Il commissariamentoRenzi e Zingaretti al governo? Conte, come al solito, non sa che cosa fare

Il presidente del Consiglio potrebbe dare slancio al suo fiacco esecutivo con tutti i segretari di partito come ministri. Oppure asserragliarsi nel bunker confidando su Di Maio

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Luigi Di Maio e Roberto Speranza ci sono già. Ora bisogna fare posto agli altri due leader di partito, Matteo Renzi e Nicola Zingaretti (o il suo vice Andrea Orlando). Lo schema della non crisi di gennaio – non si aprirebbe cioè una crisi formale – prevede quello che Goffredo Bettini declina così: «L’esigenza di impegnare in questo esecutivo le energie migliori e le massime responsabilità dei partiti della maggioranza». Il che assomiglia moltissimo alla richiesta, che pare una previsione, che ha fatto Matteo Renzi, «alla fine della legge di bilancio servirà una squadra più forte», e non c’è dubbio, per chi conosca il suo ego, che l’ex presidente del Consiglio pensi per questo a un proprio ingresso nell’esecutivo. D’altra parte se n’è discusso apertamente nella riunione della cabina di regia di Italia viva di martedì dove i renziani, fatti i conti sulla rappresentatività parlamentare, hanno concluso di aver diritto a un dicastero in più: appunto, per Matteo Renzi.
Bettini, che al Fatto ha ribadito per l’ennesima volta di non essere il consigliere del segretario del Pd, cerca da giorni di convincere quest’ultimo a entrare nel governo come vicepresidente del Consiglio, solo che Zingaretti non se la sente di lasciare la Regione Lazio né la poltrona del Nazareno, e dunque la subordinata prevede l’ingresso di Andrea Orlando come ministro della Giustizia.
L’eventuale arrivo di Renzi e Zingaretti (o Orlando), magari condito da quello di due-tre tecnici di indiscusso valore, avrebbe per Bettini la funzione di un cocktail di vitamine indispensabile per dare un po’ di forza a un governo sempre più in affanno e che mostra evidenti segni di stanchezza: la grande performance di Giuseppe Conte a Ottoemezzo (definizione di Lilli Gruber, volata oltre il 10% di share) ha mostrato agli italiani un presidente del Consiglio, come dice Pierluigi Castagnetti, che non aveva nulla da dire; che comincia a usare sempre più frequentemente il disco del «sono stato frainteso» – sui ritardi del piano per il NextGenerationEu – come faceva il Berlusconi dei bei tempi; che evoca le elezioni presentando il ridisegno dei collegi, come ha notato Francesco Verderami sul Corriere della Sera; mentre, e questo è Stefano Folli su Repubblica, «le fratture quotidiane nella maggioranza assomigliano a un baco corrosivo la cui spiegazione è abbastanza chiara: la mancanza di leadership». Siamo arrivati al punto che fonti di palazzo Chigi si incaricano di smentire le voci su un raffreddore del presidente del Consiglio, nemmeno fosse quel Cernenko di cui la Pravda assicurava piena salute.
E mentre sulla scrivania di Conte si vanno ingarbugliando troppi dossier, a cominciare dalle scelte su chi dirigerà effettivamente la partita del NextGenerationEu il suo dilemma è abbastanza semplice: stringere un patto più solido con Renzi e il Pd o al contrario asserragliarsi nel bunker confidando sulla bonomia politica di Zingaretti e il sostegno di Di Maio? È un bivio che spaventa il presidente del Consiglio. Perché, debole com’è, ha il terrore di venire imbrigliato dai quattro segretari di partito. Oppure potrebbe soddisfare/incastrare tutti per esempio offrendo la Farnesina a Renzi e piazzando Di Maio e Zingaretti nei ruoli di vicepremier, ottenendo in cambio la non apertura della crisi e anzi un solenne impegno ad arrivare alla fine della legislatura. Si tratterebbe insomma di dar vita a un sostanziale ma non formale Conte ter. Gennaio non è tanto lontano e per l’avvocato si avvicina dunque l’ora delle scelte perché non è più in grado, vista la pressione dei partiti, di usare la sua arma preferita: il rinvio.

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