The show must go onCome sono cambiate le pubblicità di Natale con il Covid-19

C’è chi la butta sullo stucchevole spinto come Coca-Cola, e chi sull’empatia come Amazon. In Italia sono le aziende agro-alimentari come Mulino Bianco che fanno la differenza. Per creativi e aziende, quest’anno il compito è comunque più difficile: nella prima ondata gli spot hanno giocato molto sulla retorica, mentre oggi siamo tutti un po’ più stanchi, delusi e spaventati

Le pubblicità di Natale sono da sempre un grande classico, una sorta di appuntamento liturgico molto atteso – più nel Regno Unito e negli Stati Uniti che in Italia – e che hanno tipicamente un duplice obiettivo: quello squisitamente commerciale, legato quindi alla vendita di prodotti-regalo e cibo, ma anche quello di fornire un supporto emotivo alla festività, giocando su valori come la famiglia, la generosità, la solidarietà e lo stare insieme. 

È chiaro a tutti che quest’anno il compito è un po’ più difficile per i creativi e per le aziende, perché le insidie si nascondono dietro ogni angolo, in questa sorta di labirinto che è diventata la nostra vita senza grandi aspirazioni durante la pandemia.

La pubblicità nella prima ondata del Covid ha giocato molto, pure troppo, sulla retorica, sul mostrarsi vicino alla comunità e sul fare proclami e annunci motivazionali. Ma allora era diverso: eravamo spiazzati ma anche pieni di speranza per una nuova ripartenza; oggi invece siamo tutti un po’ più stanchi, delusi, spaventati e anche parecchio incazzati. Dall’altra parte ci sono le aziende e quindi altre decine di migliaia di famiglie che sviluppano una parte consistente del loro fatturato durante le feste natalizie. E poi ci sono i negozi, molti dei quali sono ancora chiusi e non sappiamo ancora quando e se riapriranno.  

Se è vero che il commercio a Natale viene spettacolarizzato, allora “the show must go on”. Ed è piuttosto ironico (e sarcastico) che questo sia il claim usato da una delle campagne più riuscite ed empatiche di questo Natale 2020 e che appartenga a una delle poche aziende a non aver sofferto della pandemia, anzi, ad averci guadagnato parecchio: la pubblicità di Amazon – perché di questa parliamo (agenzia Lucky Generals Uk) è un perfetto equilibrio tra storytelling emotivo e lockdown, solidarietà e commercio (oltre ad avere la migliore versione del pezzo dei Queen).

C’è poi invece chi la butta sullo stucchevole spinto come Coca-Cola, ovvero il brand che si è inventato tutta l’iconografia natalizia (Babbo Natale barbuto e di rosso vestito incluso): questa volta i tipi di Atlanta hanno chiamato il regista premio Oscar Taika Waititi per un lungo e costosissimo spot (agenzia Wieden & Kennedy) che, come ha scritto il pubblicitario Paolo Iabichino sul suo Medium «confonde papà natale con un papà operaio alle prese con il viaggio dell’eroe in versione pandemica». 

Ma la campagna natalizia più attesa è da sempre quella di John Lewis, il department store inglese che grazie a belle idee e grandi produzioni riesce sempre a plasmare e condizionare l’immagine di ogni Natale: quest’anno è stata particolarmente difficile con grossi tagli al personale, riorganizzazione delle funzioni e chiusura di dodici punti vendita (compresi anche i supermercati Waitrose), al punto che era in dubbio di fare quest’anno la campagna. Invece insieme alla loro agenzia Adam&Eve/DDB hanno deciso di realizzare uno spot che coinvolgesse più persone possibile dell’industria creativa colpite dalla pandemia, utilizzando varie tecniche (animazione, claymation CGI, live action) e che si basasse sugli atti d’amore e gentilezza, a ogni livello e senza distinzione. Associata allo spot c’è una raccolta fondi a supporto di associazioni impegnate sul fronte alimentare e sull’assistenza ai genitori in cerca d’aiuto e alla donazione per sostenere le famiglie nelle comunità locali.

Quindi, piccoli gesti d’amore, reciprocità e “new humanity” sono un po’ le parole chiave di queste campagne natalizie, con pochi abbracci, pochissime tavolate imbandite, ma senza riferimenti didascalici al Covid-19. E in Italia? Qui da noi ci si muove sempre più tardi, le aziende preferiscono concentrare gli investimenti nelle ultime due settimane prima del Natale. E qui sono le aziende agro-alimentari che fanno la differenza. Tra quelle già uscite possiamo dire che sono abbastanza in linea con le tendenze globali: ad esempio, Pan di Stelle del Mulino Bianco è fuori da qualche giorno con uno spot di animazione – altro trend fondamentale che non crea troppe problematiche produttive – che esplora la dimensione del sogno (Agenzia Armando Testa).

Tra i big spender natalizi della categoria prodotti di ricorrenza (panettoni e pandori) per il momento c’è solo Bauli che ha iniziato con una sorta di call to action verso i propri consumatori con i racconti le proprie feste che poi faranno parte della nuova canzone di Natale e che sostituirà quella ormai celeberrima di Bauli.  

Insomma, qualche nuova idea per sfuggire ai classici temi degli spot di Natale visto che quest’anno non sarà così tradizionale. E chissà se ne vedremo degli altri: il Guardian racconta che nel Regno Unito gli investitori spenderanno rispetto allo scorso anno 724 milioni di sterline in meno per un calo degli investimenti del 10,5%, che rappresenta una brusca caduta per un mercato che, anno dopo anno, è sempre stato in crescita.

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