fight Action, per mobilitare quella che lei credeva essere una maggioranza silenziosa di georgiani, contro le impressioni degli analisti politici che vedevano lo stato come imprendibile e saldamente repubblicano. Non lo era. Come ha detto l’ex candidato democratico a presidente Pete Buttigieg, «non esistono Stati rossi». I democratici dovranno prendere ad esempio Stacey Abrams e la sua modalità operativa che non fa affidamento su fantasie come «la crescita demografica delle minoranze» per vincere.
Ma che invece riscopre la bellezza di un partito che si appoggia a organizzazioni di base per giocare anche sul terreno senza fare affidamento sul solo voto d’opinione come al tempo di Obama, non più comitato elettorale “liquido” che fa affidamento sui soli sondaggi. Una lezione che dovrà essere ascoltata anche dal neopresidente Joe Biden, anche lui, come Abrams, solido uomo di partito.
Anche perché, a gennaio, si deciderà il destino della maggioranza al Senato proprio in Georgia, dove sono in palio due seggi, che potranno decidere se l’agenda progressista della nuova amministrazione democratica potrà procedere speditamente oppure, almeno per i primi due anni, bisognerà scendere a patti col leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, che de facto sarà l’unico e solo padrone del Gop in questi primi anni post trumpiani.
10 Novembre 2020