Il diversivoPolonia e Ungheria accusano Spagna e Francia di violare lo stato di diritto, ma non è la stessa cosa

Varsavia e Budapest puntano il dito contro la riforma francese sulla sicurezza e quella spagnola sulla giustizia accusando Bruxelles di usare due pesi e due misure. Ma la Commissione sta già monitorando l’iter parlamentare delle due leggi che non sembrano paragonabili alle riforme fatte finora dai due Paesi di Visegrad

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Il tema del rispetto dello stato di diritto è da mesi al centro dell’agenda europea e ha creato una profonda spaccatura tra Polonia e Ungheria ed il resto degli Stati membri. Bruxelles ha spesso richiamato Varsavia e Budapest al rispetto dei valori comunitari, criticando le scelte dei rispettivi governi e le loro derive illiberali. Nello specifico, a essere contestate sono le riforme legate alla giustizia e alla libertà di informazione proposte da Polonia e Ungheria negli ultimi anni, nonché le politiche su immigrazione e Ong.

L’argomento è tornato alla ribalta nelle scorse settimane in merito all’approvazione del Quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea (Qfp), da cui dipende lo sblocco dei fondi del NextGenerationEu. Il 5 novembre Parlamento e Consiglio europei hanno raggiunto un accordo per l’introduzione di un meccanismo che vincoli l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto, da applicare anche al bilancio europeo. In questo modo, attraverso un voto a maggioranza qualificata, la Commissione potrebbe sospendere l’erogazione dei fondi europei a quei Paesi che violano i valori comunitari. La mossa però non è piaciuta a Polonia e Ungheria, che hanno risposto pochi giorni dopo ponendo il proprio veto sul bilancio pluriennale dell’Unione, che può essere approvato solo con l’unanimità degli Stati membri.

Nel difendere la propria opposizione al collegamento tra stato di diritto ed erogazione dei fondi, Varsavia e Budapest stanno provando a giocare anche un’altra carta, quella di Spagna e Francia. Madrid e Parigi sono finite sotto osservazione della Commissione europea per le riforme proposte nei settori della giustizia e della sicurezza, ma il paragone con i casi ungheresi e polacchi non regge.

Da alcuni giorni il Parlamento francese sta discutendo una proposta di legge sulla sicurezza globale avanzata dal partito La Republiqué En Marche del presidente Emmanuel Macron. Uno dei punti più controversi del testo contro cui si sono scagliate le associazioni dei giornalisti e le Ong è l’articolo 24, la cui approvazione è vista come un pericolo per la libertà di stampa. La disposizione al centro della contesa prevede una pena di un anno di carcere e 45 mila euro di multa per chi diffonde «immagini del volto o altro elemento di identificazione» di un poliziotto o di un gendarme durante un intervento, quando ciò punta a «mettere in pericolo la sua integrità fisica o psicologica».

La misura in questione è stata criticata anche dalla Commissione europea, che ha avvertito come «in un periodo di crisi è più importante che mai che i giornalisti possano fare il loro lavoro liberamente e in tutta sicurezza. Nell’elaborazione della loro legislazione sulla sicurezza gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità e trovare il giusto equilibrio tra protezione della sicurezza e protezione della libertà dei cittadini, compresa le libertà di espressione, dei media, di associazione, della protezione della privacy e dell’accesso all’informazione». Per questo motivo, la Commissione ha avvertito la Francia che osserverà da vicino l’iter di approvazione della legge, riservandosi il diritto di verificare che la versione finale sia conforme alla legislazione europea. La legge, tuttavia, è ancora in discussione e l’articolo al centro della contesa tra Parlamento e associazioni potrebbe essere modificato nel corso dell’iter parlamentare.

Il caso spagnolo riguarda invece l’ambito giudiziario. I gruppi parlamentari di Partito socialista (Pseo) e Unidas Podemos, che sostengono il governo di Pedro Sanchez, hanno presentato a ottobre una riforma della Legge Organica del potere giudiziale (Ley Orgánica del Poder Judicial) che regolamenta la composizione e il funzionamento degli organi giudiziari. La proposta apporterebbe delle modifiche al sistema che regola l’elezione di una parte dei giudici del Consiglio generale del potere giudiziale (Cgpj), cui spetta per esempio il compito di nominare i magistrati della Corte costituzionale, della Corte suprema e delle corti regionali di giustizia. A oggi, le due Camere del Parlamento scelgono dieci membri a testa (sei devono essere giudici o magistrati) con una maggioranza dei tre quinti. La riforma prevede invece che i “togati” siano eletti con maggioranza assoluta se non si raggiunge un accordo al primo turno, favorendo così i partiti al Governo. Secondo la Commissione europea, la proposta rischia di rendere il sistema giudiziario spagnolo «vulnerabile alla politicizzazione». O meglio, più politicizzato di quello attuale.

Come spiega a Linkiesta Fabio Raspadori, professore di Diritto europeo dell’Università di Perugia, la proposta di riforma spagnola deriva da una impasse politica. Da due anni infatti il Parlamento non riesce a eleggere i nuovi membri del Cgpj a causa del mancato accordo con le opposizioni. «I magistrati spagnoli si sono detti preoccupati per la riforma, ma parlare di attacco allo stato di diritto in Spagna è eccessivo». Una considerazione che, secondo Raspadori, vale anche per il caso francese, soprattutto se ci si riferisce a una legge che è ancora in discussione e che potrebbe subire importanti modifiche.

«L’attenzione a livello europeo nei confronti delle riforme di Spagna e Francia è un elemento positivo, ma non possiamo affermare che le due proposte corrispondano a un vero pericolo per lo stato di diritto». Tuttavia, gli Stati membri più “illiberali” stanno sfruttando i casi di Spagna e Francia per perorare la loro causa e dimostrare che collegare l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto è pericoloso per tutta l’Unione. Secondo Raspadori però è bene non generalizzare. «Le riforme spagnole e francesi sono sotto osservazione, ma non si possono equiparare situazioni per niente confrontabili. In Ungheria e Polonia c’è una reale subordinazione del sistema giudiziario al governo, la libertà stampa è sottoposta a gravi restrizioni. In Francia e Spagna non siamo di fronte alle derive che ci sono in questi ed altri Paesi dell’Unione europea».

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