Da Almirante a BerlinguerL’ultima giravolta dell’ottovolante Di Maio: ora è diventato un compagno

Il leader dei Cinquestelle sta andando in giro con il cappello in mano affinché qualcuno raccatti la pattuglia eurogrillina che a Bruxelles è senza famiglia. Un belletto di sinistra per coprire le rughe grilline

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Ilario Lombardo (La Stampa di ieri) ha dato notizia di un incontro fra Massimo D’Alema, 71 anni, ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri, e Luigi Di Maio, 34 anni, attuale ministro degli Esteri e leader del Movimento 5 Stelle. I due si sono visti alla Farnesina ai primi di novembre per una chiacchierata sui principali temi internazionali. In questo quadro – riferisce La Stampa – Di Maio avrebbe sondato D’Alema sulla possibilità che il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo apra le sue porte agli europarlamentari grillini. I quali, va ricordato, da D’Alema non sono affatto disprezzati almeno dal giorno in cui il M5S scelse di votare a favore di Ursula von der Leyen: ebbe a dire il presidente di Italianieuropei che il loro capogruppo a Bruxelles Fabio Massimo Castaldo «non è un fesso», che detto da D’Alema è un buon riconoscimento.
Di Maio queste cose le sa bene e siccome sta andando in giro con il cappello in mano perché qualcuno raccatti la pattuglia eurogrillina che a Bruxelles è senza famiglia ha pensato di trovare nell’ex ministro degli Esteri, ovviamente grande conoscitore del socialismo europeo, un interlocutore amico seppure non decisivo. Forse un compagno più grande a cui chiedere un consiglio e una mano: e pure questo si deve vedere, il compagno Di Maio.
E non è il solo indizio del giro sull’ottovolante dimaiano da Nigel Farage a Massimo D’Alema passando per Emmanuel Macron, una conversione che al confronto quella dell’Innominato manzoniano è robetta: infatti il capo grillino non aveva esitato a prendere carta e penna per intervenire (con esiti molto scarsi, come ha scritto su Linkiesta Francesco Cundari) nella discussione aperta dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari sul nuovo corso Biden-Starmer, un tema sui cui aveva scritto in precedenza Nicola Zingaretti e poi dopo anche Roberto Speranza. Il giovane Di Maio ha voluto dunque ritagliarsi con evidenza un ruolo da protagonista nel nuovo dibattito sul futuro del progressismo, dando per assodato che si tratti del suo campo. Più o meno come quelli che passano la vita a imbucarsi alle feste altrui.
L’operazione cosmetica del ministro degli Esteri sembra dunque consistere nel darsi un po’ di belletto di sinistra volto a coprire rughe e occhiaie del vecchio messaggio né di destra né di sinistra della prima fase del M5S, quella dominata da Beppe Grillo e Roberto Casaleggio, portatori di una filosofia intimamente reazionaria, antiparlamentare, democraticamente opaca (a proposito, vuole spiegare qualcosa dei milioni della Philip Morris o no?).
Ma cambiati i tempi e rovesciata la leadership di Trump che sanciva l’egemonia sovranista e populista (in Italia detta gialloverde), ecco Di Maio improvvisamente virare verso un progressismo generico ma persino ammantato di spirito nazionale, in po’ alla maniera del Pci anni Settanta;  perciò ha pensato utile, in questa chiave, rivolgersi alla destra con un lungo intervento sul Foglio per lanciare un Patto trasversale, “Dieci punti per ricostruire l’Italia disarmando il conflitto politico”. Un’apertura a destra con un seppur confuso segno di progressismo, uno dei tanti mega-programmi che potrebbe benissimo essere stato redatto al Nazareno.
Non solo un capo progressista, perciò, ma un leader nazionale. Certo molto più di un tetragono Giuseppe Conte che cerca di scansare gli ostacoli uno a uno senza considerare la corsa nella sua complessità. Il presidente del Consiglio non riesce a elevare il tono del suo messaggio politico? Zingaretti si barcamena senza suscitare alcun entusiasmo? Renzi non riesce a uscire dalla sabbie mobili? Ed ecco Giggino Di Maio rivestire i panni del grande ricostruttore dell’Italia, fiutando novità nell’aria. La cosa può far sorridere, ma lui ci prova.
Tutti questi contorcimenti sono il segno di un tentativo di accreditamento a sinistra che è certo figlio dell’alleanza strategica esaltata a suo tempo dal Pd ma ultimamente un po’ raffreddatasi e tesa a consolidare l’asse per le comunali di primavera (ma a Roma la cosa per ora non quaglia); e forse anche perché sente che il contismo, inteso come tattica immobilista, sta per fare il suo tempo e dunque bisogna prepararsi a nuovi equilibri. E Luigi Di Maio, per tutte queste ragioni, vuole diventare un compagno.

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